Il 18-19-20 gennaio 2018 si è celebrato a Bologna il secondo compleanno del Piano Nazionale Scuola Digitale. Una bella festa, molto entusiasmo, tanta partecipazione.
Non vi è dubbio che il PNSD sia il più fortunato di tutti i provvedimenti varati dalla L.107/2015, in termini di coinvolgimento delle scuole, di stimolo a ulteriori aggregazioni.
Perché questo è avvenuto?
Perché il Piano ha potuto far leva su una situazione già fertile, su nuclei di insegnanti motivati che da anni sviluppavano esperienze significative, anche se, nella maggior parte dei casi, in modo isolato nelle proprie scuole.
Nel lontano 2000, David Hargreaves in un simposio internazionale, disse “Se le scuole conoscessero tutto quello che i singoli insegnanti sanno, e se i ministri conoscessero tutto quello che le singole scuole sanno, i sistemi educativi sarebbero di gran lunga più efficaci”. Purtroppo non è così. Molti insegnanti sono creativi e innovativi, ma le loro conoscenze non diventano quasi mai conoscenza collettiva. Non si riesce a realizzare, per così dire, l’accumulazione di un capitale sociale nell’insegnamento.
Ma ciò che è in generale così difficile da attuare è invece avvenuto con gli insegnanti che da anni si occupano di innovazione digitale nella scuola. Anche sotto lo stimolo del PNSD hanno saputo costruire una comunità in rete, con scambi di pratiche, di stimoli, di suggerimenti fino a costituire un vero e proprio “capitale sociale virtuale”.
Il PNSD ha saputo capitalizzare questo sapere professionale, ha saputo dargli visibilità ed occasioni di incontro.
Certo si tratta di una minoranza di insegnanti, e ci sono ancora tantissimi problemi irrisolti: gli animatori digitali non hanno uno status né normativo né economico, moltissime scuole hanno ancora problemi di connessione, il numero di insegnanti non preparato all’uso del digitale nella didattica è ancora elevatissimo. Tanta strada è dunque da percorrere, ma il processo non si fermerà, perché in questo caso, più che mai, come ci ha detto Machado, ” el camino se hace al andar“, e ci sono gambe e teste per proseguire il viaggio. E vogliamo augurarci che chiunque sia il ministro che verrà sostenga e sviluppi ciò che è stato finora fatto.
Il Decalogo – 10 punti per l’uso dei dispositivi mobili a scuola BYOD – Bring your own device
A Bologna sono stati poi presentati i primi risultati dei gruppi di lavoro attivati dal MIUR sulla mappatura di metodologie didattiche innovative e sull’uso dei dispositivi personali mobili a scuola. Uno dei gruppi ha lavorato “ per fare definitivamente chiarezza su un tema su cui abbiamo lasciato le scuole in sospeso per troppo tempo: l’utilizzo di dispositivi personali mobili a scuola”, ha spiegato Fedeli. Il lavoro finale è stato anticipato da un decalogo di sintesi che sarà inviato alle istituzioni scolastiche, insieme al documento completo realizzato dagli esperti.
Lo poniamo alla discussione senza commenti al momento, anche se il documento ha suscitato pareri divergenti. C’è chi l’ha accolto con favore, affermando che rappresenta una guida utile e ragionevolissima per le scuole, c’è chi lo considera inadeguato rispetto all’esigenza di affrontare il problema della dipendenza dei ragazzi dai cellulari, che oggi produce deprivazione sociale ed affettiva, e c’è chi afferma che non è compito del MIUR ma delle scuole autonome definire tempi e modi dell’uso del BYOD in base alle singole differenziate realtà. Questi ultimi sostengono cioè che le scuole, del tutto minoritarie, in cui vi sono competenze e ambienti per un uso sapiente dei BYOD, non hanno bisogno di decaloghi e si stanno già muovendo in autonomia, per le altre, e sono la maggioranza, si tratta invece di indicazioni che possono solo generare perplessità, se non conflittualità, o semplicemente contribuire a nascondere problemi fondamentali tuttora irrisolti, quali ad esempio il cablaggio delle classi e la preparazione degli insegnanti.