Perché parlare di “diritto alla bellezza”
Il tema del mio intervento è “il diritto alla bellezza”. Credo profondamente che occuparsi oggi di educazione al patrimonio artistico e di storia dell’arte nell’educazione sia un impegno politico. Mi è piaciuto molto il riferimento di questa mattina alla politica come forma di carità, ma anche come forma di ricerca, di impegno, di solidarietà, di incontri tra le persone.
Chi si occupa di educazione fa politica ogni giorno, nel senso più alto del termine. Chi più degli insegnanti e dei dirigenti può fare ciò? Siamo una comunità che si impegna ogni giorno, proprio per condividere benessere, principi e valori.
In questa sede vorrei parlare di diritto alla bellezza perché credo profondamente che la bellezza debba diventare un motivo forte di consapevolezza democratica e civica. Oggi si fa un gran parlare del ripristino dell’educazione civica nelle scuole: naturalmente c’è un robusto dibattito attorno a questo tema, che non è solo un dibattito politico, ma anche pedagogico e culturale.
I cittadini si formano attraverso il senso di appartenenza al territorio, attraverso la consapevolezza dell’identità culturale, attraverso il riconoscimento di valori comuni. Per il nostro Paese, in particolar modo, partire dal patrimonio culturale è fondamentale e decisivo. Il testo di legge sulla reintroduzione dell’educazione civica, così com’è oggi, deve essere ulteriormente sviluppato. Sono quindi importanti in questa fase i contributi che possono dare la scuola, la comunità che la compone, i docenti, ma anche l’opinione pubblica. Tutti devono partecipare alla questione di cosa debba insegnare l’educazione civica, quale profilo pedagogico debba assumere, quali contenuti affrontare. Il testo di legge fa un vago riferimento al patrimonio culturale, al riconoscimento del patrimonio come valore comune; tuttavia sarebbe importante che fosse più esplicito. Credo sia fondamentale cogliere questa opportunità.
Consapevolezza e valorizzazione della bellezza
E’ già stato fatto cenno alla questione della storia dell’arte come punto di riferimento democratico, della scuola e dell’educazione alla cittadinanza. La storia dell’arte non è una disciplina dal contenuto generico; è, al contrario, una materia di studio di grande ricchezza e complessità metodologica. Tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di studiarla. Da molti anni ormai la mia battaglia (che è anche quella dell’associazione ANISA) è che la storia dell’arte possa diventare un diritto di tutti i cittadini.
Ciascun cittadino deve avere il diritto di acquisire una consapevolezza culturale, conquistando la possibilità di comprendere il patrimonio di cui è custode; dunque non solo coloro che studiano nel sistema liceale, ma anche i ragazzi che frequentano gli istituti tecnici e professionali. Considero una sostanziale iniquità il fatto che circa la metà degli studenti italiani non abbia il diritto di conoscere il patrimonio culturale, che non abbia gli stessi strumenti di conoscenza e di accesso alla bellezza.
Ecco perché il diritto alla bellezza si traduce in una questione di democrazia, ma anche in una questione di sviluppo e di sostenibilità (perché conoscere il patrimonio è la condizione fondamentale per garantirne la tutela e la conservazione che sono preliminari alla corretta fruizione dei beni culturali e del paesaggio).
Si discute spesso di “valorizzazione”. E’ un concetto molto controverso, come sapete: si parla della “buona valorizzazione” e del suo opposto, la “cattiva valorizzazione” che diventa sfruttamento o degrado. La buona valorizzazione si può perseguire a condizione che sia consapevolezza da parte dei cittadini, a condizione che venga esercitato – senza esclusioni e in piena democrazia – il diritto alla bellezza. Attraverso questa via diventa possibile condividere condizioni di benessere e di felicità, perché poter fruire della bellezza del patrimonio significa anche accedere ad una condizione di gioia e appagamento, premessa fondamentale – a mio avviso – per aprire l’individuo alla sensibilità verso gli altri.
Ripeto spesso che l’esperienza dell’opera d’arte stimola in ciascuno di noi l’interesse verso l’alterità, verso qualcosa che è diverso da noi. Porsi di fronte all’opera d’arte e accettarla, farla entrare dentro di noi, si traduce in un esercizio di solidarietà, di incontro e d’ascolto. E’ anche per questa ragione che risulta fondamentale garantire l’educazione alla bellezza sin dalla prima infanzia.
Bellezza e cittadinanza
Come si può dunque definire il diritto alla bellezza?
Senza addentrarci in una questione filosofica tra le più complesse, vorrei ribadire che l’esperienza dell’arte non si limita affatto all’incontro con una categoria estetica. E’ necessario estendere la concezione di bellezza, giungendo ad associarla al valore della spiritualità. In questo senso, il diritto alla bellezza è il diritto di accedere ad una condizione di profondità interiore che l’opera d’arte può accompagnare, stimolare e può aiutare a comprendere.
Il diritto alla bellezza, dunque, consente l’accesso ad una condizione superiore di sensibilità, di profondità emotiva, che è parte della persona e può contribuire alla formazione del cittadino.
Da dirigente scolastica, dicevo spesso agli insegnanti e ai genitori dei miei studenti, che il primo compito della scuola è quello di formare delle “brave persone”; certamente per la scuola è importante trasmettere i saperi, sviluppare competenze, ma soprattutto è importante formare dei bravi cittadini.
E per diventare delle persone “per bene”, bisogna comprendere e apprezzare il valore della solidarietà, dell’incontro con gli altri, dell’ascolto di chi vive intorno a noi, del far parte di una comunità… Credo che le discipline possano fare molto in questo senso. Nonostante io sia una grande sostenitrice della didattica per competenze, vorrei ribadire – anche in questa sede – l’importanza fondante delle discipline e i contenuti. Difendo, per quanto riguarda la storia dell’arte, un percorso di tipo epistemologico: è attraverso la conoscenza profonda, attraverso l’approfondimento e l’affinamento del metodo, che è possibile sviluppare competenze spendibili in tutti i contesti di vita.
La questione del diritto alla bellezza porta con sé una serie di questioni:
- accesso consapevole al patrimonio culturale (guardarsi intorno, camminare in una città, vivere in una piazza, entrare in una chiesa, riconoscere quindi il valore storico e sentimentale di ciò che ci circonda);
- esercizio alla cittadinanza attiva (il patrimonio non è una cosa morta, è un bene da tutelare);
- diritto alla partecipazione (la valorizzazione dei territori si fa attraverso la partecipazione dei cittadini e in questo mi riaggancio alla Convenzione di Faro);
- affermazione del principio di bene comune (il patrimonio è un bene democratico, di tutti e non di pochi);
- valorizzazione del territorio (e dunque come affermazione dell’identità culturale, che è un patrimonio esso stesso);
comprensione del principio di appartenenza ai luoghi, alla tradizione culturale, ai valori di una civiltà (voler bene ai luoghi dove si vive, sentirsi parte integrante del territorio che ci circonda).
La bellezza nella Costituzione Italiana
Il riconoscimento del diritto alla bellezza si traduce in tutela dei principi di cittadinanza, in tutela del patrimonio comune, in attivazione di processi virtuosi di valorizzazione e rigenerazione dei territori.
Questo è il motivo fondamentale per il quale il diritto alla bellezza non è solo una questione politica, ma anche pedagogica.
Quando si parla di patrimonio e di diritto all’accesso ai beni culturali, è d’obbligo citare l’articolo 9 della Costituzione italiana, che giustamente viene sempre ricordato come uno degli articoli più belli e caratterizzanti della Carta Costituzionale.
“La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Questo articolo va letto con una chiave interpretativa diversa da quella che è l’ordinaria lettura della norma. Giovanni Maria Flick ha dedicato il suo libro “L’elogio del patrimonio” all’interpretazione di questo splendido passo donatoci di padri costituenti.
Rileggendo l’articolo si può osservare che nella prima parte vi si descrive un processo dinamico, di movimento, che cammina e va verso il futuro (la ricerca che si sviluppa); mentre nella seconda parte si volge lo sguardo verso un concetto più statico (il patrimonio da tutelare). La custodia dei beni culturali si può esercitare attraverso la promozione dello studio e della ricerca, non si realizza prendendo un determinato bene per metterlo in cassaforte. L’opera d’arte deve essere viva, accessibile. La vera valorizzazione consiste nell’aver cura di un bene e nel renderlo accessibile in un modo sostenibile. L’articolo 9 mette insieme due forti valori: la bellezza e la sostenibilità. Quando si parla di questi argomenti, non va dimenticato che c’è un altro fondamentale articolo della Costituzione, l’articolo 2, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (ringrazio il mio amico Antonio Salvati per questo suggerimento). Se la bellezza è un diritto inviolabile, allora diventa un diritto fondamentale al pari degli altri. È un diritto di tutti i bambini, di tutti gli studenti, quello di conoscere e fare esperienza del patrimonio esercitando pienamente il valore della cittadinanza. Parliamo di un’eredità di cui i nostri giovani dovranno essere custodi, ma di cui devono godere pienamente anche nel senso di vivere in luoghi accoglienti, dove non vi sia degrado. Come non pensare ai numerosi casi di monumenti circondati dall’incuria o perfino aggrediti dalla criminalità, dagli interessi insani che possono erodere la bellezza del territorio e, con essa, i nostri diritti.
Vi mostro a questo proposito immagini famose come quelle della Valle dei Templi di Agrigento e del Tempio di Minerva Medica a Roma.
Il Tempio di Minerva Medica è riprodotto in tutti i libri di storia dell’arte come uno dei capolavori dell’architettura di epoca tardo-antica. Da moltissimo tempo questo monumento è letteralmente inghiottito dal traffico e dall’edilizia moderna. Si tratta di un tipico caso di violazione del diritto alla bellezza di cui stiamo parlando. Va sottolineato che esiste un circuito fondamentale di causa-effetto che lega la tutela alla conoscenza: se non proteggo il bene, non potrò poi garantirne la trasmissione alle future generazioni, che avranno poi il compito di custodirle e di garantirne la sopravvivenza.
A proposito del concetto del bene comune risulta calzante la metafora della cattedrale (Zammarchi). Si tratta di un’immagine che ben rappresenta l’idea di una comunità che spende ogni energia e competenza per la realizzazione di un progetto destinato al futuro, un progetto così ambizioso e di lungo periodo da non poter essere goduto e fruito da chi vi si dedica. E’ stato grazie a questa generosità che monumenti immensi e preziosi hanno visto la luce: le grandi cattedrali di epoca romanica e gotica, sorte grazie al lavoro durissimo di intere generazioni.
Come cittadini del XXI secolo, noi siamo gli operai, gli scalpellini della grande cattedrale che è la nostra storia, la nostra identità, il nostro patrimonio.
Non possiamo vedere il termine di questo nostro impegno, possiamo solo vedere la cattedrale che cresce, che diventa più forte e più solida anche grazie al nostro impegno.
Il lavoro degli insegnanti molto spesso intreccia il tema della bellezza, perché la materia che insegniamo ogni giorno si concentra sul patrimonio culturale: la grande letteratura, la grande musica, la grande arte, la storia, l’identità. Come docenti, abbiamo l’obbligo morale di trasmettere ai giovani il senso del gusto e dell’estetica.
Nel mio ultimo libro, intitolato “Estetica della cittadinanza” (in corso di pubblicazione per l’editore Le Monnier), ho affrontato la questione del rapporto tra cittadinanza ed esperienza estetica. Credo che essere dei “cittadini estetici” (cioè formati al godimento del bello) comporti il saper adottare una giusta postura, fisica e mentale, nei riguardi degli altri e del mondo che sta intorno a noi. Il cittadino che si nutre di bellezza sa come muoversi in un museo, come comportarsi in una piazza storica, apprezza la cultura della diversità, esercita solidarietà sociale e culturale.
La cittadinanza si nutre di gusto e di sensibilità; Il buon cittadino… deve sapersi commuovere! Nella didattica di ogni giorno, bisogna saper mettere in atto la palestra delle emozioni, quando leggiamo una poesia o un romanzo, quando guardiamo un’opera d’arte, noi e i nostri studenti dobbiamo riuscire ad emozionarci. L’emozione è il canale più forte che ci lega ai nostri ragazzi: un buon insegnante deve essere preparato, appassionato e deve saper appassionare i suoi studenti alla conoscenza.
15 aprile 2019, una data da ricordare
Il pomeriggio del 15 aprile di quest’anno, l’incendio della Cattedrale di Notre Dame di Parigi ha sconvolto milioni di persone nel mondo: improvvisamente su tutti i social sono apparse le fotografie della magnifica costruzione in fiamme. Un’immagine devastante, che ha fatto addolorare popolazioni di ogni nazione. In quel pomeriggio surreale, non solo ero sconvolta per il danno materiale al monumento, ma mi sentivo profondamente commossa per la partecipazione collettiva che stava emergendo. In pochi minuti ho ricevuto messaggi da varie città del mondo: persone che semplicemente sentivano il bisogno di condividere quel senso di perdita. Così ho deciso di mettere nero su bianco quello che stavo provando, con l’intento primario di spiegare ai miei nipoti adolescenti il significato di quello che stava accadendo. Volevo che quei ragazzi, a me così cari, potessero accedere a quel senso di sofferenza capace di unire genti di tutto il pianeta. (L’articolo nato da quel desiderio, pubblicato dal quotidiano Avvenire, è consultabile a questo link).
Ho raccontato questo episodio per spiegare l’importanza dell’emozione nell’esperienza dell’opera d’arte, il valore del sentirsi comunità di fronte al bisogno di identità e di memoria: questo è l’esercizio vero della cittadinanza così come la stiamo raccontando oggi. Abbiamo bisogno di questa bellezza, di questo nutrimento che ci fa crescere; non possiamo farne a meno. Noi tutti eravamo commossi di fronte alla cattedrale di Parigi che bruciava perché essa è parte della nostra storia, della nostra identità, perché senza di essa ci troveremmo smarriti. Abbiamo bisogno di questi grandi monumenti che incarnano il senso di appartenenza alla storia, parte di un sistema di valori.
In questi giorni, sto leggendo un libro molto bello scritto da Pascal Griener, intitolato “Per una storia dello sguardo” in cui l’autore racconta l’emozione provata dal grande storico dell’arte J. Burckhardt, a metà dell’Ottocento, quando si recò a Londra per visitare quello che oggi è chiamato il Victoria & Albert Museum. Nel visitare quella straordinaria collezione di oggetti provenienti da tutto il mondo, Burckardt scriveva:
“L’arte del passato si manifesta come una rappresentazione della storia del mondo, e in senso più alto come apparizione durevole dello spirito umano, e di volta in volta come la più alta manifestazione dell’essere nel mondo”
“L’arte, a questo stadio, non trasmette l’apparizione del divino nel mondo naturale, essa mette in evidenza lo spirito umano come apparizione quasi divina, magica nella storia”.
Ecco perché piangiamo davanti alla cattedrale che brucia, perché essa incarna l’apparizione del nostro spirito, del nostro essere umano, dell’essere presenti sulla terra, della nostra storia.
Pedagogia della bellezza
Maria Montessori diceva che il bambino deve poter crescere e poter vivere in un ambiente di bellezza e accompagnava questo principio con l’esperienza della felicità:
“una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino”.
Pochi hanno rilevato che nell’ultima revisione delle Indicazioni Nazionali Miur per il Primo Ciclo (2018), si introduce un concetto molto importante: l’educazione all’arte e alla bellezza è parte dell’educazione alla cittadinanza.
“(…) La familiarità con immagini di qualità ed opere d’arte sensibilizza e potenzia nell’alunno le capacità creative, estetiche ed espressive, rafforza la preparazione culturale e contribuisce ad educarlo a una cittadinanza attiva e responsabile. In questo modo l’alunno si educa alla salvaguardia, e alla conservazione del patrimonio artistico e ambientale a partire dal territorio di appartenenza. La familiarità con i linguaggi artistici, di tutte le arti, che sono universali, permette di sviluppare relazioni interculturali basate sulla comunicazione, la conoscenza e il confronto tra culture diverse (…)”
E’ compito di tutti noi far sì che queste parole, si traducano in fatti, in un’azione politica ed educativa che porti l’insegnamento della storia dell’arte in tutte le scuole. Il prof. Marco Dallari, già professore ordinario di Pedagogia dell’Università di Trento, dedica da molti anni la sua intelligenza e il suo impegno scientifico all’educazione alla bellezza. Scrive:
“l’ipotesi che educare alla bellezza sia insegnare cosa è bello (e cosa è brutto); perché l’educatore esteticamente orientato sa che educare alla bellezza significa favorire e formare sensibilità e competenza emozionale”.
“Educare alla bellezza è educazione della competenza emotiva e della sensibilità, è formare quella “delicatezza dell’immaginazione” di cui parla Hume. Perché Il contrario della bellezza non è la bruttezza ma la rozzezza culturale e l’ignoranza emozionale”.
Noi insegniamo ai ragazzi la competenza di sapersi commuovere, che è la chiave per conoscere gli altri, capire i bisogni del prossimo. È la chiave per diventare solidali, per proteggere il paesaggio che ci circonda, per proteggere le opere d’arte, per proteggere gli altri essere umani e per curare noi stessi.
La bellezza e il paesaggio
Vorrei chiudere questo mio intervento facendo un riferimento e una riflessione al “paesaggio”, che mai come oggi sento come un importante, forte, legame tra la cittadinanza, la storia e la natura.
Nella prima legge di tutela dei beni naturali, la Legge Bottai del 1939, vengono definiti i beni paesaggistici come “le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”. E’ un’espressione molto suggestiva.
Guardare un dipinto di Raffaello o di Giorgione, emozionarsi riconoscendone i paesaggi, significa aver acquisito una consapevolezza e una conoscenza del patrimonio visivo che va trasmesso attraverso la scuola. Non dobbiamo mai dimenticare che chi è svantaggiato, emarginato, privo di risorse, ha bisogno di bellezza anche e più di noi.
C’è un meraviglioso romanzo, “Leggere Lolita a Teheran” di A. Nafisi, professoressa di letteratura anglo-americana, che parla tra le molte cose della magia dell’apprendimento, del rapporto straordinario che si può stabilire tra insegnanti e allievi. Nafisi racconta in pratica di una scuola clandestina che nasce per fare fronte a una condizione di dittatura e di privazione dei diritti. In tale contesto, questa donna straordinaria e colta si trova ad insegnare letteratura a delle ragazze cui è proibito andare a scuola.
A un certo punto della narrazione una delle protagoniste esclama “(…) “Con i tempi che corrono” protestò lei con veemenza “agli studenti importa eccome. Non so perchè chi se la passa bene pensa sempre che ai meno fortunati non interessino le cose belle – che non vogliano ascoltare buona musica, mangiare bene o leggere Henry James (…)”. Il messaggio di Nafisi è chiarissimo e ci esorta ad intensificare l’impegno di trasmissione, di cura e di attenzione verso chi è deprivato, offrendo strumenti di conoscenza, di bellezza e di commozione.
La consapevolezza estetica e culturale
Abbiamo bisogno di:
- una nuova idea di cittadinanza
- una più ampia concezione di bellezza
- una nuova educazione civica.
Un grande filosofo di fine Settecento, Friedrich Schiller, deluso dal razionalismo che aveva portato agli eccessi della Rivoluzione Francese scrive le “Lettere sull’educazione estetica dell’uomo” (1795). Schiller afferma che il buon cittadino si forma nell’educazione alla bellezza e che quest’ultima si può fruire solo in un modo: nell’esercizio del gioco. Per Schiller si tratta di un riferimetno metaforico, evidentemente, che allude alla fantasia e all’emozione. Anche il gioco è un diritto, ma richiede regole e competenze. Bisogna “saper” giocare. La bellezza è un meraviglioso gioco di crescita collettiva che non può essere negato a nessuno.
La scuola ha, tra gli altri, un grande dovere; non basta saper insegnare bene, bisogna spiegare ai ragazzi perché è importante apprendere (è ciò che mi piace chiamare “valore di senso”).
Il processo di apprendimento nella scuola di oggi è vincolato da alcuni fattori:
- la partecipazione / esperienza
- la comunicazione / relazione con i pari
- la motivazione
Ne consegue che:
- l’apprendimento nella scuola è concepito prevalentemente come esperienza sociale;
- la comprensione del valore di senso è determinata in gran parte dalla qualità dell’esperienza relazionale e dalle competenze acquisite.
Saper narrare la bellezza
In questo ultimo periodo sto lavorando molto alla pedagogia della narrazione. La narrazione serve per emozionare, per coinvolgere, per rendere i ragazzi partecipi; alla base di tutto c’è sempre un buon racconto. Il valore di senso si attribuisce attraverso la narrazione di una storia.
Uno dei grandi pedagogisti del Novecento, Jerome Bruner, ha rivelato il funzionamento del pensiero narrativo: secondo Bruner, esiste una mente cognitiva, una logico-matematica e una narrativa. L’approccio narrativo didattico è quello che ci permette di:
- coinvolgere gli studenti in chiave partecipativa;
- aiutarli a maturare valore di senso rispetto al patrimonio culturale (identità, responsabilità, memoria collettiva);
- comprendere i fenomeni culturali e assimilarli in chiave emotiva;
- maturare sensibilità per i processi storico-culturali in quanto frutto della storia degli uomini e delle donne.
Una delle più belle esperienze che ho maturato in qualità di storico dell’arte la devo ad Antonio Natali, ex Direttore della Galleria degli Uffizi, che mi invitò a Casal di Principe, in provincia di Caserta, per partecipare alla presentazione della mostra “La luce vince l’ombra” (2015). Sede della manifestazione era la villa di un boss della criminalità organizzata, finalmente restituita alla legalità. In quella occasione, gli Uffizi decisero di organizzare una mostra evento che riportasse serenità e speranza in un luogo tormentato dalla violenza. Alla magia dell’arte si affida il compito di rigenerare un territorio bisognoso di speranza. L’esperienza fu per tutti noi molto emozionante; gli Uffizi esposero opere di enorme impatto simbolico, come le tele devastate negli anni Ottanta nell’attentato di via dei Georgofili. Ricordo che la vera anima dell’iniziativa furono i giovani di Casal di Principe, chiamati “gli ambasciatori della bellezza” e incaricati di fare da guida ai visitatori giunti da tutta l’Italia. Credo che questa esperienza esprima al meglio il senso profondo del nostro convegno, che si svolge in una scuola in cui – come in tutte le scuole – si combatte ogni giorno per la qualità della cultura e dell’insegnamento. L’esperienza di Casal di Principe rappresentò un momento di riflessione comune sul potere della bellezza e sulla sua diretta relazione con i valori civici e con la forza della democrazia. E’ anche in questo spirito credo che sia giusto prodigarsi affinché ogni cittadino di questo Paese assume l’impegno di agire come “cittadino estetico”; questo è l’unico modo in cui la scuola salverà la bellezza.