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Francia: l’istruzione professionale vittima della licealizzazione

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Norberto Bottani ci propone un articolo pubblicato sull’ Observatoire des inégalités, che fa risalire il declassamento dell’istruzione professionale in Francia (ma la situazione è uguale in Italia) all’impostazione sbagliata della scuola media unica, modellata a somiglianza dell’antico ginnasio, con la valorizzazione dei saperi culturali generali, “accademici”, e la marginalizzazione di quelli pratici applicativi.

tratto dal sito http://www.oxydiane.net/ di Norberto Bottani

[stextbox id=”grey” mleft=”80″ mright=”80″ big=”true”]osservatorio ineguaglianza[/stextbox]

In un articolo pubblicato sul sito francese dell’Observatoire des inégalités, il sociologo francese Vincent Troger analizza, nell’ambito del sistema scolastico francese, il rapporto esistente tra i due canali dell’insegnamento secondario di secondo grado, quello dell’istruzione tecnica e professionale e quello dell’istruzione liceale generalista. Per Troger, la marginalizzazione dell’istruzione tecnica e professionale è la conseguenza di scelte fatte a monte ed in particolare dell’impostazione data alla scuola media unica al momento della sua  realizzazione: la costruzione di una scuola a misura e a immagine dell’antico ginnasio elitario e non di una scuola media unica capace di rispondere ai bisogni di una popolazione studentesca di massa. Ciò ha prodotto, nei programmi della scuola media,  l’iper-valorizzazione della cultura generale tradizionale proprio come è successo in Italia. Questa scelta del “ginnasio unico”, e non di una giusta e democratica scuola media unica, si è poi trasferita sull’insegnamento secondario di 2° grado dove la cultura generale, teorica e “astratta”, ha il primato assoluto nella gerarchia dei saperi scolastici, mentre tutte le altre forme di sapere applicato, la tecnologia, il disegno ecc… sono state declassate.

Questa impostazione ha  penalizzato tutti gli alunni che padroneggiano con più facilità i saperi pratici applicativi rispetto all’astrazione linguistica, al pensiero logico-matematico, con conseguenze disastrose che in Francia, come in Italia, sono sotto gli occhi di tutti. Presentiamo  di seguito una  libera traduzione adattata e sintetizzata dell’articolo L’enseignement professionnel victime de l’académisme à la française di Vincent Troger, professore associato di sociologia dell’educazione all’Università di Nantes, pubblicato il 18 gennaio 2013 nella rivista dell’”Observatoire des inégalités.  I titoletti non sono dell’autore dell’articolo.

Francia: l’istruzione professionale vittima della licealizzazione

professionaliL’insegnamento professionale paga un caro prezzo all’iper-valorizzazione delle discipline di cultura generale, “accademiche”, e alla corrispondente svalutazione dei saperi applicati, fenomeni tipici del sistema scolastico francese.

Il 28 settembre 2012, il quotidiano “Le Monde” ha dedicato un editoriale ai diplomati dell’istruzione professionale. Questa è stata  la prima volta in cui gli studenti degli istituti professionali sono per così dire saliti agli onori della cronaca in questo importante e famoso quotidiano. Ma il titolo dell’editoriale era di per sé eloquente : “La triste storia dei diplomi professionali” (“La triste histoire des bacs professionnels“). Nell’editoriale si deplorava il fallimento dei diplomati degli istituti professionali che tentano la strada dell’università. Questo episodio illustra da solo il posto che i responsabili scolastici e politici nonché tutti coloro che la fanno da padroni nel settore dei media (giornalisti, esperti, professori universitari, personalità politiche) riservano in generale agli istituti professionali e ai loro studenti. Non ne parlano mai. Il settore professionale è pressoché ignorato. Invece se si tolgono due ore di storia dal programma del liceo classico o del liceo scientifico, immediatamente l’avvenimento occupa la prima pagina dei grandi quotidiani e suscita  polemiche nazionali. Quando nel 2009 l’istituto professionale è stato ridotto da 4 a 3 anni, il che rappresentava, per 700.000 giovani (circa un terzo degli studenti della secondaria superiore francese)  una trasformazione grandissima del loro percorso scolastico, densa di conseguenze per il loro inserimento professionale e per il proseguimento degli studi, i media francesi ne hanno parlato solo per citare le manifestazioni di protesta dei professori o le ripercussioni negative sulle università dell’ingresso di questi studenti. Detto in altro modo, gli istituti professionali ed i loro studenti hanno solo molto raramente visibilità sociale e mediatica e quando  succede, se ne parla solo in termini  di deplorazione o pessimistici.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]L’occultamento dell’istruzione e della formazione professionale[/stextbox]

tendenzaUna prima spiegazione di questa tendenza all’occultamento o alla svalutazione dell’insegnamento  professionale ha cause evidenti : gli istituti professionali preparano a diplomi che corrispondono alle occupazioni di operai specializzati o di impiegati. Siccome queste occupazioni si collocano in una posizione subalterna nell’attuale gerarchia sociale, soffrono anche di due altri mali che nocciono fortemente all’attrattività della filiera professionale. Da un lato, questi diplomati sono i più esposti alla disoccupazione. Dall’altro, tenuto conto della concorrenza dei diplomati dell’istruzione superiore, è diventato molto difficile, sia nel settore privato sia in quello pubblico, sviluppare una carriera attraverso promozioni interne partendo dal basso, cioè con un diploma dell’istituto professionale.[1] Le famiglie, incluse quelle popolari, temono dunque che se i loro figli scelgono l’istruzione professionale si infilano in un vicolo cieco che impedirà loro qualsiasi sbocco socio-professionale prestigioso. Ne consegue un orientamento scolastico e professionale perverso che indirizza verso l’istruzione professionale solo gli allievi che nella scuola media non raggiungono risultati sufficienti. In altri termini, la scelta dell’istruzione professionale è una scelta in negativo. Ci sono poche eccezioni che valgono solo per alcune specializzazioni che godono, per ragioni svariate, di una buona reputazione nell’opinione pubblica e nei media (la gastronomia, il settore alberghiero, l’elettronica, la meccanica di precisione, ecc…).

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]La scuola dell’obbligo seleziona e non aiuta i deboli. Li scarta.[/stextbox]

deboliGli studenti degli istituti professionali sono dunque in grande maggioranza quelli segnati da fallimenti scolastici: il 60% di loro ha ripetuto almeno un anno nella scuola primaria o nella scuola media. Siccome la selezione colpisce prioritariamente i figli dei ceti popolari, questi ultimi finiscono negli istituti professionali dove ne costituiscono la maggioranza. Questa tendenza si aggrava poi nelle borgate o nei quartieri periferici delle metropoli, dove le classi popolari sono composte in maniera maggioritaria da immigrati. Il risultato di tutto ciò è la presenza massiccia negli istituti professionali di studenti di origine straniera. A questo riguardo, come afferma il sociologo Aziz Jellab, si può parlare di una etnicizzazione degli istituti professionali che ne accentua ulteriormente la dequalificazione perché rende fisicamente visibile l’origine degli studenti e dà loro il sentimento di essere doppiamente stigmatizzati : da un lato per via dell’orientamento e dall’altro per via delle loro origini etniche.

Infine è evidentemente molto raro che coloro che la fanno da padroni nei media o nelle cerchie che codificano il discorso pubblico provengano dagli istituti professionali oppure che abbiano i figli negli istituti professionali. Tutto dunque concorre a far sì che gli istituti professionali costituiscano la parte oscura del sistema d’istruzione secondario di secondo grado in Francia [2]

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]La storia comincia dall’istituzione della scuola media unica[/stextbox]

A queste logiche socioeconomiche esterne al sistema scolastico si aggiungono pure gli effetti di una gerarchizzazione simbolica interna, di un rapporto di dominio specifico del campo “accademico” per dirla con il sociologo Pierre Bourdieu. Per comprendere questo meccanismo è necessario ripercorrere la storia e le tappe della costituzione della scuola media unica.

La scuola media unica in Francia è stata istituita soltanto nel 1975.
E in due periodi, nel 1975 e nel 1989, è stata posta la questione del modello pedagogico di una scuola che doveva accogliere la totalità della popolazione scolastica.

Furono contemplate due soluzioni.

1) Il corso complementare

corsoLa prima soluzione era rappresentata dal prolungamento e dalla generalizzazione dei principi organizzativi del modello scolastico denominato  “Corso complementare”, messo a punto nel corso  della Terza Repubblica francese. Il corso complementare permetteva agli alunni di prolungare gli studi della scuola elementare con docenti che insegnavano due materie (francese-storia, matematica-scienze, francese-inglese, ecc.), nel quadro di programmi che approfondivano quanto si era acquisito nella scuola primaria e che avviavano progressivamente agli studi secondari insieme a forme di insegnamento pre-professionale. [3] Contestualmente un’altra parte di alunni, spesso provenienti dai ceti sociali benestanti, passavano direttamente all’istruzione secondaria senza frequentare il corso complementare.

Lo storico francese Antoine Prost ha dimostrato che negli anni Cinquanta il corso complementare aveva permesso in modo assai efficace la promozione di alunni di origine popolare che riuscivano ad entrare nei licei. Questa per esempio fu la via seguita dal premio Nobel per la fisica Georges Charpak, figlio di emigrati polacchi.

2) Il modello ginnasiale

ginnasioL’altra opzione pedagogica riguardante l’impostazione della scuola media unica consisteva nella riproduzione del modello elitario del ginnasio nel quale gli alunni erano seguiti da molti professori  specializzati in discipline diverse.

I programmi scolastici di stampo accademico erano impostati con lo scopo di selezionare i migliori studenti e di prepararli ad andare al liceo per immatricolarsi poi negli indirizzi d’eccellenza dell’insegnamento superiore.

Per ragioni troppo lunghe da esplicitare in questa sede, si è privilegiato questo secondo modello [4]. La prima conseguenza di questa scelta è nota : a partire dalla prima media si verifica uno scontro tra una forte proporzione di alunni che nel corso della scuola primaria non hanno acquisito le basi fondamentali del sapere scolastico e le cui famiglie non dispongono di un capitale  culturale elevato ed i professori formati attraverso una preparazione universitaria specialistica della propria disciplina. Questo confronto produce annualmente un grandissimo numero di insuccessi scolastici [5] La scelta del “ginnasio unico “, e non di una scuola media a misura di un vasto pubblico, ha introdotto nell’insegnamento secondario di primo grado un sistema di valori che colloca al vertice della gerarchia scolastica i saperi accademici più astratti, come è testimoniato dall’ordine di presentazione delle materie nei libretti scolastici. Contemporaneamente, sono stati dequalificati o svalutati tutti i saperi applicati, che si tratti delle scienze applicate, di tecnologia o di arte, e per riflesso anche tutti gli allievi che padroneggiavano meglio questi tipi di saperi rispetto  all’astrazione linguistica o logico-matematica. La stessa cosa è avvenuta nella scuola secondaria di 2° grado e logicamente anche l’insegnamento universitario ha allineato i propri criteri di selezione su quelli dell’insegnamento secondario, preferendo sistematicamente le matricole provenienti dalle filiere liceali scientifiche o di cultura generale.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Un paradosso della storia[/stextbox]

manoLa logica del dominio simbolico dei saperi accademici e di deprezzamento sistematico dei saperi  applicati ha trasformato necessariamente le filiere professionali in un rifugio degli studenti che vanno male nelle discipline di cultura generale e ha aggravato la riluttanza delle famiglie nei confronti di questi istituti.

Paradosso della storia : mentre nel sistema precedente alla “democratizzazione”, la separazione precoce alla fine della scuola primaria tra i corsi di avviamento che conducevano agli istituti tecnici e professionali da un lato, e  la scuola media che conduceva ai licei dall’altro, aveva permesso di preparare le elite professionali che accedevano a posti dirigenziali nelle aziende industriali, nel commercio e perfino nell’amministrazione, ora l’accesso di tutti alla scuola media unica, condizionata dall’egemonia della cultura accademica, ha trasformato ineluttabilmente tutti  gli indirizzi professionali in percorsi segreganti.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Non si torna indietro, ma i programmi della scuola media unica vanno modificati[/stextbox]

changeSarebbe evidentemente del tutto anacronistico oggigiorno invocare un ritorno ad una selezione precoce simile a quella di mezzo secolo fa. Se esiste realmente la volontà politica di valorizzare i saperi professionali, tecnologici e delle scienze applicate, questa volontà passa sia attraverso lo sviluppo delle possibilità offerte agli studenti dell’istruzione professionale di proseguire la loro specializzazione a livello terziario [6], sia attraverso la trasformazione dei programmi della scuola media unica. Questo è il solo mezzo per attenuare l’ostilità delle famiglie nei confronti delle filiere professionali e per diversificare il reclutamento delle elite professionali. Queste considerazioni sono state alla base della decisione che ha ispirato in Francia alcuni anni fa la riforma della maturità professionale portandola da 4 a 3 anni, come tutti gli altri licei [7]. Ora il recente annuncio del ministero di imporre una quota di immatricolati provenienti dagli istituti professionali all’istruzione terziaria non universitaria, come i BTS o gli IUT, comporta un grande sforzo da parte degli insegnanti degli istituti professionali per rinnovare la didattica insieme alla disponibilità ad accettare l’idea che un certo numero di giovani delle filiere professionali possa padroneggiare  gli stessi saperi di chi proviene dai licei , se si danno loro i mezzi e le opportunità per farlo. E ciò non è affatto scontato.


[1] Una prospettiva del genere non esiste affatto per esempio nelle società che ruotano attorno al mondo tedesco (ndr)

[2] E probabilmente, almeno in parte, anche in Italia (ndr)

[3] Non tutti gli alunni della scuola primaria avevano i mezzi, il tempo di continuare la scolarità nel corso complementare. Questo indirizzo era valido ma non accoglieva tutti i bambini che arrivavano al termine della scuola primaria (ndr)

[4] Ciò è successo in Francia ma anche in Italia, in Svizzera

[5] Ed anche molte frustrazioni tra i professori che hanno di fronte classi difficili, ottuse, che rifiutano il discorso accademico brillante, l’estetismo della cultura letteraria e scientifica

[6] Questo è in Italia il tormentato dibattito  sugli IFTS e gli ITS

[7] In Francia dopo la scuola media di 4 anni, la scuola secondaria di 2° grado, i licei, sono di 3 anni, con conclusione a 18 anni, gli istituti professionali erano invece, fino a pochi anni fa di 4 anni, con conclusione a 19 anni