La breve riflessione che vorrei proporre parla di alcuni dati che si collocano a complemento dei dati presentati da Mimma Siniscalco nell’introduzione, che riguardano le tappe di avanzamento delle carriere dei giovani e gli elementi performativi nel loro percorso scolastico.
I dati che vi propongo non sono in contrasto con quei dati ma vanno collocati in questa relazione introduttiva come un tentativo di allargare lo sguardo e cioè di considerare non soltanto alcuni indicatori standard, ma anche altri elementi che riguardano più le condizioni del vissuto degli studenti. Sono dati più complicati perché quando parliamo del vissuto, e non di semplici dati numerici, i dati vanno maneggiati con un’attenzione interpretativa diversa, ma sono dati fondamentali.
Lo scopo è duplice: da un lato fare un breve ragionamento su quelli che sono i fattori che incidono sull’esperienza scolastica ma anche sulla carriera complessiva degli studenti e delle studentesse e dall’altro entrare più nel merito di alcuni vissuti riguardanti in particolare le relazioni che gli studenti e le studentesse vivono con i coetanei e anche con i docenti e con il personale che incontrano all’interno della scuola.
Rispetto al tema dei fattori che incidono sull’esperienza scolastica, da sociologo dell’educazione sento la necessità di ricordare che le informazioni che tratto si collocano a un certo livello di lettura. Le informazioni di cui parlerò si collocano soprattutto a livello micro dell’esperienza dei ragazzi.
Tre dimensioni: Macro, Meso e Micro
È importante però ricordare che in realtà il successo della carriera scolastica di uno studente e più complessivamente della popolazione scolastica dipende almeno da tre dimensioni fondamentali: la prima è la dimensione MACRO delle policies, cioè di come viene costruita l’architettura delle istituzioni educative quindi i modelli dei percorsi, le risorse che vengono assegnate e come vengono poi vincolate rispetto all’attuazione. Ma questo livello, che solitamente negli studi serve ed è utile anche per rilevare le differenze in termini di esiti comparativi tra Paesi diversi che hanno sistemi formativi diversi, è un livello che ci interessa ma non è alla portata dell’attività del singolo insegnante e del singolo docente nella sua attività quotidiana.
Abbiamo poi il livello MESO che è un livello nel quale docenti e dirigenti hanno più possibilità di manovra, perché a che fare con la dimensione organizzativa del singolo Istituto, che ha risorse e limiti che vengono dati dal livello MACRO, e si trova a organizzare l’attività didattica di una popolazione studentesca collocata all’interno di un territorio. Questo può essere più o meno ricco, può avere un capitale sociale più o meno articolato, associazioni, enti, realtà che possono far vivere esperienze anche al di fuori della scuola. E d’altra parte può avere un mercato del lavoro che può essere più o meno attrattivo e sappiamo per esempio che nell’ambito della dispersione scolastica avere un mercato del lavoro attrattivo è un fattore che facilita chi vive una dimensione di difficoltà e decide di uscire dalla scuola avendo anche l’incentivo dell’occupazione lavorativa. A livello MESO c’è anche il fattore comunità locale che rappresenta un fattore importante, pensiamo ai diversi progetti di intervento di prevenzione della dispersione che fanno proprio leva sul fatto che non c’è solo la scuola, che la scuola non è collocata in un deserto ma all’interno di una realtà educativa più vasta che può supportare anche i ragazzi con maggiori difficoltà.
Non mi soffermo su questo livello bensì tratterò soprattutto il livello MICRO cioè dei fattori contestuali. Ovviamente il livello MACRO e il livello MESO hanno delle incidenze e lo vediamo da un punto di vista statistico, ma per l’esperienza del singolo ragazzo, per la possibilità di successo di una/un giovane, è molto più importante la dimensione contestuale. Tanto è vero che all’interno della stessa classe noi possiamo avere, a fronte di profili relativamente simili, degli esiti diversi. Sia perché le motivazioni, le capacità, le attivazioni sono diverse, sia perché i docenti possono riuscire a creare un clima positivo e propositivo. Oppure tra classi diverse dello stesso Istituto possiamo avere dei livelli di apprendimento diversi, perché si è riuscito ad agire su questi fattori contestuali, a creare dei meccanismi che sono virtuosi.
Ciascuno di noi ha un proprio ambito di potere, anche in termini di prevenzione, a seconda del proprio ruolo. Ciascuno ha una capacità di intervento che va anche oltre le probabilità dettate dalle statistiche. Sappiamo che alcuni ragazzi e alcune ragazze con condizioni di partenza e in territori che possono essere considerati svantaggiati da un certo punto di vista, sulla carta sono perdenti. Il nostro problema di docenti è che, se si avalla questa dimensione di conoscenza del territorio, che non è solo pregiudizio ma un dato oggettivo, senza cercare di contrastarla agendo sui fattori contestuali, semplicemente si riproduce la realtà, diventiamo noi stessi fattori di riproduzione delle disuguaglianze invece di essere degli agenti di promozione della capacità dei soggetti.
Dentro questa dinamica si colloca la riflessione del Rapporto giovani che cerca di offrire degli spunti a partire dalla lettura che i giovani stessi fanno della loro esperienza. Il Rapporto fa riferimento a un campione di giovani tra i 18 e i 35 anni, giovani quindi che hanno già terminato il loro percorso di studi, alcuni da pochissimo, alcuni hanno invece abbandonato gli studi quindi rientrano nelle categorie dei giovani con svantaggio educativo di cui si parla. Non forniscono una fotografia del vissuto immediato, ma ci offrono una lettura a posteriori che i giovani fanno avendo già dovuto fare i conti al di fuori della scuola con un contesto lavorativo, o comunque con il mondo esterno, alla luce del quale possono valorizzare oppure riconsiderare in termini più critici l’esperienza fatta all’interno della scuola.
Il dato della fiducia istituzionale
Il primo dato che vi propongo è quello della fiducia istituzionale, un indicatore classico che viene raccolto in questo genere di rilevazioni. Serve per capire quanto, nella relazione che hanno maturato all’interno del loro percorso scolastico, nel nostro caso a posteriori, i giovani valutano che questa istituzione sia affidabile, quanto hanno fatto bene oppure male ad affidare parte del loro tempo, investire parte delle loro risorse nell’istituzione.
La votazione va da 1 a 10 e copre diversi anni di rilevazione. Prima della fase della pandemia le valutazioni erano tutte al di sotto della sufficienza (dato medio). Durante il periodo del lockdown, contrariamente alle aspettative poiché teoricamente tutti i dati ci dicono che la scuola ha funzionato peggio e che gli studenti hanno anche risentito negli apprendimenti a causa della didattica a distanza, abbiamo un picco di fiducia da parte dei ragazzi. Avevamo già rilevato questa esperienza durante le fasi successive della crisi economica del 2007-2008. Potremmo leggere il dato in questo modo: nel momento di situazione ordinaria i ragazzi tendono a dare per scontate le istituzioni e vedono soprattutto gli elementi più critici. In una situazione in cui invece tutto è cambiato e, nel bene o nel male la scuola secondaria o l’università sono diventate una delle poche realtà che hanno effettivamente continuato a occuparsi di loro, i giovani hanno recepito che questo era comunque un fattore fondamentale e hanno quindi riversato maggiore fiducia in quei pochi approdi che avevano, la famiglia e la scuola. Il problema, lo vedremo successivamente, è che nel momento in cui c’è questo re-investimento di fiducia, se ci sono poi delle risposte da parte delle istituzioni che permettono di consolidare quindi di soddisfare queste attese, la fiducia può diventare un elemento che sostiene e facilita il processo di apprendimento; ma con un livello alto di fiducia, il rischio, avendo delle aspettative più alte, è di cadere da più in alto e quindi di avere una maggiore disillusione.
Il bilancio complessivo
Una domanda più diretta posta ai giovani che hanno frequentato sia la scuola secondaria di secondo grado sia i centri di formazione professionale, è stata quella sul bilancio complessivo della loro esperienza.
Se guardiamo il dato totale, nella rilevazione del 2022, vediamo che ben un quarto di giovani ha dato all’esperienza un valore insufficiente. Un quarto dei giovani non è poco. Considerando che in questa domanda non sono inclusi coloro che hanno abbandonato la scuola nei primi anni della scuola secondaria superiore, il dato negativo è anche sottostimato. Per quanto riguarda le coorti d’età vediamo che quelli che hanno appena lasciato la scuola (la fascia d’età dai 18 e 22 anni) e quelli che hanno lasciato da molti anni (30 – 35enni) hanno valutato meno negativamente rispetto alla fascia 23-29enni.
Per spiegare questo dato vi sono vari fattori ma un elemento interpretativo può essere legato al fatto che, mentre la fascia dei più giovani è ancora in parte coinvolta nell’ambito dell’università quindi fa una valutazione che per molti è ancora all’interno del circuito scolastico, e i 30-35enni si sono ormai già inseriti da molto tempo nel mondo del lavoro, la fascia della classe del ’94-‘99 è formata da coloro che in questo momento stanno tentando di inserirsi nel contesto lavorativo e quindi possono rileggere più criticamente la loro esperienza alla luce delle difficoltà.
Un dato secondario, su cui però attiro la vostra attenzione, riguarda le differenze nella percezione complessiva tra coloro che avevano fatto esperienze di alternanza scuola lavoro, PCTO, ecc. durante il percorso scolastico e coloro che non avevano fatto nessuna di queste esperienze. Abbiamo trovato una differenza significativa. Nonostante le criticità che hanno questi dispositivi (rilevate anche nell’ultimo Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo) dobbiamo dire che di fatto i giovani apprezzano che gli istituti diano loro la possibilità di misurarsi in qualche modo con il mondo esterno. Questo è un elemento che ritornerà anche in altri dati, la scuola che si apre e aiuta i giovani a fare i conti con la realtà.
La qualità delle relazioni
Un’altra batteria di domande riguarda la qualità percepita delle relazioni tra gli studenti e i vari componenti della comunità scolastica. Non stupisce il fatto che le relazioni più positive siano tra compagni di classe. Vediamo che il 12,9% ha una valutazione molto negativa o praticamente insufficiente di queste relazioni ma quasi la metà di loro fornisce una valutazione eccellente alle relazioni coi compagni. Al secondo posto della graduatoria si trovano non i professori bensì il personale amministrativo della scuola, con il quale gli studenti hanno un rapporto diverso rispetto ai professori e che, anche nella fase del lockdown, ha avuto comunque una funzione importante dal punto di vista della gestione delle relazioni.
A salire in termini di criticità vi sono le relazioni scuola – famiglia. All’ultimo posto vi sono le relazioni con il dirigente, la figura normativa, che ha anche il maggior livello di criticità: il 21% ha dato una valutazione molto negativa. C’è da dire che durante il periodo del lockdown il dirigente era anche colui o colei che doveva prendere decisioni quasi quotidianamente su norme più o meno emergenziali e quindi la sua autorità è stata percepita di più in termini coercitivi.
Mi soffermo ora sulla relazione con i docenti in merito alla quale sono stati fatti dei focus group di tipo qualitativo, di approfondimento, in questo caso con i ragazzi e le ragazze che frequentavano la scuola secondaria superiore (quindi under 18) proprio a pochi mesi di distanza dal periodo del lockdown. Nel Focus group sono emerse due polarizzazioni dei giudizi.
Da una parte i ragazzi hanno apprezzato soprattutto quelli insegnanti che pur nel loro ruolo hanno mostrato maggior vicinanza, maggiore interesse per quello che stavano vivendo al di là delle prestazioni un po’ critiche del periodo. Non che non si occupassero anche dell’apprendimento ma mostravano anche questa attenzione, di cercare di capire che cosa stesse succedendo al di là dello schermo e che, una volta rientrati in aula, riuscivano a non avere soltanto la preoccupazione di recuperare i voti persi.
Dall’altra parte i dati hanno comunque evidenziato il fatto che una quota di insegnanti manteneva o veniva percepita come fredda, demotivata, poco accogliente rispetto alle difficoltà.
Leggiamo la frase di uno studente che riporta sinteticamente questa percezione: “I miei professori sono rimasti uguali, al massimo si sono rivelati per ciò che sono… nel senso che si sono confermati. I più tolleranti e ben disposti hanno cercato di avvicinarsi a noi… quindi anche nello schermo hanno mostrato quella loro dimensione, hanno cercato di ridurre le difficoltà durante la didattica a distanza. Quelli un po’ meno disposti non hanno impiegato molto tempo a cercare compromessi… si vede che è stato un grande sforzo quindi un po’ li perdoniamo”
Al di là di questa distanza che è stata mantenuta complessivamente i giovani si sono resi conto che è stato difficile anche per gli insegnanti e quindi hanno detto “Per questo noi un po’ li perdoniamo”. Questa duplice polarizzazione emersa un po’ in tutti i Focus.
Le competenze degli insegnanti nella percezione degli studenti
Abbiamo fatto una domanda un po’ diversa: di solito si valutano le competenze degli studenti attraverso i vari sistemi di rilevazione. Noi abbiamo chiesto invece agli studenti una percezione delle competenze dei loro insegnanti. Si notano 3 fasce: la prima fascia che è quella che ha avuto il punteggio più elevato riguarda le competenze core dell’insegnante cioè le competenze fondamentali che hanno a che fare con la gestione di una buona attività didattica compreso i prerequisiti ovvero una buona conoscenza dei contenuti disciplinari, cosa che gli studenti dimostrano di apprezzare significativamente. Tuttavia, per circa la metà degli studenti, le criticità aumentano quando si tratta delle competenze degli insegnanti nella dimensione relazionale quindi la capacità di adattarsi alle situazioni nuove, di gestire i conflitti, di tenere conto del punto di vista degli studenti, di fare lezioni stimolanti.
Le competenze invece giudicate più critiche riguardano da un lato la capacità di valorizzare i talenti, quindi non soltanto dimensione inclusiva ma anche di dare opportunità a chi ne ha la possibilità di sviluppare meglio le proprie conoscenze e le proprie attitudini e, infine, l’ultimo dato è quello delle competenze tecnologiche degli insegnanti.
Indicatori di prospettiva
Abbiamo posto ai ragazzi delle domande di prospettiva. Ricordiamo che sono giovani che hanno terminato la scuola e quindi, alla luce della loro esperienza e alla luce del loro sguardo nella vita dopo l’esperienza scolastica, che cosa cambierebbero della scuola che hanno fatto. La richiesta di cambiamento poteva andare sia nel senso di aumentare determinati dispositivi, sia nel ridurli oppure nel dire “va bene così” oppure “non so, non mi convince”. Il dato trasversale di questi indicatori è che i giovani esprimono un forte desiderio di cambiamento. In quasi tutte le domande la risposta prevalente è Aumenterei, Non è una risposta razionale perché di certo non vorrebbero fare duecento ore di scuola ma è un messaggio che dice di dare maggiore importanza a situazioni secondo loro poco considerate.
Il dato più elevato, che risulta trasversale per tutti i percorsi scolastici, è la possibilità degli studenti di scegliere delle discipline piuttosto che altre, cioè la possibilità di avere voce in capitolo rispetto agli ambiti di studio e approfondimento, che possano essere in qualche modo legati anche ai loro interessi. Attività laboratoriali quindi esperienze dinamiche, attività di incontro con esponenti del mondo del lavoro, attività di orientamento stage o tirocini, momenti di lavoro di gruppo, alternanza scuola lavoro e PCTO…
Per quanto riguarda le ore di formazione sulla sicurezza prevale il tema del “va bene così” tranne che per gli istituti professionali e i centri formazione professionale, che hanno evidentemente contatto con realtà dalla dimensione più pratica e sono quindi più sensibili a questa dimensione della sicurezza.
Conclusioni
In sintesi abbiamo visto che c’è una fiducia espressa nei confronti delle istituzioni scolastiche, nonostante le difficoltà che hanno affrontato durante la fase critica della pandemia. La domanda è: come fare a coltivare questa fiducia? Come utilizzarla in termini propositivi?
Nella valutazione complessiva dell’esperienza scolastica, diversa dal tema della fiducia perché l’esperienza è personale, più del 25% di ragazzi tendenzialmente esprime criticità (senza contare i drop out) e un cambiamento di percezione delle relazioni scolastiche nella parte post pandemia nel senso di un peggioramento della qualità delle relazioni.
Sulle competenze degli insegnanti non si discute la preparazione, si discute un po’ di più la capacità di fronteggiare i problemi, di personalizzare la didattica e, tornando alla dimensione micro, di riuscire a utilizzare e a valorizzare gli elementi di contesto, al di là del fatto che gli aspetti macro o gli aspetti anche organizzativi dell’Istituto possono essere più o meno deficitari.
Sulle aspettative di cambiamento emerge una visione di scuola più attrattiva nei percorsi di apprendimento che possa dare potere decisionale reale in mano ai ragazzi e in grado anche di aprirsi al di fuori del mondo scolastico ma dando strumenti di lettura, quindi non diventando semplicemente una realtà funzionale al mondo del lavoro ma una realtà che sappia aprirsi e misurarsi con la complessità.