A cura di Tiziana Pedrizzi
Il 7 luglio, alla presenza del Ministro Giannini e del Sottosegretario Faraone- mai tanti importanti politici avevano presenziato alle attività Invalsi- è stato presentato, come ormai consuetudine, il Rapporto Invalsi 2016. Forse il primo Rapporto pienamente e tranquillamente istituzionale.
Copertura quasi totale
Tramontato il pretesto della battaglia contro la Buona scuola, che aveva visto molto boicottaggio soprattutto fra le scuole secondarie del Sud in cui un confuso coacervo di “lotte” studentesche e di opportunismi di corpi insegnanti aveva reso i dati inattendibili, si è tornati ad una copertura quasi totale con alcune storiche enclave di resistenza che sarebbe antropologicamente interessante indagare.
Risultati sostanzialmente immutati
I risultati in sè non sono molto cambiati. In valori assoluti stessa graduatoria delle macroaree: nell’ordine Nord (con il NordEst ed il NordOvest sempre a ridosso),Centro, Sud e SudIsole. Le Marche si confermano ormai da anni come l’outsider più significativo.
Analisi dei fattori correlati
Le analisi riservano una attenzione crescente ai fattori correlati quali regolarità, nazionalità e genere. Due notazioni interessanti in proposito:
- non sempre l’essere anticipatario è un fattore di buone prestazioni, anzi soprattutto nelle regioni come la Campania in cui si registra una rincorsa di massa a questo “privilegio”, può diventare una causa di mediocri prestazioni qualora ovviamente riguardi soggetti “non pronti”.
- Il genere femminile come sempre, anche nelle analisi internazionali, si distingue per buoni risultati, ma la matematica rimane una roccaforte maschile soprattutto – attenzione – ai livelli alti: una peculiarità questa tutta italiana.
Prospettiva della somministrazione informatica
In prospettiva Invalsi sta cercando di orientarsi verso la somministrazione informatica delle prove. In sede di presentazione è stata data notizia di una prima esperienza realizzata con i Centri di Formazione Professionale su 5000 allievi con buoni risultati. E’ vero che il livello di operatività della formazione professionale in certe tipologie e regioni è molto alto, ma ci sono buone speranze di potere estendere il tutto anche alla istruzione statale e non. I vantaggi potrebbero essere anche la possibilità di indagare competenze diverse ma prima di tutto la tempestività e la affidabilità della raccolta dati ed una ovvia minore facilità alle copiature.
Il cheating
Le copiature non diminuiscono nelle regioni del Sud neppure nelle prove di esame. Dopo anni, sarebbe anche il caso di porre problemi di legalità soprattutto nei confronti dei cosiddetti responsabili delle prove cioè presidenti di commissione ed anche presidi delle scuole stesse. Se si bara così impunemente nella sede dei mitici “esami di stato” a cosa servono tutte le famose educazioni alla legalità di cui si riempiono i siti? E’ vero che qualcuno pensa di risolvere il problema alla radice eliminando la prova dall’esame, ma comunque il problema etico resta. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che sembra sempre più chiaro che non si tratta del bisbiglio e della scopiazzatura fra vicini di banco, ma, detto in termini aulici, di teacher’s cheating, cioè sono gli insegnanti che paro paro dettano ai prediletti allievi la risposta esatta. Aleggia il dubbio che la finalità non sia solo quella di evitare loro un trauma formativo che vedrebbe compromessa la loro futura capacità di apprendere.
Misurazione del valore aggiunto
Ma la novità più importante di quest’anno è la misurazione del valore aggiunto cioè di quanto ci mette la scuola al netto dalle componenti di genere, nazionalità, stato sociale etc. Anche negli anni scorsi Invalsi aveva cercato una approssimazione a questa misura paragonando i risultati della singola scuola con quelli di scuole con allievi di stesso status economico- sociale (il fattore condizionante di maggiore importanza) Ma da quest’anno la misurazione deriva dalla tracciatura del singolo studente –protetto Dio guardi! dall’anonimato del codice – nei suoi quattro passaggi attraverso le prove. Ed anche qui a livello macro abbiamo delle conferme. Gli allievi in seconda partono tutti allo stesso livello nelle diverse macroaree, ma via via si separano nel senso che le differenze fra le prestazioni si accentuano fra le macroaree via via che proseguono nel percorso scolastico. Si direbbe perciò che nel nostro paese non siano gli anni prescolari a fare la differenza ma i condizionamenti socio-culturali di contesto oltre che ovviamente le efficienza delle scuole.
Quella sul valore aggiunto è una informazione decisiva perché le scuole vengano valutate non in relazione alle caratteristiche degli studenti in entrata ma al loro lavoro. E qui finalmente una novità positiva: al Sud ci sono scuole eccellenti come al Nord ed al Centro; il problema grave sta nel fatto che ci sono molte più scuole che non sembrano lavorare bene. E questo sembrerebbe spiegare la mediocrità dei risultati
Perfezionamento prove e Scuola Autori
Sostanzialmente si può dire che stiamo assistendo da qualche anno ad un assestamento e ad un perfezionamento dell’impianto delle prove con anche un affinamento della loro qualità, aspetto sul quale la presidente Ajello si è soffermata nel suo intervento grazie anche alle sue specifiche competenze.
Ogni anno in luglio si tiene la Scuola Autori che pone le basi del lavoro dell’anno successivo e che recluta insegnanti dei vari ordini di scuola i quali lavorano per una settimana per riflettere su questioni di carattere generale ma soprattutto per produrre una base di nuove prove.
Il problematico utilizzo dei dati
Ora sembra che il problema sia del che fare di tutta la massa di dati che si vanno raccogliendo.
Un primo livello è quello della ricerca. In Italia poichè l’accademia, più per arretratezza che per ostilità culturale, non ha mai coltivato e non coltiva la ricerca quantitativa, nei decenni passati non si sono sviluppate scuole e filoni di ricerca significativi in proposito. Qualcosa in economia dell’istruzione ed in sociologia dell’educazione, in pedagogia niente. Qualche approfondimento è stato fatto su PISA a partire dai rapporti nazionali e regionali delle diversi edizioni, ma i dati Invalsi giacciono sostanzialmente intonsi. Anche i Rapporti hanno solo sommariamente analizzato alcune poche variabili correlate: regolarità, genere, nazionalità, status economico sociale.
- Per incoraggiare la sviluppo di una ricerca che ne sfrutti le potenzialità si terrà a cura di Invalsi il 20 settembre una giornata di presentazione di quelli che gli addetti ai lavori chiamano “paper”, cioè analisi approfondite di singoli aspetti. Non mancano i temi su cui esercitarsi: ad esempio quale è la differenza nei risultati fra le scuole a tempo pieno e le altre? Non che l’italiano la matematica siano gli obiettivi esclusivi della formazione primaria, ma insomma…
- Il secondo e più importante problema è quello dell’ utilizzo dei risultati delle prove presso il grande pubblico e gli interessati soprattutto le famiglie. Dopo anni di sorda lotta fra opposti estremismi cioè fra chi le voleva monopolio catacombale delle scuole ai soli fini del miglioramento (ciò che notoriamente è avvenuto solo in una frazione infinitesimale) ed i sostenitori di League Tables italiane, quest’anno la pubblicizzazione è infine avvenuta anche se in forma soft. Alcune informazioni di base – i risultati assoluti (con cheating ) comparati con quelli di scuole di pari livello sociale e le differenze fra le classi – sono state infatti obbligatoriamente collocate nel Rapporto di Autovalutazione, apparso all’inizio di novembre sui siti di tutte le scuole a disposizione dunque di genitori e comunità. L’integrazione da quest’anno delle informazioni circa il valore aggiunto prodotto potrà fornire una immagine completa e più giusta. Il problema però sta nel fatto che, a differenza dei Paesi anglosassoni in cui la gente cambia casa per mandare i figli nelle scuole migliori, qui in Italia il fatto è passato quasi inosservato. Anche perché nessuno ne ha fatto grande pubblicità né le scuole presso i genitori, né l’Amministrazione presso l’opinione pubblica in generale. Ed il livello del giornalismo scolastico è da sempre principalmente interessato agli scandaletti improbabili in particolare nei licei della capitale.
A.S. 2015-2016 anno di avvio del Servizio Nazionale di Valutazione
Iniziato dunque con la pubblicazione un po’ clandestina del RAV, l’anno che si chiude può essere considerato quello di avvio del Servizio Nazionale di Valutazione. I NEV, Nuclei Esterni di Valutazione, da marzo hanno iniziato a visitare una percentuale pari a circa il 5% di scuole campionate: visite di tre giorni da parte di un gruppo composto da un Ispettore, un esperto di scuola (docente o dirigente) ed un esperto di metodologie della ricerca. Prima, durante e dopo la visita, obbligatoria la compilazione di un rapporto particolareggiato e guidato su 49 indicatori di processo e di risultato, la conferma o meno del
punteggio autoattribuitosi dalle scuole ed il parere sui campi di miglioramento dalle scuole individuati. Attualmente sono in corso le prime restituzioni alle scuole; questa prima fase dovrebbe concludersi nell’autunno.
Sarà interessante registrare i risultati di questo primo esperimento in equilibrio su un filo molto delicato. Per i NEV infatti è doveroso evitare lo Scilla dell’atteggiamento giudicante in senso punitivo ma anche il Cariddi del “volemose bene” rischio più probabile alle nostre latitudini. E d’altra parte, senza sanzioni o premi evidenti se non la buona o la cattiva fama, le scuole dovranno trarre da se stesse le forze morali e l’orgoglio per muoversi effettivamente verso un miglioramento. L’individuazione del valore aggiunto di ogni singola scuola potrà aiutare ad individuare le più bisognose di visite e quelle all’inverso che potranno dare supporto anche negli stessi territori.
Però almeno qualcosa si muove. Il Ministro Giannini stessa ha riportato che al recente G7 è stata positivamente apprezzata la esistenza nel nostro paese di un sistema organico ed affidabile di valutazione degli apprendimenti e delle scuole. Tutto sommato non molti Paesi ne sono oggi dotati.
Sottosegretario Faraone: fine prova INVALSI all’esame di 3^ media
Per tornare, chiudendo, alla presentazione Invalsi, un po’ di pepe in una atmosfera sostanzialmente tranquilla l’ha messo il tema dei destini della prova Invalsi all’interno dell’esame di terza media. Il sottosegretario Faraone ha infatti scelto questa occasione per informare che nei decreti di attuazione della L. 107/2015 se ne sta preparando la cancellazione. Da anni alcune associazioni di docenti e dirigenti lo chiedono: la sua presenza disturberebbe il setting anche psicologico dell’esame .Sostanzialmente si teme che un qualche fattore esogeno metta in qualche modo in discussione – stiamo parlando del 17% del voto- quello che è giusto definire come un vero e proprio monopolio valutativo I dati presentati ricavati da un lavoro di Angela Martini sembrerebbero peraltro dirci che nel 91% dei casi la prova non ha cambiato il voto e per il resto in metà dei casi lo ha alzato e nell’altra metà lo ha abbassato di 1 punto. Dunque una incidenza relativa che sembrerebbe confermare la validità sostanziale dei giudizi delle scuole lasciando un piccolo spazio a qualche limatura che valorizzi le intelligenze “naturali” che talvolta si accompagnano magari a comportamenti non all’altezza.
L’ alternativa è quella di bypassare completamente le prove ufficiali di esame e di collocare una prova di Italiano e Matematica nel corso dell’anno che sia anche un potente strumento di certificazione. Una soluzione efficace per l’esame di terza media, ma soprattutto finalmente per l’esame finale delle scuole superiori, un tassello ormai completamente spanato del nostro sistema valutativo-certificativo. Di cui dovrebbero seriamente occuparsi i nostri legislatori invece di tornare ad ormai risibili esaltazioni delle lettere invece dei voti.