Perché un nuovo libro sulla valutazione
Ancora un libro sulla valutazione? Ci si potrebbe chiedere, tanti ce ne sono in circolazione. Il filone è lungi dall’esaurirsi e lo è tanto più in un Paese, in cui l’università continua ad ignorare questo settore di indagine e di formazione di specialisti. La situazione italiana è ben lontana da quella tedesca che assegna alle università la responsabilità di pilotare la partecipazione alle grandi indagini internazionali come TIMSS o PISA; è piuttosto simile a quella francese dove il mondo accademico si limita a criticare le valutazioni su vasta scala, ma non se ne occupa.
In questo contesto il volume qui presentato è estremamente utile per conoscere meglio quanto è successo in Italia in questo campo nel corso degli ultimi 20 anni e percorrere lo spettro dei molteplici tipi di valutazione al cui centro in Italia sta l’INVALSI.
Il libro, Valutare per migliorare le scuole, curato da Brunella Fiore e Tiziana Pedrizzi ed edito da Mondadori Università (2016), è suddiviso in tre parti. La prima parte illustra i vari elementi della valutazione dell’istruzione, la seconda i modelli di valutazione e la terza, di tipo antologico, presenta un certo numero di testi rari sulla valutazione, specialmente quella su larga scala in Italia.
A chi sono rivolte le valutazioni dell’istruzione?
Il messaggio del volume è chiaro: la valutazione è uno strumento che fornisce informazioni utili per migliorare le scuole. Ma a chi sono destinate le informazioni? I destinatari sono molteplici.
In primo luogo i responsabili delle politiche scolastiche, che dovrebbero disporre di informazioni dettagliate sulle scuole, sui docenti, su quanto apprendono gli studenti. Da questo punto di vista è indubbio che le valutazioni su vasta scala dei sistemi scolastici forniscano una miniera di informazioni di grande utilità per il pilotaggio e la gestione dei sistemi scolastici, in una fase storica in cui l’istruzione scolastica è diventata una pietra miliare della preparazione per qualsiasi scelta professionale. Tutti devono essere formati in modo adeguato e l’istruzione è elemento indispensabile del successo professionale e sociale come si profila oggi nelle società occidentali dell’emisfero Nord.
Le valutazioni su vasta scala dei sistemi scolastici producono informazioni utili non solo ai responsabili politici, ma anche a tutti coloro che sono coinvolti nella gestione o nella fruizione delle scuole: i dirigenti scolastici, i responsabili locali, gli insegnanti, le famiglie. Per tutti questi la comparazione tra scuole è sollecitata non solo dal clima generale dovuto all’importanza acquisita dall’istruzione nelle società scolarizzate, ma anche dalle pressioni esercitate dai promotori della libera scelta della scuola. E’ evidente che laddove si instaura la libertà di scegliere la scuola, la disponibilità di elementi per compararle diventa fondamentale.
In un’epoca nella quale la comparazione dei prodotti è una caratteristica di tutto il mondo della produzione e del commercio, anche la comparazione tra sistemi scolastici, tra scuole, tra insegnanti è diventata una faccenda ovvia, che va da sè. Ma le comparazioni non sono affatto facili, non lo sono tra marche di frigoriferi o d’automobili, figurarsi tra scuole. Ugualmente è tutt’altro che facile definire gli obiettivi e le modalità di utilizzo delle informazioni fornite dalle valutazioni.
Valutare per migliorare, ma cos’è il miglioramento?
Si deve subito chiarire che le valutazioni non sono uno strumento di valutazione assoluta della qualità, ma operazioni che valutano determinate caratteristiche. Sono pertanto operazioni relative. Lo sono nel modo con cui analizzano e riferiscono i risultati, lo sono rispetto agli obiettivi che si vogliono perseguire.
L’obiettivo universalmente affermato è il miglioramento delle scuole. Ma si può discettare a lungo su cosa significhi miglioramento, sugli obiettivi del miglioramento e quindi sull’impostazione dei metodi per valutare il conseguimento o meno di questi obiettivi.
Gli obiettivi delle scuole mutano e con essi anche il concetto di miglioramento, che può essere inteso in senso stretto o ampio.
Per alcuni le scuole migliorano solo se la media dei punteggi degli studenti nelle prove standardizzate si innalza. Media più alta significa scuola migliore perché gli apprendimenti scolastici degli studenti, almeno quelli misurati nelle prove standardizzate, sono migliorati. Per ottenere questo risultato si è spesso disposti a tutto, anche a “taroccare” le prove , a barare.
Altri sostengono che l’evoluzione delle medie dei punteggi non è affatto un indice di qualità e che occorre prestare attenzione ad altre dimensioni. Dimensioni che le attuali prove standardizzate colgono male o non colgono affatto.
Di tali questioni si hanno riferimenti nella parte terza del volume curato da Pedrizzi e Fiore, ossia nell’antologia di testi proposti alla riflessione.
Va aggiunto che le valutazioni possono non incidere sulle prestazioni di una scuola (ed è quanto succede spesso), oppure possono persino peggiorare il clima e gli impegni. Per tutto questo ritenere che la valutazione sia un bene in sé è una scelta aprioristica, una scommessa. Ci sono istituzioni scolastiche note come problematiche da decenni, valutate e ultravalutate, che non sono cambiate di un millesimo, sono rimaste tali e quali. Per esempio nella città di New York, che è uno dei distretti scolastici più vasti degli Stati Uniti, si sono individuate scuole deboli e pessime, gli insegnanti sono stati sospesi dall’insegnamento, sono stati sostituiti da altri, ma la situazione non si è modificata.
In conclusione, nonostante l’impegno scientifico innegabile nel campo della valutazione, di cui il volume qui presentato è una valida testimonianza, i risultati delle valutazioni su vasta scala non hanno spesso contribuito a migliorare le scuole. Sono servite a suonare un campanello d’allarme, ma il miglioramento è un’altra cosa.
Il caso Italia fino al 2000
Se volgiamo ora l’occhio all’Italia, vediamo che, fin dalla fine degli anni 60 del secolo scorso, ha partecipato a moltissimi studi comparati internazionali, che hanno fornito in genere indicazioni allarmanti sulla qualità dell’istruzione scolastica italiana comparata a quella di altri sistemi scolastici. Tali valutazioni, però, non hanno indotto nessun progetto politico scolastico particolare. Fino all’inizio del nuovo secolo non si sono avuti in Italia commenti pubblici, né di critica, né di accettazione dell’impostazione delle valutazioni. Si è partecipato alla spese, si sono effettuate le valutazioni, senza reazioni, né in bene né in male.
Per molti anni , dal 1960 al 2000, i risultati delle valutazioni internazionali, alle quali l’Italia ha partecipato, sono rimasti iper-confidenziali e la partecipazione è stata l’opera di una piccola pattuglia , pilotata allora dal CEDE, il Centro Europeo dell’Educazione, con sede a Villa Falconieri a Frascati, diretto da Aldo Visalberghi. I risultati delle valutazioni del sistema scolastico italiano, spesso disastrosi da un punto di vista comparato, erano comunicati da Visalberghi ai vari ministri dell’Istruzione, e nel ministero rimanevano sepolti. Ci si può chiedere a questo punto come mai questa riservatezza, di cui parla anche Pedrizzi nel suo saggio. Forse perché Visalberghi e la sua équipe erano consapevoli dei limiti scientifici delle indagini e delle comparazioni effettuate allora? In mancanza di informazioni e di documenti sulle ragioni di questi comportamenti non è possibile chiarire questo dubbio.
Fatto sta che in Italia fino al 2000 non si sono né discussi né diffusi i risultati delle indagini internazionali su vasta scala del sistema scolastico. Non solo,in Italia si diffidò talmente delle valutazioni fino al punto da non suscitare nessuna scuola di psicometria in ambito universitario. Ancora oggi i tentativi di creare centri universitari italiani che formino specialisti della valutazione scolastica faticano moltissimo a sopravvivere. Ci sono pochissimi laureati che si specializzano nelle valutazioni e la pedagogia insegnata nelle università va in tutte altre direzioni.
Fino al 2000 pochissime persone erano al corrente delle metodologie messe a punto negli istituti internazionali di ricerca scientifica specializzati nelle valutazioni su vasta scala e nella costruzione di prove standardizzate, nonché delle procedure adottate per pilotare la realizzazione di indagini comparate sulla qualità dei sistemi scolastici. Nel contesto internazionale il mondo scolastico italiano non era presente, non influiva né sugli indirizzi né sulle scelte delle indagini. Esisteva il minuscolo polo di Frascati che era però del tutto insufficiente per agire sull’impostazione scientifica del programma di indagini.
Il caso Italia nel nuovo secolo
Oggi la situazione è leggermente cambiata. Gli specialisti ci sono, poco importa dove si annidino e come si siano formati. Gli autori e le curatrici del volume ne sono un buon esempio.
Una certa conoscenza dei metodi e delle procedure esiste. Manca ancora una reale specializzazione. Non ci sono specialisti di punta in grado di tenere testa agli agguerriti ricercatori internazionali oppure di far valere opzioni scientifiche alternative, di criticare, con argomenti accettati nel contesto accademico, le scelte dominanti. Questa debolezza si paga: l’Italia vive ancora al traino di quanto si decide sul piano internazionale. L’INVALSI tenta di impostare e di condurre progetti di valutazione dell’istruzione originali, ma l’istituto è troppo debole da svariati punti di vista per sostenere una via italiana alla valutazione e alla scolarizzazione. Il volume offre uno squarcio su questa prospettiva, su quanto si fa oggi in Italia dal punto di vista della valutazione su vasta scala ed è assai interessante da questo punto di vista, perché permette di rendersi conto dei progressi compiuti in una quindicina di anni. Il panorama vigente degli studi sulla valutazione su vasta scala in Italia è del tutto incomparabile con quello di una ventina di anni fa ed è molto migliore, ma non si è ancora usciti dal limbo nonostante i lavori ammirevoli illustrati nel volume.
Esiste una via italiana alla scolarizzazione?
Esiste una via italiana alla scolarizzazione? Si chiedeva qualche tempo fa Giorgio Chiosso in un articolo sul Sussidiario. E’ probabile che nelle attuali società scolarizzate si tenda verso forme omogenee di istruzione scolastica, verso un modello unico di scuola, quello ampiamente propagandato dalle organizzazioni internazionali che si occupano di politica scolastica . Ma si può anche dire che sono all’opera tendenze opposte, che difendono tipi di scolarizzazione alternativi. Sussiste la speranza, per quanto flebile, che l’Italia sappia giocare un ruolo di primo piano in questa contesa fra i due modelli:
1) il primo privilegiato dalle organizzazioni internazionali intergovernative che esaltano la cultura scientifica prodotta dal mondo accademico e valorizzano le competenze sostenute da un certo mondo aziendale;
2) il secondo rivolto a una scuola diversa, che non elimina gli obiettivi della società scolarizzata, ma che li amplifica, li propone in altri modi: una scuola che educa e non insegna soltanto.
I saggi presentati nella terza parte del volume riflettono bene i dubbi, le interrogazioni e le debolezze italiche. Vi si trova anche un saggio internazionale firmato da sociologi della corrente neo-istituzionalista. A livello internazionale il dibattito è molto ricco e vivace , come ad esempio negli Stati Uniti, dove le politiche del Governo Federale esigono standard comuni, prove scientifiche prima di assegnare sussidi sostanziosi ai sistemi scolastici dei vari Stati USA.
Molto cammino è stato percorso in quasi 100 anni, dal 1930 ad oggi. Molti temi sono stati sviscerati, come per esempio quello della compatibilità tra qualità ed equità. Oggi si sa che si possono contemperare i buoni risultati con il raggiungimento per tutti dei livelli essenziali dell’istruzione, si sa che si possono valorizzare i talenti senza penalizzare i più deboli. Un tale obiettivo, però, è perseguibile oggi, in epoca di scolarizzazione universale, solo se le scuole sanno evolvere e abbandonare definitivamente il modello ereditato dall’Ottocento.
In questo contesto, può l’Italia mettersi alla testa di una coalizione internazionale che imponga moduli di valutazione alternativi nella società iper-scolarizzata attuale? La porta è aperta. I progressi nel settore della valutazione realizzati in pochissimi anni nel mondo italiano, e di cui il volume è una bella testimonianza, potrebbero indurre a essere ottimisti. Oggi in Italia ci sono specialisti che sanno discutere a testa alta con i migliori specialisti internazionali.