D.Barca – Innovazione pedagogica e tecnologia al servizio della relazione nella scuola Mattarella di Modena

Atti del Seminario internazionale ADi "A rischio di dispersione" - 8 maggio 2023

Vorrei iniziare con due premesse importanti. La prima premessa è che le trasformazioni hanno bisogno di tempi lunghi. L’IC3 di Modena, ad esempio, è al settimo anno di percorso. La seconda premessa è che siamo riusciti a portare avanti una trasformazione analoga alla Secondaria di Primo Grado “Mattarella” anche in ogni plesso del Comprensivo 3. Ogni plesso ha avuto una sua caratterizzazione e per i colleghi che ci ascoltano è importante sapere che ogni scuola può e deve trovare una sua vision. In Italia sono 40 mila i plessi scolastici, 8000 le istituzioni scolastiche. Ogni scuola ha la sua tradizione, ha ambienti differenti, un contesto sociale spesso diverso pur essendo dentro la stessa istituzione scolastica.

Noi siamo in un quartiere periferico della città di Modena e la nostra esperienza nasce dalla costruzione di questo nuovo edificio, la scuola Mattarella, nel 2016-2017 quando si inaugura la scuola e un gruppo di pionieri che io non conoscevo, li ho incontrati qui, decidono di lavorare sulle aule laboratoriali, vale a dire uno spazio dove l’insegnante è, passatemi l’espressione, “padrone di casa”, dove lo spazio è suo, può avere gli strumenti che desidera, può arricchirlo e, contemporaneamente, si ha l’altro grande vantaggio ovvero quello di non subire interruzioni continue.

Uno dei grandi problemi della scuola italiana non è solo e non tanto l’edilizia scolastica, il fatto che abbiamo spesso palazzi vetusti, ma anche che sono realizzati con una filosofia molto particolare per cui spesso ci troviamo ad avere classi da 25 alunni in ambienti molto piccoli, standardizzati. L‘idea che ogni che ogni insegnante abbia il suo il suo ambiente è stato il nostro punto di partenza.

L’anno dopo, nel 2017-2018, abbiamo avviato una riflessione sul fatto che, se l’aula è dedicata, l’ambiente è di per sé laboratoriale, la didattica è automaticamente attiva e così da una parte, soprattutto in discipline come la musica e l’arte, il libro diventa residuale pur nella sua importanza e, dall’altra il testo può diventare una specie di collettore di questa esperienza. Approfittando del fatto che già all’epoca avevamo internet in tutti gli ambienti della scuola compresi quelli esterni, oltre che quelli grandi interni, abbiamo eliminato alcuni libri dall’obbligo di adozione. Chiediamo alle famiglie di acquistare un dispositivo tecnologico, all’epoca era il tablet, in modo che ogni studente abbia uno strumento. Come si usa lo strumento? In base all’esperienza e all’insegnante, in base agli interessi degli studenti, in base alle attività che si vogliono realizzare. Non hanno tutti la tastiera davanti e non stanno tutti ordinatamente a scrivere come in un ufficio postale, è tutt’altra esperienza. Può infatti accadere che qualche notebook sia acceso e altri no, può accadere che siano tutti accesi perché stiamo facendo insieme un lavoro di costruzione… non c’è una regola – e questo è molto interessante – se non quelle che riguardano il rispetto della privacy, la sicurezza online, ecc.

Non solo: se entrate in una classe tipica italiana, sia essa secondaria di primo grado o primaria, chi ha lo strumento digitale? Spesso solo lo studente certificato, è stato fatto un grande lavoro di finanziamento negli anni anche da parte del ministero. Mentre che sia un BES o DSA certificato grave, nelle nostre classi all’IC3, non è subito evidente. Non si può associare l’uso dello strumento alla disabilità o alla certificazione di disturbo di apprendimento. Questo è un passaggio – se vogliamo legato all’”occhio” – molto importante perché lo strumento per recuperare le differenze svolge questa funzione per il solo fatto che non c’è differenza tra chi dovrebbe averlo e chi no.

Dopodiché è arrivato il covid, e abbiamo imparato tre cose che sono un po’ la sostanza di quello che noi siamo adesso. La prima riguarda la valutazione: ci siamo accorti che non si poteva valutare il lavoro online come facevamo con il lavoro in presenza. Uno degli errori è stato trasporre online ciò che si faceva in presenza. Sono due mondi differenti che possono convivere, possono integrarsi, ma sono differenti, e quindi ci siamo chiesti come valutare. Abbiamo rispolverato la certificazione delle competenze del terzo anno che, trasposta sugli anni precedenti, in seconda e in prima, diventa uno strumento di valutazione interessante. Non si va più solo a valutare la performance ma anche il coinvolgimento e anche le molteplici competenze.

La seconda cosa che abbiamo imparato è che i ragazzi durante in lockdown, collegati durante la DAD ma chiusi nelle loro stanze, guardavano fuori dalla finestra e si accorgevano che fuori c’era la primavera, era marzo – giugno 2020. Sembra di dire qualcosa di poetico e di un po’ banale ma in realtà è così che ci siamo accorti che dovevamo tornare a mettere insieme la natura con il sapere. Certo, lo strumento digitale ha avuto la funzione di farci parlare, conoscerci, ecc. ma è utilissimo anche per andare verso saperi differenti.

È nata così l’idea dei club, come li chiamiamo noi, ovvero dei percorsi multidisciplinari. Ad esempio, abbiamo LUCY che è il percorso di intelligenza artificiale dove c’è la matematica, c’è la logica, c’è lo storytelling, c’è l’inglese. Sono percorsi pensati con l’idea di una personalizzazione operativa. In genere per personalizzare prendiamo coloro che hanno difficoltà e li mettiamo fuori dall’aula o in un angolo. Noi proviamo a fare l’opposto: diamo un oggetto di apprendimento da affrontare in molti modi. Magari il ragazzo non eccelle in matematica perché ha un talento diverso, magari è bravo nello storytelling, nel raccontare esperienze o nel costruire un oggetto, nelle Steam, nell’engineering… I percorsi sono diversi, abbiamo Lucy sull’intelligenza artificiale, Frida sull’intelligenza artistica a tutto tondo (musica, danza, teatro, ecc.), Mary sull’intelligenza sociale, Maya sulla sostenibilità. La cosa importante è che questi progetti non rimangano fini a sé stessi, dobbiamo farli diventare curricolo.

La terza cosa che abbiamo appreso dal periodo covid è il tutoraggio. Ci siamo accorti che non riuscivamo seguire tutti i ragazzi durante il covid, è stato uno dei grandi problemi e non ha riguardato solo i ragazzi con difficoltà familiari, con background deprivati perché lo strumento digitale è stato fornito a tutti, ma accadeva spesso che anche gli alunni abituati a primeggiare in classe, ad alzare la mano, nel contesto a distanza non avevano più la motivazione a fare meglio. Allora siamo andati nelle loro case, abbiamo fatto una Task Force composta dagli insegnanti di sostegno e siamo andati a incontrarli uno a uno, in piccoli gruppi, ecc. e quando siamo tornati in presenza ci siamo chiesti: perché non provare ad affidare delle ore solo all’insegnante di sostegno? Due ore a settimana in cui l’insegnante di sostegno di quella classe sta da solo con i ragazzi (se c’è un caso grave naturalmente c’è anche l’educatore di assistenza). E che cosa fanno in queste due ore? Potenziamento, storytelling, motivazione, recupero… L’insegnante di sostegno che spesso viene visto come “quello che sta con tizio, il bimbo che ha difficoltà”, ma che di fatto è un insegnante della classe, ora ha un compito in più. E veniamo ai nostri giorni, nel 2023. Abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti nella valutazione. Alcune delle attività vengono autovalutate dallo studente attraverso una rubrica di valutazione e il tutor che non agisce fuori dalla classe ma in orario curricolare, aiuta gli studenti a stilare questa autovalutazione. Lo fa di concerto con gli insegnanti delle discipline ma, avendo più tempo, si può dedicare con maggiore attenzione.

Tutto quanto raccontato finora, lo abbiamo fatto nel contesto dell’Autonomia. Abbiamo ritagliato, all’interno della norma già esistente, gli spazi per azioni coraggiose anche se bisogna ricordare che ogni realtà scolastica ha il suo contesto e le sue competenze. La storia della scuola Mattarella è frutto di quello che i miei insegnanti fanno quotidianamente nelle classi, è grazie a loro e alle loro peculiari competenze che il cambiamento è stato possibile.

Chiudo con una battuta: ”Pensavo fosse tecnologia e invece era la scuola”. Ci tengo moltissimo a sottolineare questo, è vero abbiamo la rete, abbiamo gli strumenti, ci additano come scuola tecnologica ma… non è questo il focus e spero di averlo trasmesso con il mio intervento.

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