Ci risiamo….
Ci risiamo. È ripartita la periodica polemica sulle prove Invalsi, il cui disegno complessivo è stato peraltro da tempo condiviso con il MIUR e che da tempo – anni – sono state progettate, predisposte, sperimentate e sottoposte a ripetute verifiche da parte di esperti selezionati. Un investimento non solo economico ma di ricerca sempre più intensa e rigorosa, a stretto contatto con le esperienze internazionali.
Come d’incanto, con la nuova legislatura, hanno ripreso vigore le voci che interpretano la valutazione come esclusivo compito soggettivo di ciascun insegnante. Nell’“Appello per la scuola pubblica” firmato da prestigiosi nomi di accademici nazionali si pone un’alternativa secca tra conoscenze e competenze, difendendo unicamente le prime, e si confida in una sorta di capacità valutativa insita in ogni insegnante e di suo esclusivo appannaggio. La conseguenza è la difesa di un modello antico, in cui comparazione e dati sono elementi assolutamente estranei e del tutto inutili, con le conseguenze note. Alcuni sindacati sostengono, nemmeno a dirlo, che “la valutazione è garantita dalla professione docente” (Uil scuola).
Così, si regredisce di anni e si fa sentire a gran voce la nostalgia per una scuola in cui la valutazione torna ad essere strumento soggettivo e discrezionale del docente, e i “dati” un inutile orpello.
Confusioni appositamente generate
Come è noto le prove Invalsi non sostituiscono la valutazione scolastica, né intervengono sui curricoli o sui modi di insegnare, ma mettono a disposizione i risultati di rilevazioni standardizzate su competenze circoscritte, che nei documenti ministeriali sono dichiarate essenziali per la formazione di ogni cittadino, in Italiano, Matematica e, per alcuni gradi scolastici, in Inglese. Si può, in tal modo, avere un punto di riferimento uguale per tutte le scuole italiane con cui confrontare la situazione di ogni area geografica del Paese e di ogni scuola al fine di individuare i punti di debolezza su cui intervenire a scopo migliorativo. L’Invalsi, non solo con le prove, ma anche con il percorso dall’autovalutazione alla rendicontazione, offre alle scuole la possibilità di uscire dall’autoreferenzialità.
Le prove in V superiore e il decreto 1000 proroghe
Con l’anno scolastico 2018/19, attraverso un processo di sperimentazione graduale svoltosi negli anni precedenti, si potrà giungere, con le prove nella V secondaria superiore, a rilevare il punto di arrivo del complessivo percorso di apprendimento scolastico, nel momento in cui lo studente lascia la scuola per entrare nel mondo del lavoro o per proseguire gli studi. Il traguardo della rilevazione è importante e risulta pertanto incomprensibile il motivo per cui il decreto milleproroghe intervenga proprio su questo grado delle prove, spostando dall’a.s 2018/19 all’a.s. 2019/20, l’entrata in vigore della disposizione del decreto legislativo n. 62/2017 per cui ai fini dell’ammissione all’esame, sarebbe stata necessaria la partecipazione alle prove Invalsi.
Attenzione: le prove di V superiore restano obbligatorie, in quanto le rilevazioni nazionali costituiscono per le istituzioni scolastiche attività ordinarie di Istituto (art.19, d.lgs. 62/17). Inoltre, come previsto, i livelli di apprendimento conseguiti nelle prove saranno indicati in forma descrittiva in una specifica sezione del curriculum dello studente allegato al diploma. Tuttavia il governo ha voluto, con la sua decisione, mettere un elemento di dubbio sulle prove Invalsi e su INVALSI in generale senza peraltro dare una spiegazione ufficiale e chiara della scelta.
L’effetto dell’intervento governativo
Che senso può avere tale “dubbio”? I giochi sono aperti. Un effetto sicuro è quello di sminuire il senso delle prove agli occhi degli studenti che potrebbero essere tentati di sottovalutarle o contrastarne il successo. Un altro effetto certo è di dare un segnale compiacente a quegli insegnanti, intellettuali, sindacati e associazioni avversi alle rilevazioni.
C’è anche la volontà politica di mostrare la “capacità di intervento” del Ministero: e da dove iniziare se non dall’Esame di Stato, come succede da anni, considerato punto di attenzione massima di docenti, studenti e famiglie?
Si potrebbe persino cogliere un intento non dichiarato, in quanto, implicitamente, si lascia aperta la speranza di una futura revisione completa del sistema delle prove o, addirittura, della loro eliminazione. Un modo per avere il consenso del fronte tradizionalista, sia di destra sia di sinistra, avverso alla cultura della valutazione nel senso positivo del termine. La valutazione non è “popolare”, ma sappiamo che è essenziale in un sistema scolastico come quello italiano non privo di problemi e di elementi di debolezza da affrontare.
La scuola italiana avrebbe bisogno di certezze, invece….
Tutti questi elementi di insicurezza – che, per inciso, non riguardano solo le prove Invalsi – non sono positivi per il mondo della scuola, fatto continuamente oggetto di cambiamenti repentini che sembrano assecondare più la ricerca di popolarità dei ministri di turno che i reali bisogni della scuola..
Tanto meno pare accettabile che in un Paese maturo e civile ad ogni giro di governo l’Istituto Nazionale di Valutazione venga messo in dubbio nella sue attività, che non sono esercitate in arbitraria solitudine, ma in collegamento costante con i più avanzati sistemi internazionali di valutazione.
Il rischio è quello di disfare quanto fatto finora e ricominciare sempre da capo.
La inevitabile conseguenza è quella di un crescente scetticismo da parte delle scuole verso la valutazione, ma non solo.