Alla fine di un anno scolastico svolto all’insegna del nuovo governo giallo verde è giusto chiedersi: Dove va la scuola?
Va detto in premessa che intervenire sulla scuola non porta bene ai governi, così l’istruzione non figura mai tra le priorità, né dei governi né delle campagne elettorali. Ed è forse per contrasto che è rimasto indelebile nell’immaginario collettivo lo slogan a tre parole della prima campagna elettorale di Tony Blair: EDUCATION, EDUCATION, EDUCATION!
In Italia non solo i partiti tendono a ignorare la scuola, oggi più che mai dopo la mala sorte della Buona Scuola, ma ogni governo si assume pervicacemente il compito di demolire, pezzo dopo pezzo, ciò che è stato fatto da quello precedente, con un costante ritorno all’antico, vista la rapidità dei cambi di governo in Italia.
Formazione e reclutamento
Non è stato da meno il governo giallo-verde. La cosa grave, a nostro avviso, è che la pars destruens ha, ancora una volta, attaccato un ganglio vitale per la scuola: la formazione e il reclutamento degli insegnanti.
La Buona Scuola prevedeva che, dopo aver vinto il concorso e prima di veder sancito l’incarico a tempo indeterminato, i futuri insegnanti seguissero un percorso formativo di tre anni di teoria e tirocinio in aula. Il ministro Bussetti ha deciso di mantenere il concorso, ma eliminare il triennio di formazione.
E come i suoi predecessori, ha previsto una serie di sanatorie, a dispetto del merito, del ringiovanimento della categoria e di qualsiasi considerazione programmatoria a fronte della massiccia diminuzione delle nascite delineata dall’ISTAT.
Con la soppressione della fase formativa successiva al reclutamento, così come con la precedente soppressione delle SSIS e del TFA, si torna alla riforma Gentile del 1923: nessuna preparazione professionale per chi sceglie di fare l’insegnante nella scuola secondaria di 1° e 2° grado, ma esclusivamente una formazione disciplinare.
Non vi è dubbio che l’organizzazione del triennio post-reclutamento previsto dalla legge 107/2015 avrebbe richiesto un impegnativo lavoro di collaborazione tra università e scuole prima per progettarlo e poi per gestirlo in modo efficace; non vi è dubbio che sarebbe stata una costruzione difficile, dovendo superare tra l’altro le tradizionali resistenze interistituzionali, e non vi è dubbio infine che mancasse un raccordo serio fra formazione dei docenti della scuola primaria e secondaria, ma cancellare questa parte dalla formazione/reclutamento degli insegnanti per tornare al solo concorso a cattedra è stato un pericoloso e deleterio passo indietro. E’ stato un ritorno a una cultura paleonovecentesca, del tutto inadatta alla gestione dell’attuale scuola di massa, una scuola non più affidata alla bravura del singolo docente, ma ad un lavoro di équipe nella programmazione e realizzazione della didattica e nella valutazione.
INVALSI e sistema nazionale di valutazione
Pende sull’INVALSI, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di formazione, la minaccia di essere “ soppresso o fuso o trasformato in un ufficio dello Stato”. Abbiamo più volte espresso la nostra preoccupazione per questo attacco all’Istituto Nazionale di Valutazione, nella consapevolezza che nessun stato moderno può predisporre strategie di miglioramento e innovazione, prescindendo da un’accurata conoscenza fondata sui dati, e solo INVALSI è in grado di fornirli per il sistema di istruzione e formazione.
L’ADi ha sempre seguito con interesse l’evoluzione di INVALSI e ne ha di volta in volta evidenziato successi e carenze. Ora se è vero che le rilevazioni e l’uso che le scuole ne fanno sono passibili di ulteriori miglioramenti, è altrettanto vero che tantissimo è già stato fatto e mai come in questo anno si sono registrati successi.
Per questo ADi, insieme ad altre autorevoli istituzioni, guarda con preoccupazione la messa in discussione di questo fondamentale Istituto. Né può pensare che INVALSI perda la propria autonomia, quando, come Istituto di ricerca dovrebbe averne di più di quanto in passato gli sia stata accordata.
Decentralizzazione regionale e autonomia scolastica
Ricorre quest’anno il ventennale del Regolamento dell’autonomia scolastica (DPR 275/1999), passato del tutto sotto silenzio. Sarebbe stato molto bello celebrarlo accomunandolo all’autonomia regionale in tema di istruzione, dando finalmente corso al nuovo Titolo V della Costituzione varato nel 2001.
Purtroppo, come si analizza in altro articolo di questa rivista, l’autonomia differenziata, che Lombardia e Veneto sono andate prefigurando, costituisce un ulteriore accentramento dei poteri a scapito dell’autonomia delle scuole, prevedendo, tra l’altro, la presenza contestuale di due datori di lavoro per il personale della scuola: Stato e Regione. L’ADI ha sempre sostenuto la decentralizzazione della gestione del sistema scolastico alle autonomie locali e persino il possibile avvio di un’autonomia differenziata, in caso di persistente immobilismo, ma è oggi costretta a stigmatizzare le modalità di autonomia differenziata proposte da Veneto e Lombardia, poichè, lungi dal costituire uno stimolo all’innovazione e al miglioramento della scuola, possono rappresentare nuovi lacci e lacciuoli all’autonomia scolastica.
… e allora dove sta andando la scuola?
… sta muovendosi a vista con le telecamere ‘ncòppa, emblema dei tempi.
Questi occhi vigili che si vogliono installare in ogni aula (ora nella scuola dell’infanzia, poi si vedrà…), non sono lì semplicemente a controllare insegnanti maneschi, no, sono lì a dirci che la scuola ha perso ogni autorità e autorevolezza; sono lì a dirci che l’istituzione scuola, un tempo presidio rispettato di educazione e formazione, è stata completamente delegittimata.
Non diverso è il significato dei controlli biometrici (impronte digitali o scansione dell’iride) dei Dirigenti Scolastici, inseriti nel cosiddetto Ddl concretezza, per il riscontro della loro presenza a scuola!
Noi, per quanto potremo, non accetteremo che si scada in un generalizzato sistema di sorveglianza poliziesca, quando sarebbe vitale analizzare le crescenti difficoltà in cui si dibattono oggi i docenti e i dirigenti scolastici e trovare strategie per invertire quel processo di progressivo deterioramento che sta intaccando il rapporto di alunni e genitori con l’istituzione scolastica.
Per quel che sapremo fare, continueremo nel nostro lavoro di ricerca e di proposte, senza subire in silenzio questa preoccupante delegittimazione dell’istituzione scolastica e della professione docente e dirigente.