Buonasera a tutti, è un grande piacere e un onore poter affrontare stasera insieme a voi qui, in questo contesto eletto e nello stesso tempo familiare, il tema del valore dell’oralità a scuola. Un tema sorprendente, perché da un lato punta il dito verso una negligenza atavica della nostra didattica (non solo italiana), dall’altro svela tesori sommersi che sono lì a disposizione dei nostri ragazzi e che quasi nessuno sembra interessato a sfruttare.
Cercheremo anzitutto di dimostrare che la scarsa considerazione riservata all’oralità nell’insegnamento linguistico è probabilmente figlia di una storia culturale antica, certo più grande della scuola stessa, e di dinamiche sociali attuali che svalutano o si oppongono ad una comunicazione autentica.
È certo comunque che non possiamo più rimandare la questione: il futuro bussa alle porte delle nostre classi con richieste sempre più pressanti che vanno ponderate in termini educativi. In conclusione di questa introduzione possiamo sintetizzare così la sfida di cui ci occupiamo, parlando di competenze dell’oralità a scuola: recuperare l’uso della parola parlata come strumento di umanizzazione e di socialità.
Infatti in gioco non ci sono solo competenze scolastiche o anche di vita (le celebri ‘soft skills’), ma la difesa di valori umani più grandi come il dialogo, la partecipazione democratica, l’ascolto, la tolleranza, la capacità di gestire armonicamente i conflitti, la gentilezza: tutte forme, come si vede, di relazione fra uomini.
Dunque, questa relazione si dividerà in tre parti:
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la prima possiamo intitolarla ‘Breve storia di una cenerentola’, ripercorreremo infatti velocemente alcune tappe della nostra storia culturale che hanno segnato il trionfo della scrittura e la conseguente svalutazione della cultura dell’oralità, per cui questa è divenuta una cenerentola dell’insegnamento;
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nella seconda invece cercheremo di riconoscere i tesori, in termini di competenze, possibilità, obiettivi per cui è urgente puntare su una didattica dell’oralità, e dunque volendo continuare la metafora potremmo intitolarla ‘Il fascino della cenerentola’
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Nell’ultima ci chiederemo come attuare concretamente una didattica dell’oralità a scuola e accenneremo ad alcune proposte, fra cui il debate.
Definizione di oralità
Iniziamo con la definizione. Che cosa intendiamo ed intenderemo in questa relazione per oralità?
In italiano la parola esiste dal 1869 per designare “ciò che è detto, comunicato o trasmesso a voce”.
Gli inglesi però hanno coniato di recente (Wilkinson 1965) una parola ad hoc, ‘oracy’, per indicare l’abilità di usare le competenze orali di ascolto e parlato. E’ stata scelta per indicare la capacità dei ragazzi di usare il discorso per comunicare le proprie idee con gli altri a scuola e nella vita, cose a cui di norma ci si riferiva con termini più generici e svalutati.
Ecco dunque di qui la nostra definizione: oralità è la capacità di usare le competenze orali di ascolto e parlato. Essa si riferisce allo sviluppo delle competenze dei ragazzi nell’uso della lingua (prima, seconda..) per comunicare in situazioni formali ed informali.
BREVE STORIA DI UNA CENERENTOLA
Potremmo dire che in principio fu la parola parlata, al principio della nostra storia culturale. Il paradosso però è che nonostante nella nostra storia evolutiva l’oralità venga prima e sia stata l’unica forma di comunicazione per millenni, essa gode oggi di un prestigio minore, quando non scarso, rispetto alla scrittura. E c’è un altro, forse più grave paradosso: nel nostro mondo si parla ovunque, in tv, al cinema, alla radio, ascoltiamo messaggi, dichiarazioni interventi, trasmissioni, film, sembrerebbe essere l’epoca del parlato, invece abbiamo probabilmente smarrito la capacità di comunicare realmente con interlocutori che sono di fronte a noi, abbiamo perso la capacità comunicativa originaria del parlato che si esercita in relazioni faccia a faccia. A scuola – ripeto non solo in Italia – saper scrivere è considerata la cosa più importante nell’insegnamento linguistico.
L’oralità nel Fedro di Platone
Già 26 secoli fa Platone, difendendo nel Fedro la superiorità dell’oralità sulla scrittura, sembrava anticipare con grande lucidità molte delle ragioni oggi valide per recuperare il valore e l’importanza cruciale dell’oralità nei processi di apprendimento e nella stessa vita sociopolitica.
Nel testo, Socrate racconta l’aneddoto del dio egizio Theuth, inventore di molte arti, che offre al faraone Thamus la sua ultima invenzione, la scrittura, presentandola come il ‘farmaco della memoria e della sapienza’; ma Thamus rifiuta il dono perché esso in realtà produrrà gli effetti contrari di quelli annunciati da Theuth: produrrà dimenticanza e non memoria, perché affidandosi alla scrittura gli uomini ricorderanno le cose mediante segni esterni e non ‘dal di dentro’, da sé; essa procurerà agli uomini non la verità ma la sua apparenza, gli uomini diverranno portatori di opinioni più che sapienti (Platone conosceva i social?!) e per questo sarà difficile dialogare con essi; inoltre essa è nemica della conoscenza perché le cose che rappresenta ti stanno davanti mute, incapaci di parlare e di risponderti, e quando vanno in giro non sono capaci di difendersi o aiutarsi o di parlare a chi bisogna farlo. Al contrario, il testo parlato sa interagire con chi ha difronte, sa modificarsi, adattarsi, entrare in dialogo, entra a fondo nell’animo umano, è più profondo. Chiarezza e compiutezza sono proprie dell’oralità e non della scrittura, per questo i filosofi affidano le cose di maggior valore al discorso orale.
Tre riflessioni:
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Platone dà rilevanza prioritaria all’interazione nel processo di conoscenza e di apprendimento, e se pensiamo che la conoscenza nella sua filosofia deve essere propria di chi governa, comprendiamo il ruolo politico e sociale che l’oralità ha nel suo pensiero.
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Il filosofo coglie perfettamente che il parlato ha una grammatica diversa dalla scrittura, e che scrittura e oralità attivano differenti meccanismi e strutture cognitive;
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L’apprendimento che si ottiene con il processo lettura – scrittura è dunque diverso da quello ottenuto con l’interazione orale, meno profondo.
Trionfo della scrittura, decadenza dell’oralità
Trionfo della scrittura, decadenza dell’oralità: è l’epoca del passaggio di testimone. L’oralità è in fase calante, la cultura della scrittura e del libro diviene centrale, nell’azione e riflessione dei tragici, come dgli storici, dei Sofisti e per la verità in Platone stesso, il cui sistema filosofico basato su idee certe e immutabili richiede capacità di astrazione proprie solo della scrittura. È Aristotele (e i vari aristotelismi) a sancire comunque per i futuri millenni della cultura occidentale la superiorità del testo scritto: libri e scrittura sono indispensabili all’apprendimento, scrive nella Politica, e nella Poetica si occupa di dare regole ai grandi testi letterari scritti. Inizia una fase nuova della storia umana, scrive W. Ong nel suo classico ‘Oralità e scrittura’. L’uomo si distacca da una comunicazione per così dire naturale, crea il suo primo spazio artificiale in cui avviene la comunicazione. La scrittura infatti è anzitutto uno spazio, un luogo altro da quello naturale dell’interazione diretta, in cui si comunica. E infatti grande importanza nella comunicazione scritta ha proprio lo spazio della pagina, manoscritta, poi stampata, poi digitale…
E l’oralità? Si modella sulla scrittura, nasce un’oralità secondaria (seguiamo sempre Ong) che dalla scrittura prende: indipendenza dal contesto e da interazioni dirette, tecnologia, riproducibilità.
Prima ancora della stampa, che potenziò esponenzialmente questi processi, due fattori influirono potentemente: l’affermazione della retorica, delle regole di scrittura nei vari ambiti comunicativi, la diffusione e persistenza del latino come lingua universale della cultura occidentale (sulla quale ad esempio si modella anche l’italiano parlato). Centrandosi sulla scrittura la cultura divenne elitaria, un sapere di pochi. E nacque facilmente un pregiudizio verso una cultura non scritta, semplicemente orale.
Nel periodo illuministico non saper scrivere è sinonimo di barbarie, ignoranza, inciviltà.
E oggi, nell’epoca della convergenza al digitale? Sono evidenti le evoluzioni dei processi scrittocentrici a cui abbiamo accennato, ma siamo in presenza di passaggi nuovi nel rapporto oralità-scrittura. Per usare un’espressione di G. Roncaglia sta forse nascendo una scrittura secondaria che recupera tratti dell’oralità: l’interattività dei prodotti e degli spazi digitali prevede l’interazione con i destinatari, l’ipertestualità rompe la chiusura propria del testo scritto, si va quasi verso una forma di comunicazione in cui parlato e scritto coesistono.
La centralità della scrittura nei programmi scolastici
Questo è il contesto culturale noto che ho richiamato perché giustifica un dato fondamentale del nostro discorso: l’assoluta centralità della scrittura nei nostri (non solo italiani) programmi scolastici con l’oralità ancella della sorella scritta (e di fatto svalutata), ed un uso linguistico comunque modellato sul registro letterario, sottintesa la considerazione che parlare è un fatto naturale, che non richiede un insegnamento ad hoc. Considerazione deleteria ed errata, specie oggi paradossalmente, in cui dovremmo saper parlare tutti in italiano, ed invece per molti bambini italiani la lingua madre è una lingua 2.
Sfortuna e fortuna dell’oralità nei programmi scolastici
Scorriamo velocemente la storia dei programmi scolastici postunitari alla ricerca di tracce dell’oralità.
A partire dalla Legge Casati per circa un secolo, fino al 1934, l’insegnamento linguistico è completamente centrato sulla scrittura.
Alcune novità compaiono nei programmi del 1945 della Commissione Washburne, che ammodernò il programma d’insegnamento introducendo aspetti come la creatività; essi però rimasero poco conosciuti e non applicati.
Bisogna attendere i programmi per la scuola elementare del 1955 per trovare la ‘conversazione’ e l’ascolto (con la chicca nemmeno oggi scontata dell’ascolto preparato dei programmi radio), ma esse sono ancora funzionali alla scrittura e modellati sul parlato alto della recitazione. Insomma per parlare bene, bisogna parlare come si scrive.
La riscoperta del parlato avviene con i programmi delle medie del ‘79 e delle elementari dell’85. Sono anni in cui la linguistica e la pedogogia didattica hanno riscoperto il parlato. Nasce il GISCEL che dedica all’oralità una delle sue Dieci Tesi (la VII B). Nei programmi citati finalmente il parlato è considerato nella sua differenza dallo scritto, è declinato nelle due forme ascolto-parlato, entrano diffusamente la conversazione e l’interazione in classe. Grandi novità da questo punto di vista anche nell’insegnamento della lingua straniera, che recupera la dimensione della conversazione anche informale. La strada è segnata. Nonostante alcune battute d’arresto, nei programmi Moratti, parlato e ascolto sono ormai competenze imprescindibili fra gli OSA, anche se la conversazione e l’interazione sembrano spesso tacitamente orientate all’interrogazione, o comunque ingessate.
Con il Quadro europeo comune e le Indicazioni Fioroni (2007) le cose cambiano ancora: grande spazio alla conversazione, all’interazione, alla costruzione di ambienti di apprendimento ‘idonei allo scambio linguistico’, che è inteso anche in ottica socio e multiculturale. Nelle Indicazioni e Linee guida attualmente in vigore per tutti gli ordini di scuola è ormai acquisito lo spazio autonomo e significativo dell’oralità, nella doppia forma di ascolto e parlato, la rilevanza del suo corretto apprendimento per la cittadinanza e la partecipazione alla vita sociale e relazionale (consapevoli della grande difformità dell’esperienza linguistica in lingua madre da parte dei bambini e ragazzi).
D’altro lato le nuove Competenze chiave raccomandate dall’UE nel 2018 sono fortemente orientate a dare risposta alla complessità, puntando su dimensioni come (ancora!) la relazione, la resilienza, il pensiero critico, tutte innervate e necessitanti di una buona oralità.
Dunque c’è stato senz’altro un recupero netto di Platone, Socrate e … Cenerentola, nei documenti e nella riflessione teorica però più che nella pratica didattica. E certamente non si può dire ancora che l’oralità sia considerata allo stesso livello di altre grandi competenza come la comprensione dei testi, o quelle logico-matematiche, per le quali esistono prove nazionali e specifiche attività di formazione dei docenti.
Il recupero di stima dell’oralità è ancora troppo recente per poter colmare il gap con le altre competenze linguistiche.
I nemici dell’oralità
Oltre a ciò ci sono nemici esterni dell’oralità molto agguerriti che nella nostra cultura combattono o sono fortemente disinteressati ad un suo sviluppo:
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La povertà delle relazioni
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La crisi della comunità, luogo in cui si esercita la relazione e la parola
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La distanza dai centri decisionali, che induce a percepirsi irrilevanti nella vita sociopolitica
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L’appiattimento e il degrado culturale e valoriale
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L’alta conflittualità sociale
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Modelli comunicativi negativi basati su comunicazione di pancia, urlata, irrispettosa delle posizioni altrui
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Le forti spinte omologanti, caratterizzanti il mondo dei social e non solo, ‘allergiche’ al pensiero critico
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Infine, l’irrilevanza, la percezione di non avere un peso, non contare per nessuno, dimensione sempre più diffusa in un mondo in cui si distaccano sempre di più le sfere di chi ha il controllo e chi esegue degli ordini, magari senza saperlo.
Sono solo alcuni dei nemici, la lista potrebbe essere facilmente integrata; la loro esistenza ci induce a considerare ancora più urgente la nostra sfida: recuperare la parola orale da giocare con gli altri, come strumento di conoscenza e di dignità umana e sociale.
IL FASCINO DI UNA CENERENTOLA
E dunque chiediamoci: qual è nello specifico il valore e l’importanza dell’oralità, quali benefici possono guadagnare i ragazzi da una reale pratica didattica dell’oralità? E quindi come farla? Come valutarla? Insomma… il fascino della nostra cenerentola.
L’importanza dell’oralità
È ormai accertato da numerosi studi che educare ad ascoltare e a parlare produce a grappolo risultati positivi sull’apprendimento cognitivo, sulle competenze sociali ed emozionali e in genere di vita.
Lo schema sottoriportato tratto da ‘Oracy across the Welsh curriculum’, una ricerca recente dei proff. Mercer e Mannion dell’Università di Cambridge, luglio 2018, riassume il quadro dell’importanza dell’oralità nell’istruzione dei ragazzi basandosi su una ampia letteratura in proposito.
Come si vede l’impatto è vasto e va dalle conoscenze da acquisire al modo di acquisirle (ancora Platone!!), al miglioramento degli apprendimenti dei ragazzi disabili o DSA, alla competenza linguistica in genere, alle capacità critiche e logiche, all’autostima, alla capacità di controllare le emozioni… fino alla possibilità di superare svantaggi sociali e guardare con più fiducia al futuro. Non solo al lavoro.
Fra gli altri studi, la Camera di Commercio di Londra sostiene che il possesso di competenze ‘soft’ come la comunicazione e la capacità di lavorare in gruppo favoriscono molto l’occupabilità …
Alcuni concetti chiave
Fermiamo queste riflessioni in alcuni concetti chiave :
- Le competenze dell’oralità possono essere insegnate agli alunni in ogni anno di scuola.
- Aiutare gli studenti a capire come utilizzare la lingua per l’apprendimento li aiuterà a imparare meglio insieme e da soli.
- Insegnare le abilità della lingua parlata vuol dire insegnare a pensare
- Le “competenze trasversali”, che comprendono le abilità oratorie, sono un aspetto importante della capacità occupazionale di un individuo
- Le abilità orali possono essere generalmente applicate in tutte le lingue. Ci sono significativi benefici cognitivi nei casi di bilinguismo
- Gli studenti provenienti da ambienti svantaggiati hanno meno probabilità di avere un’esperienza linguistica e di conversazione ricca alle spalle. La scuola può far colmare il gap
- Lo sviluppo dell’oralità aiuta a superare disagi cognitivi e sociali.
Alcuni framework dell’oralità
Volendo declinare questi valori dell’oralità in un framework di competenze di cui perseguire l’acquisizione possiamo partire da quello formulato dall’Università di Cambridge e School 21, una scuola innovativa ritenuta fra quelle ‘eccellenti’ in UK, ospite del Seminario internazionale dell’ADI 2018, che basa il suo curriculum sull’oralità.
Se vogliamo una conferma che questa declinazione è efficace ecco altri due esempi di framework:
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Il framework della English Speaking Union (ESU)
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I criteri di valutazione del debate formulata da Debate Italia
Alcune riflessioni e approfondimenti
Qualche riflessione e approfondimento prima di andare avanti con proposte concrete:
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In tutti gli schemi che abbiamo visto è considerato rilevante l’aspetto ‘fisico’ della comunicazione parlata: ad esempio nel debate lo ‘Stile’ valuta tutti gli elementi para e non verbali, tono di voce, gesti, sguardo, postura, velocità dl parlato che sostengono l’espressione in pubblico. E parlare in pubblico poi richiede lo sviluppo di competenze emotive come la gestione delle emozioni, la capacità di risolvere problemi nella discussione, l’empatia. Fra le altre cose va segnalato che nelle Indicazioni della scuola proimaria e secondaria di 1° grado fra le educazioni previste nell’ascolto-parlato manca la prosodia, indicazioni sul tono (che è parte fondamentale della comunicazione orale), la velocità.
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Quando parliamo di parlato, parliamo di un binomio inscindibile: ascolto-parlato.
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L’ascolto (forse la più cenerentola delle competenze linguistiche) gioca un ruolo fondamentale nella comunicazione; alcuni studiosi considerano l’attività dell’ascolto un’attività di problem solving; essa comprende uno spettro di abilità che vanno dalla comprensione di testi, sapendone distinguere le caratteristiche fonetiche e testuali dei vari parlati (parlato-parlato, parlato-pianificato, parlato-trasmesso) e la differenza con i testi scritti, alla comprensione e padronanza lessicale, fino alla capacità di aspettare il proprio turno e al rispetto per le opinioni altrui.
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È chiaro per quanto già detto che fra linguaggio orale e capacità di ragionamento c’è un legame strettissimo: insegnare a parlare vuol dire insegnare a pensare.
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… e pensare è un’arte complessa fatta di tre grandi momenti: documentarsi, argomentare, confutare. Fondamentale (e assente dai programmi scolastici) è la fase di documentazione prima di un debate o di un discorso (o di una interrogazione, o di una presentazione…): anzitutto insegna già di per sé che prima di parlare bisogna avere qualcosa di dire, un primo passaggio di onestà intellettuale; ma non basta: imparare a documentarsi, a trovare, valutare, scegliere i documenti e le fonti è oggi la literacy forse più importante in un’epoca di sovraccarico informativo. Non abbiamo problemi a trovare informazioni, abbiamo problemi a scegliere quelle giuste. Argomentare poi significa costruire argomenti a favore di una posizione: un argomento è fatto di passaggi logici, ragionamento, prove, legame con altri argomenti. Infine confutare, l’arte più difficile: richiede pensiero veloce, capacità logiche, apertura e flessibilità mentale e… ascolto profondo.
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Ribadiamo che nessuno nasce con il linguaggio già sintonizzato con le capacità cognitive: mettere in relazione queste due cose, dare consapevolezza del loro legame è compito dell’educazione, è il di più che dobbiamo aggiungere noi insegnanti a partire dai bambini.
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Come già sottolineato in qualche passaggio, nei tre framework sono ben presenti le competenze emotive.
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Come pure quelle di cittadinanza: dalla capacità di rispettare il proprio turno, una delle prime cose che devono imparare i bambini nelle attività di conversazione, al rispetto delle regole e delle idee altrui (esplicitamente richiesto nel debate in cui fra l’altro su un tema ci si prepara sia nel pro che nel contro e non c’è spazio per posizioni ideologiche), alla consapevolezza di avere delle idee documentate e di saperle esprimere in pubblico, fino alla cura per il mondo, che nasce dall’interesse per le sue dinamiche e per le questioni più urgenti, di cui spesso si discute nelle attività previste, passando per la relazione con gli altri che non è solo tolleranza delle idee diverse dalle mie, ma è capacità di lavorare in team (molte attività prevedono gruppi o squadre), di intendersi nel faccia a faccia, costruire collaborazioni solide. Insomma un recupero pieno della dimensione interpersonale. Mi piace sottolineare che il percorso dell’oracy a scuola inizia dalla pronuncia delle sillabe e finisce a sentirsi cittadini del mondo in un’ottica di tolleranza e di cura, ben oltre, come si vede, i cancelli del proprio istituto. Un bell’antidoto alla cultura che vuole i ragazzi appiattiti in un orizzonte basso di passioni spente e relazioni povere.
Qualche altro concetto chiave
Fissiamo allora qualche altro concetto chiave :
1. Le abilità linguistiche orali devono essere insegnate, devono essere fornite conoscenze sulla lingua parlata, in modo che l’apprendimento e l’uso di tali competenze sia sostenuto dalla consapevolezza di come funziona tale lingua.
2. Oltre a insegnare esplicitamente le abilità di una comunicazione verbale efficace, è importante che le scuole offrano agli alunni numerose opportunità di utilizzo, pratica e ulteriore sviluppo di tali abilità.
3. Attenti però: la scienza ci dice che abilità e competenze tendono a rimanere ancorate ai contesti in cui sono state sviluppate, non si trasferiscono automaticamente in altri contesti, a meno che questo processo non sia intenzionalmente perseguito.
4. I ragazzi hanno bisogno di attività strutturate e modellate dagli insegnanti, capaci di dare loro feedback costruttivi e di indicargli come migliorare nell’applicazione delle competenze di oralità. Non si imparano le abilità dell’oracy con attività occasionali, anche molto significative.
5. È accertata l’efficacia di un metodo d’insegnamento dialogico.
6. La comunicazione verbale efficace ha caratteristiche generali e caratteristiche specifiche. L’insegnamento delle competenze orali di base dovrebbe essere previsto nell’organizzazione curriculare di ogni scuola e curato da tutte le materie.
7. È dunque necessaria una continua formazione dei docenti.
PROPOSTE DIDATTICHE
Bene, ora proviamo a chiedere la mano della nostra cenerentola. Con le indicazioni che abbiamo raccolto fin qui, proviamo a calarci nella pratica didattica e a vedere cosa si può fare e come, senza paura di scardinare consuetudini radicate e di dover mettere mano a cambiamenti strutturali nel curricolo. Ricordiamoci che in gioco non c’è solo un miglioramento didattico ma culturale e sociale, come detto all’inizio e nel titolo.
Se penso alla mia piccola esperienza del debate nella mia scuola, l’IISS ‘Pietro Sette’ di Santeramo vicino Bari, noto subito una cosa: è stato sin dall’inizio un progetto coinvolgente, contagioso che ha visto partecipare al torneo interno e alle altre gare centinaia di ragazzi, alcuni dei quali hanno raggiunto ottimi livelli tecnici. Fra le altre cose, dai nostri sondaggi emerge ogni anno una percezione molto alta delle ricadute didattiche del progetto in termini di competenze acquisite dai ragazzi sia da parte degli alunni partecipanti che dei colleghi; realmente nei debaters che hanno partecipato più stabilmente i miglioramenti nell’apprendimento e nella resa scolastica sono evidenti, ma non si può dire che sia così per tutti.
Ciò dimostra una cosa: non bisogna confondere le attività in cui si praticano le competenze orali con l’azione di insegnamento delle stesse.
Il debate competitivo o anche curriculare nel modello competitivo non serve ad insegnare le competenze dell’oralità, ma a metterle in pratica.
Questo vale anche per altre attività molto interessanti e fortemente raccomandate come quelle di inchiesta filosofica, ad esempio Philosophy for children, o attività legate a particolari eventi.
Allora distinguiamo fra un’attività curriculare di base, un programma di sviluppo dell’oralità da perseguire anno per anno e attività aggiuntive che devono esserci per garantire una pratica dell’oralità in contesti significativi e di valore.
Qualche riflessione e indicazione sulle attività curriculari
Ed ora qualche riflessione e indicazione sulle attività curriculari (le chiamiamo così perché dovrebbero essere parte del curricolo e in genere svolte nelle ore curriculari).
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Per un’azione strutturata e programmatica c’è bisogno anzitutto di ancorarsi ad un framework specifico. Gli esempi di S21 e ESU possono essere ottime basi o integrazioni del curricolo già esistente e delle Indicazioni nazionali per ogni grado scolastico. In ogni caso un quadro di sviluppo dell’oralità dovrebbe contenere 4 grandi aree: A) ascolto, comprensione e risposta, B) stile ed espressione, C) contenuti e ragionamento (prove, idee, confutazioni), D) strategia e struttura. Per lo sviluppo di queste competenze ci sono molti materiali a disposizione dei docenti (oltre che molte possibilità di formazione): sito ESU risorse, sito Voice 21, Debate Italia, dovete solo chiedere.
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È dimostrato ed è evidente anche all’occhio nudo della pratica che approcci all’oralità che non includono un training preciso, e che portano subito valori e comportamenti sono poco efficaci. I ragazzi trovano benefici in attività strutturate e modellate dall’insegnante pronto a dar loro feedback su quanto fatto e indicazioni per migliorare, in un rapporto quasi di coaching. Anzi il coach del debate è la dimostrazione che anche nelle rigide strettoie del nostro sistema scolastico può nascere una forma di relazione diversa fra alunno e docente. D’altro lato abbiamo già detto che le cose acquisite in un contesto non passano automaticamente in un altro.
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Numerose evidenze scientifiche attestano che per lo sviluppo di competenze orali sono raccomandabili attività di lavoro collaborativo e problem solving.
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Riguardo ai lavori di gruppo è importante tener conto che funzionano solo a 2 condizioni: 1) che l’obiettivo, il fine del gruppo sia estremamente chiaro, 2) che l’attività di ogni membro sia verificabile e verificata. Inoltre è dimostrato che la qualità del lavoro migliora se:
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i ragazzi sono consapevoli delle regole e delle modalità in cui deve funzionare la comunicazione;
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il docente dà dei ruoli e compiti per guidare la comunicazione;
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c’è un clima di fiducia e rispetto reciproco;
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il docente insegna ai ragazzi come partecipare ad una discussione ragionata.
Alcuni consigli pratici
E ora alcuni consigli pratici::
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Rendete ben visibile le attività di oracy a scuola: bacheca…
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È raccomandabile, e segno di consapevolezza condivisa, che docenti e alunni abbiano un lessico comune dell’apprendimento
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Tappezzate l’aula di ben visibili regole di discussione (scritte con gli alunni): ogni volta che per qualche ragione si discute, tutti sanno quali regole seguire e come valutare il proprio e altrui contributo.
Sulla valutazione
In merito alla valutazione sono molti I dubbi dei docenti: cosa valutare? Come fare a valutare lavori di gruppo? Ho le competenze per farlo? È vero c’è bisogno di strumenti adeguati per non essere generici. C’è bisogno di prove, di un framework, di una scala di valutazioni. È un lavoro del consiglo di classe sulla base delle Indicazioni (che, come si sa, danno i traguardi ma non gli step e gli indicatori). Uno strumento utile, molto aggiornato e valido è il Toolkit dell’Oracy Welsh curriculum redatto con l’Università di Cambridge e disponibile sul sito di questa; altri strumenti che possono aiutare sono le schede di valutazione del debate o quelle dell’ESU, disponibili sui siti di Debate Italia e ESU.
Attività non di base: il debate
Fra le attività non di base, di pratica delle competenze orali, c’è il debate, che abbiamo citato già molte volte anche per l’esperienza curriculare. Il debate è presente anche nel curricolo di School21 ed è centrale nei programmi di ESU. Non è un caso che sia stato citato molte volte perché il debate non è solo una metodologia, è un’esperienza molto coinvolgente, performativa ed è una miniera di possibilità per lo sviluppo delle competenze orali anche nel curriculare, come detto prima. Di fatto molti dei materiali citati e utilizzabili nei programmi di training di base sono riconducibili o ricucibili nell’esperienza del debate.
Che cos’è?
‘È un tipo di interazione dialogica regolata in cui più interlocutori, suddivisi per squadre con punti di vista incompatibili, tentano di far aderire una giuria alla propria posizione convincendola mediante argomentazioni’ (da M. De Conti – M. Giangrande, DEBATE. Pratica, teroria e pedagogia). È una forma di discussione regolata in cui due squadre discutono un tema, dividendosi nelle posizioni pro e contro. Nella slide sotto vedete lo schema del modello di debate WSD, il format più usato in Italia e in campo internazionale. (slide 25)
Il debate è una gara competitiva, forse la più competitiva tra le gare scolastiche. La competitività è di per sé una ricchezza in termini educativi, se gestita bene, se inserita in percorsi di crescita. Ad esempio è proprio la competizione a dare al debate una forza particolare che rende significativa l’esperienza: chi dibatte deve produrre un ‘oggetto’ (il discorso) di valore, di tale valore da superare quello degli altri; inoltre è una competizione a squadre: spinge (anzi quasi costringe) ad una collaborazione positiva, ad apprendere insieme, a coordinare gli interventi, ad intendersi. D’altro lato proprio la competitività è la fucina in cui le idee si scontrano, si temprano, si approfondiscono e smascherano le loro fallacie.
L’immagine di destra, nell’illustrazione affianco, ci suggerisce che il debate è una palestra con tanti attrezzi, palestra di competenze linguistiche, logiche, sociali, culturali. Sono le tante abilità e i valori richiesti al debater.
Basta ripercorrere brevemente l’iter di un dibattito per avere coscienza di ciò: si riceve un tema, bisogna esplorarlo, decodificarne i livelli della richiesta, studiarlo, cercare materiali, documentarsi, dunque comprendere testi, selezionare informazioni utili pro e contro, esempi calzanti, e poi redarre le argomentazioni fatte di ragionamento, esempi, lessico specifico, prevedere le confutazioni e prepararsi al dibattito, in cui poi ecco l’ascolto, la capacità espositiva, la gestione delle emozioni, il pensiero critico, l’argomentazione e la confutazione, il pensiero veloce.
ll tutto come detto va fatto in squadra, i singoli non vincono, vince sempre la squadra migliore, quella che sa cooperare, in cui le relazioni funzionano.
Se poi andiamo a leggere i temi di discussione, ecco allora che i debater tengono in costante allenamento e aggiornamento la sensibilità per il mondo, l’interesse per i grandi e piccoli problemi, in un’ottica, come detto, di apertura e tolleranza (le squadre non scelgono la posizione da difendere e potranno spesso trovarsi a difendere posizioni non loro, quelle di chi la pensa diversamente).
Aggiungeteci poi il rispetto delle regole, l’onestà intellettuale e sarà chiaro quali potenzialità educative abbia il debate.
Le possiamo riassumere in queste tre grandi dimensioni dell’esperienza che si intersecano :
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Comunicare,
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Argomentare e confutare (Pensare),
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Essere cittadini.
Come scrive A. Snider, docente dell’Università del Vermont uno dei padri del debate scolastico mondiale, il dibattito promuove:
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ricerca di una voce pubblica,
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consolidamento della democrazia,
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sostegno dei cambiamenti,
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smascheramento di posizioni illogiche,
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miglioramento dell’istruzione.
Mi interessa sottolineare, rispetto a quanto detto all’inizio e ai nemici che abbiamo da affrontare, che il debate promuove l’idea della comunità. I ragazzi di una squadra formano piccole comunità di apprendimento in collegamento con tante altre (non in contrasto), sperimentano un apprendimento cooperativo, relazioni nuove con i docenti, esercitano competenze epistemiche e logiche e si educano a partecipare democraticamente del loro mondo. Quello che sognano mentre dibattono, quello che ‘fanno’ con le parole mentre dibattono, quello che immaginano più bello.
Il debate è una grande risorsa per la scuola: curriculare ed extracurriculare. Ecco alcune possibilità.
Forme extra: torneo, gare, club del debate, eventi pubblici danno visibilità all’oracy e alla scuola, permettono di applicare le competenze orali in eventi molto significativi che slanciano i ragazzi, diventano un’esperienza trainante e trasformante perché pian piano in tutta la scuola si diffonde uno stile di dialogo, di discussione rispettosa…, pongono la scuola e i ragazzi in relazione con tanti altri, con il mondo della cultura, con i grandi temi.
Il debate curriculare invece, oltre a quanto già detto è molto utile nei percorsi di insegnamento dell’argomentazione (es. modulo sul testo argomentativo), o per approfondire e sintetizzare questioni specifiche di qualunque materia.
Insomma è davvero un grande antidoto alla controcultura in cui viviamo, ai mali dei social e dell’aria avvelenata che abbiamo descritto su.
Auguriamoci di poter rifondare, integrare, migliorare il nostro curricolo di oralità nella nostra scuola e permettere alla nostra cenerentola di tornare, come merita, a palazzo, come principessa, alla pari, e non più ancella delle altre competenze.
Grazie dell’attenzione.