Le ambiguità delle norme
E’ noto che la delega contenuta nella L. 107/15 ( art. 1 comma 181 e ) sul sistema educativo e scolastico 0-6 anni ha suscitato molte preoccupazioni nei confronti di una supposta regressione della scuola dell’infanzia verso i servizi socio-assistenziali in cui sono attualmente collocati i nidi.
In realtà diverse frasi della delega suscitano perplessità perché l’assimilazione tout court di nidi e scuola, pare non tenere conto dell’evoluzione della scuola dell’infanzia da tempo inserita a pieno titolo nel sistema di istruzione ( v. Indicazioni Nazionali per il curricolo , e la generalizzazione degli Istituti comprensivi).
Vediamo dove si riscontrano ambiguità:
- Per i servizi educativi per l’infanzia (nidi) e per le scuole dell’infanzia si parla di compartecipazione ai costi delle famiglie, ma la scuola dell’infanzia in quanto scuola è gratuita.
- Si dice che i servizi educativi per l’infanzia (nidi) e le scuole dell’infanzia saranno esclusi dai servizi a domanda individuale, ossia dai servizi socio-assistenziali, ma la scuola dell’infanzia ne è già assolutamente esclusa ed è definita come primo segmento del sistema d’istruzione.
- Si afferma che occorre la qualificazione universitaria del personale di nidi e della scuola infanzia, ma è da 15 anni che gli insegnanti della scuola dell’infanzia si devono formare all’università.
- Si parla di poli 0-6, ma la scuola dell’infanzia è da tempo saldamente collocata entro gli istituti comprensivi.
Ora la legge di conversione del DL 42/16 prevede la sostituzione del termine livelli essenziali delle prestazioni con fabbisogni standard in tutte le frasi in cui è presente per cui si hanno le seguenti modificazioni:
- la definizione dei fabbisogni standard ( non più livelli essenziali delle prestazioni, ndr) della scuola dell’infanzia e dei servizi educativi per l’infanzia previsti dal Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, 281, e successive modificazioni
- l’istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei fabbisogni standard ( non più dei livelli essenziali, ndr), prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia, e da parte delle regioni e degli enti locali al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio;
- l’approvazione e il finanziamento di un piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato, finalizzato al raggiungimento dei fabbisogni standard (non più dei livelli essenziali).
Il relatore del provvedimento ha fatto presente che :
“si corregge un principio e criterio direttivo della delega sullo 0-6 anni prevista dalla legge n. 107 del 2015, sostituendo l’espressione ’livelli essenziali’ con ‘fabbisogni standard’, in quanto i livelli essenziali presupporrebbero l’universalità del diritto, mentre sul segmento 0-3 anni l’obiettivo europeo è di assicurare il 33 per cento di copertura del servizio”.
Un motivo in più, quindi, per non omologare i nidi alle scuole dell’infanzia, dal momento che in Italia le scuole dell’infanzia, complessivamente considerate, coprono ormai la generalità dei bambini in età.
Ma anche il termine fabbisogno standard crea qualche problema, scrive sempre il relatore:
“Inoltre, occorrerebbe chiarire il significato della locuzione “raggiungimento dei fabbisogni standard”, (….). In proposito va, infatti, rammentato che il fabbisogno standard costituisce un indicatore del bisogno finanziario ottimale per erogare una quantità di prestazioni adeguata a garantire i livelli essenziali delle stesse. In quanto indicatore di spesa (efficiente), esso non sembra pertanto prestarsi ad un “raggiungimento”, espressione che, ad un primo esame, sembrerebbe invece da intendersi nel senso di obiettivo di “finanziamento” del fabbisogno.”
Infine si demanda al Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, la definizione dei fabbisogni standard ( non più livelli essenziali delle prestazioni, ndr) della scuola dell’infanzia e dei servizi educativi, ma il Nomenclatore interregionale contiene le prestazioni socio-assistenziali e ad integrazione socio-sanitaria dei comuni singoli e associati diffuse sul territorio nazionale, rappresenta cioè uno strumento condiviso di mappatura degli interventi e dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, NON delle scuole.
Di qui la necessità di precisare alcuni obiettivi e definire alcune priorità
L’esigenza di selezionare gli obiettivi 0-3 anni, privilegiando i 2 anni
La modificazione introdotta con il cambiamento del termine “livelli essenziali delle prestazioni” in “ fabbisogni standard” ci riporta per così dire con i piedi per terra rispetto all’idea di assimilazione del nido alla scuola dell’infanzia. Sono oggi istituzioni profondamente diverse in termini quantitativi (che incidono sulla definizione delle norme): la scuola dell’infanzia è gratuita ed è generalizzabile, il nido 0-3 non può oggi essere né tutto gratuito (se ne è accorto subito il MEF) né generalizzabile, avendo come obiettivo (ancora lontano) la copertura del 30% dell’utenza.
Si tratta allora di spacchettare gli obiettivi e di privilegiare i 2 anni, esattamente come stanno facendo in Francia
In Italia abbiamo le sezioni primavera, introdotte in via sperimentale dalla “legge finanziaria per il 2007. Le sezioni primavera devono evolvere come sezioni di scuola dell’infanzia a tutti gli effetti, pur con particolari caratteristiche nel rapporto numerico. Questo laddove non ci sono nidi, e pensiamo soprattutto al Meridione. Dove ci sono i nidi vanno privilegiate e sviluppate le sezioni dei 2 anni, attribuendo ad esse le caratteristiche di scuola, che significa gratuite, come gratuite sono in Francia.
E’ evidente che occorre un piano che ne privilegi lo sviluppo nelle zone disagiate e deprivate, dove l’educazione e la cura dei piccoli diventa fondamentale.
Questo è un obiettivo perseguibile e finanziariamente compatibile.
Superare gradualmente la dicotomia fra scuola dell’infanzia comunale e statale
In quasi 50 anni, ossia dal 1968 (anno di istituzione della scuola materna statale) ad oggi, non si è ancora risolta la dicotomia fra scuola dell’infanzia statale e comunale.
Mentre ci si riempie la bocca di sistema scolastico integrato, la realtà è che la scuola statale avanza sulla “morte” di quella comunale, o, dove convive, la situazione delle scuole comunali si fa sempre più pesante sia per mancanza di fondi, e spesso di impossibilità di assumere, sia perché gli insegnanti comunali, contrattualmente divisi dai colleghi statali (il CCNL Enti Locali è molto più faticoso in termini di impegno orario), fuggono appena possono nella scuola statale, lasciando in condizioni di permanente precarietà le scuole comunali.
Ora se è vero che le scuole comunali sono diventate assolutamente minoritarie rispetto alle scuole statali, è altrettanto vero che nelle grandi città, come ad esempio Milano e Bologna, le scuole comunali sono ancora la maggioranza e hanno una grande tradizione che va salvaguardata.
Quale prospettiva allora?
Noi abbiamo sempre sostenuto la decentralizzazione della gestione di tutta la scuola (in questo senso le scuole dell’infanzia dovrebbero essere tutte a gestione comunale, come in tantissimi Paesi europei), ma non è certo questa la linea prevalente, soprattutto alla luce della nuova Costituzione.
Va allora prevista l’unificazione delle due scuole attraverso un processo di statalizzazione delle scuole comunali, ivi compreso il personale, che deve cominciare con l’omogeneizzazione del contratto degli insegnanti comunali con quello della scuola statale, come è stato fino a poco tempo fa in città come Bologna , Firenze e Verona, per citarne tre. Questo agevolerebbe la progressiva unificazione della scuola comunale con quella statale, e nell’immediato avrebbe un altro importante effetto: frenerebbe l’esodo degli insegnanti comunali verso la scuola statale.
Ora in fase di rinnovi contrattuali questo è un obiettivo assolutamente percorribile, se se ne ha la volontà.