Una decisione incredibile della Giunta Merola provoca un balzo indietro di 100 anni
Le scuole comunali dell’infanzia di Bologna, insieme a quelle di Reggio Emilia, sono state di decisiva importanza in Italia per la trasformazione degli “asili” in autentiche “scuole”, divenute note in tutto il mondo (basti ricordare le lunghe citazioni di Howard Gardner in The disciplined mind).
Fu a Bologna che negli anni Sessanta il Comune lanciò la parola d’ordine “Il diritto allo studio comincia a tre anni”, che fu molto più di uno slogan, fu la capacità della Giunta di allora di accogliere tutti i bambini bolognesi dai 3 ai 6 anni in belle scuole, che sperimentarono nuove architetture e nuove pedagogie sotto la guida illuminata di Bruno Ciari.
Per molti anni l’Amministrazione Comunale di Bologna è stata un punto di riferimento culturale sia per la scuola dell’infanzia sia per il tempo pieno nella scuola elementare. I febbrai pedagogici furono importanti momenti di elaborazione politica non solo di riflessione pedagogica. Poi via via la spinta propulsiva si è affievolita fino ad arrestarsi e addirittura a subire preoccupanti processi involutivi, con un succedersi di assessori sempre meno all’altezza del compito e privi di visione degli scenari che andavano profilandosi.
In altri tempi una città come Bologna sarebbe stata all’avanguardia nel processo di decentralizzazione dell’istruzione, nella battaglia per l’applicazione del nuovo Titolo V della Costituzione. Avrebbe avuto chiaro che dalla fase di “integrazione” fra scuole dell’infanzia comunali e statali occorreva passare all’”unificazione” delle due scuole.
In nessun Paese d’Europa (ma nemmeno del mondo) esiste questa dicotomia: le scuole sono o statali o decentralizzate agli Enti Locali come nei Paesi nordici e come vorrebbe la nostra Costituzione.
Ora Bologna ha davvero toccato il fondo. Le scuole dell’infanzia comunali hanno un numero di insegnanti precari insostenibile, oltre 230 su 495, che mina alla radice la qualità dell’educazione. Da tempo non c’è nessun progetto culturale, né rinnovamento di gestione: il Regolamento attuale risale al 1994, a prima del varo dell’autonomia scolastica (1997). Le scuole sono diventate solo un peso per un’Amministrazione Comunale poco incline a capire il valore dell’istruzione, tanto più importante proprio nelle fasi di crisi. Con questa miopia politica e opacità di visione, ha assunto la decisione di disfarsene. Anziché utilizzare le deroghe previste dalla legge 44/ 2012 per sanare almeno parte del devastante precariato e rilanciare le proprie scuole, ha deliberato di non assumere nessun insegnante e di passare, parzialmente da quest’anno scolastico, totalmente dal prossimo, tutte le scuole a un’ASP, Azienda Speciale alla Persona, cioè un ente di assistenza che ha in cura anziani bisognosi ecc …
Vogliamo augurarci che non solo le insegnanti, ma tutta la città si ribelli a questa follia che ricaccia le scuole indietro di oltre 100 anni!
A Milano, dove le scuole comunali coprono l’85% di tutte le scuole dell’infanzia, la Giunta Pisapia ha aperto 20 nuove sezioni e sta assumendo 300 insegnanti! Se si vuole si può.