RELIGIONE ED EDUCAZIONE

Tratto da Religion and Education - Oxford Studies in Comparative Education, a cura di Tiziana Pedrizzi

Oltre il provincialismo del dibattito italiano sull’istruzione

p1Il dibattito sulla scuola in Italia si avvita da anni sugli stessi temi: professionalità docente e creazione di un quadro intermedio, centralizzazione o decentralizzazione, rapporto scuola-lavoro, dispersione scolastica, valutazioni INVALSI.

Passi avanti lenti e faticosi e subito retromarce poco tempo fa impensabili.

Il Movimento 5 stelle a cui, nonostante la presenza di un ministro leghista, pare sia stata abbandonata la scuola, ha ottenuto di colpire l’alternanza, ha azzoppato la certificazione all’esame di maturità, ora attacca direttamente dalla Calabria l’esistenza stessa delle prove Invalsi.

Una parte di responsabilità di questa pericolosa situazione l’ha anche la grande maggioranza (non tutti per fortuna) di chi dovrebbe essere la testa pensante della categoria: associazioni, ricercatori, accademici, pubblicistica sulla scuola. Quelle che si leggono sono quasi sempre “prediche inutili”, un’oratoria parenetica, ricerchine rigorosamente qualitative ed altrettanto rigorosamente politicamente corrette con i begli esiti che vediamo.

Ma soprattutto un orizzonte provinciale con talvolta un’evocazione flebile di quanto avviene oltre Chiasso solo in funzione strettamente strumentale ai propri assunti.

ADI ha sempre cercato, con le sue limitate forze, di sollevare il velo. Ora si vorrebbe sistematizzare questo obiettivo offrendo sintesi temporalmente sistematiche di quanto offre il mondo della ricerca estera.

Oxford Studies in Comparative Education

p2Cominciamo con il presentare i contenuti di alcuni numeri tematici  degli Oxford Studies in Comparative Education che edita i Symposium Books su temi ampi e differenziati.

L’impostazione degli autori è classicamente di tipo progressista – come quasi ovunque nel mondo della scuola- legata al mondo laburista in una versione non-blairiana. I contenuti dei contributi spaziano a livello internazionale e dimostrano una serietà scientifica che prescinde dalla pur legittima impostazione valoriale.

 

Il volume Religion and Education

Il volume 27 affronta il tema “Religione ed educazione” con 17 contributi di cui vengono qui presentati quelli che si pensa possano essere di maggiore interesse per il lettore italiano.

In premessa il volume collettaneo sviluppa alcune importanti riflessioni che costituiscono la premessa ed il sostrato di tutto il lavoro.

La religione nel passato ha avuto una funzione importante nel modellare i sistemi educativi e continua ad avere un ruolo importante anzi crescente nei sistemi di valori dei popoli.

p3La secolarizzazione ipotizzata e patrocinata dalla ideologia marxista, ma anche da quella liberista funzionalista, non si è in effetti realizzata, anzi la religione è tornata ad essere un elemento determinante nella visione del mondo e nelle pratiche di intere popolazioni

Secondo il Parliament of the World’s Religions – la Task Force dell’ONU sul tema – la religione ricopre anche un ruolo cruciale per raggiungere buoni risultati di apprendimento.

Ma nei documenti ufficiali degli organismi sovranazionali è completamente ignorata: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile nei suoi 17 Sustainable Development Goals non dà che pochissimo spazio alle religioni. Esse in particolare sono assenti dall’ Obiettivo 4 che tratta di educazione ed apprendimento “… assicurare per il 2030 che tutte le persone in apprendimento acquisiscano il sapere e gli skill necessari per promuovere lo sviluppo sostenibile, compresi fra gli altri- attraverso l’educazione per lo sviluppo sostenibile e sostenibili stili di vita- i diritti umani, l’eguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non violenza, la cittadinanza globale e l’apprezzamento della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile.”

Le dimensioni del tema trattate spaziano su tantissimi argomenti quali:

  1. i sistemi di scuole di ispirazione religiosa particolarmente importanti nella educazione dei poveri,
  2. l’educazione religiosa nei sistemi e nelle scuole pubbliche,
  3. la conoscenza di credi diversi in società crescentemente miste;
  4. e ultimo ma non il meno importante, la trasmissione dei valori e delle loro pratiche.

Significativamente si afferma che il rispetto per la storia è un importante primo passo per la comprensione dei fenomeni.

Una parte significativa dei contributi appunta la sua attenzione sull’Estremo Oriente, sia nella versione confuciana che in quella buddista che infine in quella delle diverse versioni del cristianesimo.

L’educazione ispirata al confucianesimo

p4Abbastanza nuovo, in particolare per l’Italia, il contributo sugli Istituti Confucio e sulla loro azione di diffusione culturale nel mondo ed in particolare in Africa.

Nati sul modello del British Council e degli altri istituti simili del mondo occidentale, l’inizio della loro attività a livello internazionale si colloca nella Corea del 2004 con l’obiettivo di venire incontro alla domanda di conoscenza della lingua e della cultura cinese.

 

Ma dal 2006 in Tailandia il focus è stato posto sulle scuole in una prospettiva più di massa e da allora le classi “confuciane” sono fiorite in giro per il mondo per iniziativa dello stato cinese, arrivando nel 2015 a 500 Istituti e 1000 classi.

In Africa, nella decade passata, l’espansione si è basata soprattutto sul rapporto con le istituzioni africane in risposta alla domanda di conoscenza di lingua e cultura cinese a livello universitario e in relazione con lo sviluppo del commercio con la Cina.

Due i modelli:

  1. l’uno centrato sull’ insegnamento della lingua e della cultura,
  2. l’altro sui servizi alla comunità.

A loro volta vengono utilizzati tre modelli di partnership:

  1. a guida cinese,
  2. a guida del partner,
  3. o a mutua guida.

Si tratta di un aspetto decisivo che spiega anche in parte il successo delle iniziative. La domanda è infatti cresciuta perché i Paesi africani vedono la Cina come un Paese in via di sviluppo come loro e con il quale è possibile sviluppare una collaborazione alla pari con mutuo e reciproco interesse; i modelli poi di intervento sono contestualizzati ed adattati alla situazione locale.

p5I principi ispiratori sono i principali caratteri del pragmatismo confuciano legati al mutuo rispetto e beneficio, quali:

  1. Benevolenza (amore e pace come essenza di una educazione umanistica),
  2. Giustizia (intesa come attenzione ai problemi sociali),
  3. Proprietà (intesa come comportamento in senso morale),
  4. Saggezza,
  5. Sincerità secondo il sistema della Via del Mezzo.

 

Si tratta, secondo l’autore di questo contributo, di un giusto mezzo fra utopismo idealistico e strumentalismo meschino tipici ambedue degli interventi del mondo avanzato occidentale. Sempre opinione dell’autore è che questa impostazione dovrebbe essere valutata con interesse da ONU, Banca Mondiale etc nel quadro dell’Agenda 2030 per i Sustainable Development Goals (SDGs).

Scuole di ispirazione buddista

Più direttamente centrato su obiettivi educativi per giovani in via di formazione sembra lo sviluppo in Tailandia di scuole di ispirazione buddista che mirano ad “una innovazione efficace che promuova i valori umani per una vita sostenibile”, tema affrontato in un altro contributo.

p6Obiettivo è mettere insieme lo studio con l’apprendimento dei valori buddisti: ad ogni obiettivo cognitivo deve essere sotteso un obiettivo formativo di carattere etico buddista, progettato rigorosamente dal corpo docente.

Le attività dello studente mirano alla costruzione del carattere, secondo la progressione Knowledge, Skills, Value (Conoscenze, abilità, valori). Le metodologie prescelte sembrano essere parenti di quelle della pedagogia attiva: la vita è imparare, e imparare è la vita.

 

A fondamento quelle che vengono definite secondo il linguaggio tradizionale le 4 nobili verità:

  1. identificare il problema,
  2. individuarne le cause,
  3. decidere la soluzione
  4. e pianificare i passi per arrivarvi.

Nel triangolo Famiglia-Tempio-Scuola è centrale la presenza dei genitori che sono coinvolti in modo molto approfondito e sono monitorati molto attentamente dagli insegnanti-monaci sugli aspetti fondamentali della educazione.

Educazione inter-religiosa fra cristianesimo, buddismo e confucianesimo

p7Legata a questa impostazione è l’ipotesi sottesa ad un altro saggio del volume che analizza storicamente tre momenti di dialogo e di educazione interreligiosa fra cristianesimo, buddismo e confucianesimo: il cattolicesimo si sarebbe arricchito nel passato dall’incontro con la Cina ed in generale con le religioni/ etiche asiatiche.

I tre momenti:

  1. Il primo momento: monaci siriani crearono nella zona occidentale della Cina lungo la Via della Seta un’ enclave cristiana, di cui rimangono tracce attraverso una stele che mostra tracce evidenti di sincretismo con forme del buddismo e del taoismo.
  2. Viene poi citata l’esperienza ben più nota del gesuita Matteo Ricci che, attraverso un lavoro di traduzione, creò un mix con la cultura confuciana, poi cancellato ed emarginato dall’intervento dei Domenicani, che accusarono l’esperienza di cedimento.
  3. Da ultimo viene ricordata l’opera di un missionario, in questo caso battista, che creò una Università mirante ad introdurre in Cina una moderna cultura scientifica pe ricreare élites autoctone.

Secondo l’autore, dopo un lungo periodo di egemonia occidentale ora si intravede la tendenza a rimettersi in competizione con le culture dell’East Asia che hanno notevoli elementi di somiglianza con il messaggio cristiano dal punto di vista etico. In tutte queste esperienze sarebbe infatti evidente l’assonanza di valori morali proposti.

Sempre sul tema della funzione etica delle religioni– in questo caso del cristianesimo– un altro saggio affronta il ruolo della Chiesa e dell’apprendimento religioso delle giovani donne lavoratrici migranti nella Cina dell’Ovest. Per donne che provengono da contesti rurali, da sempre cattolici, il fatto di essere circondate da persone della stessa religione, di frequentare regolarmente la chiesa, di utilizzare le relazioni anche per prospettive di studio e lavoro e soprattutto l’ accettare i valori morali, in particolare in campo sessuale, le preserverebbero dai pericoli dell’urbanizzazione. In tal modo sperimenterebbero la possibilità di sviluppare prospettive autonome diverse da quelle che la tradizione locale riserba alle giovani donne. La religione deve essere dunque considerata in Cina come uno strumento per costruire una società armoniosa e pertanto essere integrata fra gli strumenti dei Sustainable Development Goals.

Rapporto fra religioni e potere politico in Russia

p8Spostandosi sul terreno del rapporto fra religioni e potere politico, un altro saggio mette a fuoco quello che definisce il non facile ritorno della religione nella scuola russa.

Vale la pena dedicare una ampia sintesi visto il ruolo che la Russia va ricoprendo nel dibattito della politica interna italiana.

L’idea base dei riformatori post sovietici degli anni ‘90 fu colmare il vuoto di valori con la religione: la religione dunque come tesoro culturale, ma con sottesa una finalità ideologica.

L’autore ricostruisce il percorso storico del problema, ricordando che la Chiesa Ortodossa non è mai stata autonoma dal potere politico (cesaropapismo) né  è stata considerata come un interlocutore necessario sulle decisioni di carattere politico.

In Unione Sovietica, dopo una prima fase di ateismo militante, Stalin ristabilisce nel 1943 una Chiesa Ortodossa sotto totale controllo per i fini patriottici della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo il ‘90 si assiste ad una sperimentazione romantica ed entusiastica dell’educazione religiosa: entrano in forze le chiese protestanti con grande ostilità  degli ortodossi.

Nella seconda parte del decennio gli ortodossi però, consolidano il loro potere, con il riconoscimento delle 4 religioni ufficiali (cristianesimo ortodosso, islamismo, buddismo e giudaismo).

Nel corso di una crisi profonda della società russa, Putin rimuove le barriere fra Stato e Chiesa con l’offerta nelle scuole superiori di un modulo elettivo di cultura ortodossa in cui viene sostenuta la piena compatibilità dell’educazione religiosa con la costituzione e la natura secolare dello stato. Non mancano nel gruppo dirigente accaniti contrasti in proposito e dal centro si torna a tentativi di secolarizzazione attraverso l’introduzione della storia delle religioni, mentre in alcune regioni periferiche si introducono moduli di religione ortodossa con l’opposizione forte dei musulmani.

Dopo una accanita discussione protrattasi fino al 2012 – per Putin la religione è importante come lo scudo nucleare – viene decisa un’ora alla settimana di educazione religiosa a scelta. Vengono varati moduli di Fondamenti di culture religiose ed etiche fra cui i genitori possono sceglierne uno: le religioni tradizionali protette sono il cristianesimo ortodosso, l’ islamismo, il buddismo e l’ ebraismo.

Le élites politiche ed i capi della religione ortodossa si erano accordati per una reintroduzione massiccia della religione tradizionale russa, mentre le altre religioni vennero considerate come etnicamente limitate e private della possibilità di proselitismo. Contenuti ideologici del corso: nazionalismo, fedeltà allo stato russo con radici nella Santa Russia di Kiev, presupposti di  imperialismo perché i limiti della patria religiosamente definita comprendono anche gli Stati Baltici, l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia.

I cattolici ed i luterani, che pure ebbero notevole importanza storica, sono oggetto di tolleranza sotto una netta superiorità ortodossa.

La Chiesa è sottoposta, come ai tempi dello zar, al controllo dello Stato ma ha bisogno del suo appoggio in presenza di un vero e proprio “mercato” religioso composto da protestanti e ortodossi dissidenti ed in mancanza di mobilitazione dal basso.

Infatti la realtà, secondo l’autore del saggio, è che il popolo russo non si mobilita, come testimoniato dalla frequenza molto limitata ai riti nelle parrocchie e dalla bassa adesione (la metà) alla educazione religiosa scolastica.

Islamismo ed educazione

p9Quattro saggi vengono dedicati al mondo islamico nei suoi rapporti con i problemi relativi all’educazione. Qui il problema fondamentale sembra essere quello della coesistenza fra la cultura tradizionale di impronta islamica e scuola pubblica, più moderna e potenzialmente emancipatrice.

Tagikistan post-sovietico

Nel Tagikistan, come altrove, l’URSS, dopo una prima fase di ateismo militante e successivamente di utilizzo dell’Islam in funzione della grande guerra patriottica, aveva cercato di convivere con un Islam moderato che non aveva potuto sradicare.

Oggi il problema della convivenza incontra maggiori difficoltà perché l’estremismo islamico, alligna tuttora nel Paese. Donde forti tendenze al controllo delle moschee, delle predicazioni, dei costumi come barbe e velo. L’idea  di fondo del regime attuale è quella di collegare la formazione islamica con la storia del Tagikistan, rendendo accessibile a tutti una visione moderata, critica e storicamente collocata dell’islamismo.

Cina del Nord Ovest

Per gli studenti musulmani Hui della Cina del Nord Ovest si parla di complementarità fra scuola pubblica ed educazione religiosa: la scuola offre un contesto culturale nel quale riflettere sui valori e le credenze che la educazione religiosa offre. La scolarità statale ha finalità di conoscenza e di trasmissione di valori morali socialisti, pur con la possibilità di flessibilizzazione e di adattamento ai bisogni delle minoranze, mentre la formazione religiosa mira alla trasmissione di tradizioni (preghiere, alimentazione e rispetto del Ramadan) e della moralità, strumento fondamentale per non essere assimilati etnicamente..Il problema sta nella difficoltà di tenere insieme le due istituzioni anche per motivi di tempo, poiché tutti sono consapevoli del fatto che la scuola pubblica dà possibilità di riscatto sociale e di sviluppo economico.

Bangladesh e Senegal

Nel Bangladesh ed in Senegal l’educazione islamica ha un grande ruolo, anche in crescita. Alla base ci sono ragioni economiche, poiché questo tipo di scuole si rivolge anche ai settori marginalizzati della società, ma soprattutto c’è l’attaccamento a valori tradizionali, in particolare in relazione alle donne. Sembra in corso un processo di parziale modernizzazione attraverso sistemi misti che comprendono:

  1. scuole governative laiche anti islamiche,
  2. scuole islamiche finanziate e controllate dallo Stato con un curriculo semi occidentale
  3. scuole islamiche integrali gratuite che servono zone marginali e povere con metodologie arretrate, segregazione di genere e pochi apprendimenti moderni.

India

Diverso ancora il caso dell’India in cui, secondo l’autore, la pratica della cooptazione viene usata dal governo indiano per integrare e smorzare il potenziale oppositivo dell’ampio sistema delle madrasse e modernizzarlo. La popolazione musulmana lamenta la marginalità del riconoscimento dell’elemento musulmano nella lotta per l’indipendenza ed il peso eccessivo della mitologia indù nei libri di testo.

Nel passato i musulmani erano la parte più avanzata della popolazione ora sembra il contrario.

La marginalizzazione sociale economica della comunità musulmana la stringe al suo interno e la lega per ragioni storiche ed economiche a livello internazionale alla Umma musulmana con al centro Saudi Arabia.

Il problema delle scuole private religiose nei Paesi in via di sviluppo

p10Un tema che in altre collettanee occupava nel passato un largo spazio era quello del ruolo delle scuole private all’interno di sistemi scolastici dei Paesi in via di sviluppo.

In questo volume un solo saggio affronta il problema.

E’ in corso una significativa e veloce diffusione di scuole religiose di iniziativa imprenditoriale a basso costo in molti Paesi del Sud del mondo.

Il saggio prende  in considerazione il caso di Haiti e del Kenia.

Esiste una diffusa diffidenza fra gli studiosi su questo tipo di iniziative che vengono contrapposte alle iniziative pubbliche statali; si critica anche il fatto che esse comunque emarginano i più poveri dei poveri.

Tuttavia, secondo l’autore del saggio, non si tratta tanto di investimenti, quanto di iniziative benefiche profondamente inserite nei tessuti locali che mirano a dare una risposta ai bisogni delle comunità, in particolare di quelle marginalizzate.

Le finalità sarebbero religiose, sociali, culturali ed assistenziali prima che imprenditoriali, perché il livello del guadagno è molto variabile: alcune scuole addirittura lottano per sopravvivere.

Del resto la scelta delle famiglie sarebbe dovuta all’assenza della scuola pubblica ed alla sua bassa qualità a causa della lontananza, del basso numero, della bassa qualificazione, dell’assenteismo degli insegnanti e della loro corruzione.

Caratteristiche di questa imprenditorialità sono: le pratiche innovative, i modi diversi di fundraising, di sponsorizzazione e di aiuto da parte delle chiese, ed in prospettiva l’ impegno ad aiutare gli allievi che proseguono gli studi fino al livello terziario.

Mentre lo sviluppo di queste realtà attualmente avviene su un terreno di contrasto con il sistema pubblico, secondo gli autori del saggio la soluzione sarebbe la complementarizzazione dei due sistemi, perchè questo tipo di scuole, difficilmente sostituibili, potrebbe contribuire a raggiungere gli SDGs (Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile).

Educazione religiosa in Israele

Tornando in Occidente, due sono i Paesi che vengono analizzati, nei quali il problema consiste nella coesistenza all’interno del sistema formativo di diverse religioni: Israele ed Irlanda.

p11In realtà in Israele i problemi principali vengono dai contrasti all’interno della maggioranza ebraica che vede un sistema laico di impostazione moderna, un sistema religioso moderno ove si registrano le maggiori turbolenze fra le diverse interpretazioni della educazione religiosa più o meno ortodossa, ed infine il sistema delle scuole private ultraortodosse che ricevono finanziamenti in proporzione alla percentuale di curriculo non religioso ed il cui principale obiettivo è la trasmissione dei valori religiosi

A fronte di questa variegata realtà il sistema arabo non presenta problemi religiosi cui si dà risposta privatamente, ma problemi relativi al basso livello della qualità, tanto che molti dell’élite si rivolgono ai privati musulmani o cristiani Tuttavia secondo gli autori mancano dati precisi sulle frequenze e sui trend, tali da permettere approfondimenti adeguati.

Educazione religiosa in Irlanda del Nord

La tesi del saggio su educazione e religione in Nord Irlanda non è scontata e sembra molto ispirata dalle vicende storiche del Paese. La religione non sarebbe la primaria causa del conflitto, ma la sua p12“copertura” e sarebbe perciò inutile attenuare le caratteristiche del suo insegnamento. Mancano le evidenze che una educazione multireligiosa e multiculturale eviti i conflitti e peraltro la rimozione della religione e la secolarizzazione di parti della società hanno anzi dato luogo ad una sua intensificazione. Tanto è vero che il nazionalismo spesso combatte la religione ed il repubblicanesimo si ispira al marxismo ateo che giustifica la violenza.

L’equazione: confessionalismo = indottrinamento = violenza dunque non reggerebbe. Le forme di indottrinamento sono varie e non è detto che la religiosità impedisca la razionalità e le capacità critiche. Al contrario una educazione religiosa può rendere più rispettosi. Dati questi presupposti, la peculiarità irlandese consiste, secondo l’autore, nel fatto che la religione cattolica fa parte integrante del sistema culturale irlandese e della identità nazionale, contrapposta a quella inglese.

La formazione religiosa è molto fondata sulla Bibbia e poco su valori etici generali o su un approccio multireligioso come avviene invece in Gran Bretagna. Il parere dell’autore del resto è che studiare troppe religioni sarebbe superficiale e confusivo.

La storia del problema: dal 1930 esiste un sistema duale di scuole pubbliche (protestanti) e cattoliche riconosciute e sussidiate in misura crescente, ma a fatica le due religioni cristiane hanno riconosciuto la necessità di studiarsi reciprocamente.

Un curriculo religioso comune elaborato negli anni 70 finalizzato a diminuire i settarismi venne in particolare poco adottato nelle scuole cattoliche con l’eccezione delle grammar schools. Peraltro anche il settore cattolico del Paese si è crescentemente secolarizzato e perciò non è sostenibile la tesi della religione come collante della comunità.

Quanto alle scuole religiose separate, pur condividendo l’opinione che i genitori hanno un diritto primario all’educazione dei figli, la tesi dell’autore è che sarebbe meglio una educazione cristiana comune almeno in settori sociali e culturali di avanguardia.

Conclusioni

p13Il volume si chiude con una analisi panoramica dello stato delle politiche scolastiche multiculturali nel campo religioso in 20 democrazie occidentali.

Mediante una analisi di cluster vengono presi in considerazione:

  1. la religione ufficiale,
  2. l’abbigliamento permesso,
  3. gli spazi di preghiera,
  4. le vacanze religiose
  5. e la istruzione confessionale

Anche in questo caso il punto di vista dell’autore non è scontato. A suo avviso, il futuro del multiculturalismo non presenta necessariamente elementi di crisi, ma è forte il bisogno di rinforzarlo ed aggiornarlo con la integrazione civica. In particolare i gruppi (etnici evidentemente) che vogliono il superamento di gerarchie ed ingiustizie nella società più ampia devono essere in grado di superarle al loro interno.

In ogni caso attualmente le 20 società analizzate si raggrupperebbero come segue:

  1. Paesi che consentono un’ alta libertà religiosa: Australia, Canada e Svezia.
  2. Paesi che consentono una moderata libertà religiosa: Austria, Olanda, Portogallo, Spagna e Danimarca.
  3. Paesi focalizzati sul Cristianesimo: Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Svizzera e Regno Unito.
  4. Secolaristi impegnati: Francia e Belgio.
  5. Paesi sensibili alla libertà religiosa: Nuova Zelanda e USA.

 

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