AUTONOMIA SCOLASTICA E REGIONALE PERCORSI CONTESTUALI
1. Con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 febbraio 2023 ritorna di attualità la questione dell’autonomia regionale differenziata. Ciò coinvolge, come possibile oggetto di conferimento, anche l’istruzione e , per questa via, aspetti rilevanti per l’autonomia scolastica.
Le due autonomie, regionale e scolastica, hanno in realtà quasi sempre avuto percorsi in parte contestuali. Alcuni segni di autonomia nella scuola risalgono al decreto delegato sugli organi collegiali del 1974 , n. 416, quando da poco era stata avviata l’esperienza delle Regioni ordinarie (1970/1972). Nel 1997 (con la legge n. 59, art. 21), è all’interno di un riordinamento delle funzioni di Stato regioni e poteri locali che è attribuito a un regolamento delegato il compito di dettare la disciplina specifica dell’autonomia scolastica. E ancora nel 2001 è nell’ambito della riforma del Titolo V (quello che si occupa dei ruoli di Stato regioni e altri enti territoriali), che viene costituzionalizzata la “autonomia” delle “istituzioni scolastiche”.
Ora sono passati venti anni dalla modifica costituzionale, trenta dalla previsione originaria e l’autonomia scolastica è ancora incompiuta, secondo molti.
Di qui l’interesse a riprendere il filo che collega autonomia scolastica e autonomia regionale, per valutare che cosa si possa ricavarne.
AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA
NON INCOMPATIBILE A PRIORI CON EQUITA’
2. Contrariamente a diffusi apriorismi, l’autonomia regionale differenziata non è necessariamente incompatibile con il principio di eguaglianza.
In riferimento ad aspetti che rimangono da considerare diversi, la differenziazione può essere in realtà un mezzo per fare eguaglianza, oltre che formale, sostanziale.
La scuola ne è un buon esempio: l’ideale sarebbe infatti la capacità di mettere a disposizione prestazioni che siano il più possibile aderenti alla singola individualità, quindi diverse.
Su altro versante: ogni autonomia, sol perché tale, è promessa di differenziazione: eppure, anch’essa appartiene ai “principi fondamentali” della Repubblica, come l’eguaglianza.
Infine, l’autonomia differenziata è uno strumento giuridico circoscritto.
a) Infatti può essere richiesta, e non necessariamente ottenuta perchè lo Stato deve consentirvi, in molte materie, comprese “le norme generali sull’istruzione”, ordinariamente di competenza esclusiva statale, ma, al tempo stesso, la richiesta deve essere specifica e avere ad oggetto forme e condizioni “particolari” di autonomia.
Lo spirito dell’art. 116 della Costituzione, che prevede l’autonomia differenziata, vuole evitare che l’astratta e generale ripartizione delle attribuzioni fra Stato e Regioni ordinarie ostacoli l’eventualità che qualche Regione possa dare risultati migliori , in base alla particolarità delle proprie situazioni concrete, e con ciò contribuire anche a migliorare la situazione nazionale. Sono dunque esclusi trasferimenti di poteri e di funzioni in astratto, fini a se medesimi.
b) In secondo luogo, in materia di rapporti finanziari, vi è il limite del rispetto dei principi volti a garantire la promozione della solidarietà e della coesione nazionale.
c) Infine il dato forse più importante è la norma sui “livelli essenziali delle prestazioni” da assicurare ai diritti “civili e sociali” in misura paritaria in tutto il Paese. La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni è l’indispensabile condizione in vista degli eventuali conferimenti. I livelli debbono preesistere e debbono essere finanziati.
Ora il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri stabilisce espressamente le modalità per l’emanazione dei LEP.
Colma, inoltre, un’altra grave lacuna, ossia la mancanza di norme destinate a regolare il procedimento, la trasparenza dell’itinerario, forme di pubblicizzazione e di partecipazione, l’efficacia e la durata dell’intesa, nonché i poteri di intervento e di controllo dello Stato sul rapporto che ne deriva. Infatti, il conferimento dell’autonomia differenziata è una sorta di concessione temporanea di un “bene” che rimane nel dominio dello Stato.
Ciò premesso rimangono molti difetti, molte carenze, molte scelte che lasciano consistenti perplessità. Il disegno di legge dovrebbe essere ampiamente modificato e integrato. Tuttavia, conferma, quanto meno, che questi aspetti debbono essere disciplinati prima di procedere agli eventuali conferimenti. Non è un fatto secondario.
In considerazione dei limiti accennati, il quesito si trasforma:
Non si tratta di escludere in via preliminare il ricorso all’autonomia differenziata, ma di verificare se e quanto ciò possa essere davvero utile. |
Per quanto riguarda il campo dell’istruzione, ciò dipende da che cosa si intende e da che cosa si vuole che sia l’autonomia scolastica.
AUTONOMIA SCOLASTICA
L’autonomia scolastica non ha dato i risultati che ci si attendevano. Al tempo stesso il perdurante centralismo statale non è riuscito a svolgere né il suo indispensabile ruolo di governo, di indirizzo e di controllo né il ruolo di amministratore e gestore del sistema scolastico (questo in gran parte dismissibile a favore di altri).
L’impressione è che certe concezioni dell’eguaglianza e dell’unità abbiano impedito di prendere atto che l’autonomia scolastica non è un pezzo aggiunto e inserito nel sistema tradizionale dell’amministrazione dell’istruzione. E’ un pezzo che deve (dovrebbe) trasformarlo interamente: è un fattore di riconfigurazione di tutta la restante amministrazione dell’istruzione (compresa l’istruzione e formazione professionale).
La distinzione basilare da cui muovere non è più quella fra amministrazione dell’istruzione statale o invece regionale o altro, ma, in conseguenza della particolare natura dell’attività da svolgere, quella fra l’amministrazione dell’autonomia, impersonata, come afferma la costituzione, dall’ “l’istituzione scolastica”, e le altre amministrazioni, complessivamente e unitariamente considerate. Solo nel momento successivo alla precisazione dell’autonomia scolastica si può individuare ciò che in materia di istruzione deve essere ripartito fra Stato, regioni e altri enti territoriali.
L’istituto scolastico autonomo va realizzato con il contributo di tutti: anch’esso infatti dipende dalla finanza pubblica (e dalla sovranità popolare) ma va anche tutelato nei confronti di tutti (Stato, regioni, ecc.).
L’autonomia scolastica, per rispondere ai bisogni dell’istruzione, se ha il suo centro nella progettazione dell’offerta e nell’organizzazione della didattica, coinvolge argomenti che vanno ben oltre, coinvolge una serie di condizioni, in diritto e in fatto, necessarie per darle fisionomia e sostanza.
Vengono in rilievo, fra altro:
a) lo stato giuridico del personale della scuola e del personale docente e dirigente. La scuola è innanzitutto (non solo, ma innanzitutto) il docente, e il dirigente.
L’ultimo testo organico in materia di istruzione (ivi compreso lo stato giuridico) è il d.lgs. n. 297 del 1994, in gran parte sopraffatto da una continua miriade di disposizioni, sempre più spesso adottate in via di urgenza.
Nel 2015, la legge 107, ebbe a prevedere numerose deleghe, fra cui quella concernente il “riordino (delle disposizioni normative” (art. 181, c. a1) del testo unico del 1994 e della legislazione successiva. È rimasta senza effetto, diversamente dalle altre. Eppure le modifiche da introdurre, magari gradualmente, ma in una coerente prospettiva di insieme, sono sempre più urgenti: tipologia delle competenze, e relativi meccanismi di aggiornamento al progresso scientifico, tecnologico e culturale; carriera (una differenziazione permanente, con la possibilità di un percorso unitario, un assetto stabile, prevedibile, affidabile, fissato con legge nazionale), ruolo e poteri dei docenti nella struttura dell’istituzione scolastica, un livello direttivo e di orientamento intermedio, certi diritti e certi obblighi; formazione, reclutamento, concorsi, procedure. In mancanza, ogni intervento (o quasi) rischia di essere tecnicamente incongruo e difficilmente prevedibile quanto agli effetti che ne potranno seguire. Genera dei problemi piuttosto che delle soluzioni.
b) La rideterminazione dello stato giuridico fatalmente, incide sul modello di disciplina del rapporto di lavoro. Implica cioè una revisione dell’ambito da riservare alla legislazione e di quello da riservare alla contrattazione collettiva. Non solo. Per seguire fino in fondo la logica dell’Istituzione scolastica autonoma e nel quadro della sua attuazione, sarebbe da modificare anche la titolarità del rapporto di lavoro: lo si potrebbe intestare agli Istituti o a reti di Istituti (secondo un’indicazione assai risalente, ben prima della costituzionalizzazione dell’autonomia). In ogni caso, si dovrebbe quanto meno individuare negli Istituti o in reti di Istituti i protagonisti dell’iniziativa dei posti da bandire, del bando, della formazione delle Commissioni,(ferma la possibilità di conferire le attività meramente burocratiche a uffici- regionali o locali- delle amministrazioni territoriali).
c) E ancora occorre prevedere un sistema di finanziamento che, nel rispetto dei limiti in punto di progettazione dell’offerta e di organizzazione didattica (peraltro ampiamente da ridurre), e nel rispetto dei LEP, permetta scelte effettive sull’organico, sulla provvista del personale docente e di portatori di esperienze e competenze ulteriori, sulla gestione del personale, e così via.
d) E infine richiede una strutturazione dell’Istituto corrispondente alla responsabilità di un’autonomia all’altezza del bisogno: sistema di governo, configurazione appropriata dell’organo di indirizzo, presenza di esterni, livelli direzionali intermedi, ecc.
Questo non può farsi, neppure in parte, senza un intervento legislativo nazionale.
Per due ragioni, una di legittimità e una di merito:
- legittimità: tali aspetti intersecano temi di cui solo la legge nazionale può disporre;
- merito: l’autonomia differenziata serve solamente se ciò che viene sostituito alle prescrizioni nazionali si muove lungo le direttrici citate. In altre parole: l’autonomia differenziata non può essere uno strumento con cui lo Stato finisce per declinare le proprie responsabilità; non può autorizzare in bianco una deroga a ciò che c’è, senza prima accertare se ciò che vi è costituisca una condizione idonea affinché gli eventuali conferimenti, alla luce delle loro specificità, possano produrre esiti positivi per tutti.
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA RICHIESTA
DALLA REGIONE VENETO
Alcune delle richieste avanzate negli anni scorsi e già oggetto di trattativa ne offrono conferma.
Pochi cenni, in riferimento alla Regione Veneto.
A. Norme generali sull’istruzione (art. 9). Potestà legislativa della Regione in punto (fra altro) di “disciplina delle finalità, delle funzioni e dell’organizzazione del sistema educativo regionale di istruzione e formazione, anche specificandone le funzioni in relazione al contesto sociale ed economico della Regione, nel quadro del sistema educativo concordato a livello nazionale”.
Siamo fuori da quanto prescrive l’art. 116. Siamo dinanzi a una mera rivendicazione di potere in astratto e in generale. La specificazione delle funzioni deve stare dentro la richiesta e non seguire conferimenti che sono stati già ottenuti: ciò è indispensabile ai fini della valutazione e della decisione del Governo sull’opportunità o non di concludere l’intesa (e ancor per le valutazione del Parlamento ai fini dell’approvazione dell’intesa).
B. Condizione giuridica e rapporto di lavoro del personale docente, dirigente, tecnico e ausiliario.
Si prevedono ruoli regionali e si prevede il potere di disciplinare, mediante contratti regionali integrativi, “l’organizzazione e il rapporto di lavoro del personale delle istituzioni scolastiche”, ma, ovviamente, si precisa “nel rispetto delle disposizioni statali in materia di ordinamento civile” e dei contratti collettivi nazionali: su questo piano niente di nuovo. Invece, come si è osservato, occorre cambiare innanzitutto le regole su chi e come deve essere il personale, su che cosa deve fare, quali i diritti e gli obblighi, quali i poteri e le responsabilità, ecc..
Il mutamento della persona del datore di lavoro, di per sé, non basta.
C. Autonomia scolastica. E’ uno dei cardini, insieme alla responsabilità di governo (a livello nazionale) e a quella del Parlamento, di tutto il sistema dell’istruzione. Sarebbero necessarie molte precisazioni in ordine a tutti i punti che la riguardano, direttamente o indirettamente. Il centralismo, infatti, non è necessariamente solo statale.
SI COMINCINO A DIFFERENZIARE GLI ISTITUTI SCOLASTICI AUTONOMI
Il lavoro da fare è consistente. Impensabili tempi stretti.
Però, come si dice, l’importante è cominciare.
Ad esempio: valutando le richieste di autonomia differenziata nelle prospettive indicate, vedendo se intanto sia possibile e conveniente fare qualche cosa, ma consapevoli della necessità di mutamenti sul piano della legislazione nazionale.
Oppure, autorizzare, con appropriate indicazioni in positivo (non semplicemente un lasciar fare), modelli sperimentali di autonomia scolastica, ricercando la collaborazione dei poteri regionali e locali e sollecitando e offrendo una possibilità all’iniziativa di eventuali docenti, dirigenti scolastici, genitori, studenti, cittadini interessati.
Serve, l’autonomia differenziata? Serve, se non altro a ricordare una questione da anni pendente, sempre più meritevole di essere portare a conclusione: l’istituto scolastico autonomo |