I FOCUS DI PISA N. 80 – 81 – 82

a cura di Marco Bardelli

In quali scuole e Paesi gli studenti con svantaggio socioeconomico raggiungono migliori risultati?

Cosa dice il Focus n.80

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  • Uno studente su quattro tra quelli che appartengano al 25% della popolazione più povera del proprio Paese è scolasticamente resiliente, vale a dire ha risultati al livello 3 o superiore a 3 in tutte e tre le discipline chiave indagate da PISA.
  • La grande maggioranza dei sistemi scolastici in cui gli studenti hanno più possibilità di essere scolasticamente resilienti ha caratteristiche comuni. Fra esse la principale è un buon clima disciplinare, in cui sia possibile agli studenti concentrarsi in classe e agli insegnanti condurre l’insegnamento/apprendimento con modalità e tempi giusti

La maggior parte degli studenti con esiti mediocri nelle prove PISA proviene da Paesi socio-economicamente svantaggiati, ma in alcuni casi, contrariamente alle previsioni, una parte di loro eccelle nelle prove.

Alcuni Paesi più di altri riescono ad aiutare gli studenti economicamente svantaggiati ad andare bene a scuola

I dati di PISA 2015 confermano che fino a tre quarti degli studenti del quartile inferiore per status socio-economico raggiungono al massimo il livello 2 di competenza, quello base, in lettura, matematica e scienze.

In paesi come Canada, Corea, Danimarca, Estonia, Finlandia, Hong Kong, Giappone, Irlanda, Norvegia, Olanda, Singapore, Slovenia e Viet Nam più del 30% degli studenti svantaggiati raggiungono almeno il livello 3 di competenza nelle tre prove e sono così considerati resilienti dal punto di vista delle competenze disciplinari indagate; al contrario in Algeria, Repubblica Dominicana, Kossovo, Perù e Tunisia meno dell’1% degli studenti svantaggiati raggiunge il livello 3 che è quello che fonda le competenze per i futuri apprendimenti nel corso della vita e per il successo lavorativo.

La variazione nella quota degli studenti resilienti nei vari Paesi e nel tempo riflette in gran parte differenze negli esiti raggiunti in media da tutti gli studenti. Minore è la performance media negli esiti, considerata anche quella tra i soli studenti più avvantaggiati socio-economicamente, minore è la quota di studenti resilienti. Questa variazione riflette anche le disparità nel modo, più o meno equo, in cui vengono distribuite le opportunità di apprendimento. Ad esempio in Svizzera e Danimarca circa il 49% degli studenti raggiunge il livello 3 di competenza; ma l’associazione tra esiti e status socio-economico è più significativa per la Svizzera e quindi la quota di studenti resilienti è significativamente minore rispetto a quella della Danimarca. I dati PISA delle ultime 4 indagini, dal 2006 al 2015, dimostrano come 19 Paesi su 51 in totale abbiano incrementato la quota di studenti resilienti posizionati nell’ultimo quartile. Invece 9 paesi hanno visto ridurre la quota dei loro studenti resilienti. Tra i paesi OCSE particolarmente significativo è stato l’incremento in Germania, Israele, Giappone, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovenia e Spagna. Una riduzione significativa si è avuta in Australia, Corea, Finlandia (dal 56% del 2006 al 39% del 2015), Nuova Zelanda, Svezia e Ungheria.

Il miglioramento dei risultati degli studenti resilienti è stato ottenuto sia con un miglioramento dei risultati medi complessivi, sia con una riduzione dell’impatto dello status socioeconomico sugli esiti, ovvero con un miglioramento in termini di equità dei sistemi di istruzione.

Gli studenti più svantaggiati economicamente riescono ad andare bene a scuola quando il clima ordinato facilita l’apprendimento

La probabilità di un miglioramento dei risultati degli studenti resilienti dipende anche dal tipo di scuole frequentato, come evidenziato da un sottoinsieme di dati esaminato in PISA 2012 e in PISA 2015 in Paesi con almeno il 5% di studenti resilienti. Sono stati evidenziati alcuni aspetti comuni alle scuole frequentate da questi studenti.

Il primo è un buon clima disciplinare, caratterizzato da un ordine che permette di concentrarsi su quanto viene insegnato. Ciò è utile proprio agli studenti più deboli e vulnerabili. Una relazione simile è individuata nella quota di studenti che non sono assenti nelle due settimane prima del test PISA (un altro indicatore di un buon clima scolastico). Per contro la probabilità di resilienza è solo debolmente associata positivamente con la quantità di risorse umane e didattiche (ad esempio il numero di attività extracurricolari) impiegate dalle scuole. Talvolta le risorse sono associate addirittura negativamente con la probabilità di resilienza.

Il secondo aspetto riguarda la dimensione della classe che in molti paesi è associata positivamente con la resilienza: in Paesi dove ci sono mediamente classi più numerose gli studenti svantaggiati hanno migliori risultati (sono resilienti), probabilmente perché nella costruzione delle classi, il numero degli alunni viene ridotto in quelle in cui ci sono studenti economicamente svantaggiati.

In molti paesi non ci sono associazioni evidenti tra risorse impiegate e studenti resilienti, ma questo non significa che gli investimenti in educazione non servano, ma piuttosto che le risorse aiutano gli studenti svantaggiati solo se direttamente collegate alle loro opportunità di apprendere.

COMMENTO

  • A integrazione di quanto scritto nel focus è corretto sottolineare come, tra i paesi non-OCSE non menzionati, ma presenti nei grafici, che abbiano avuto, tra il 2006 e il 2015, un grande incremento della percentuale di studenti svantaggiati che si posizionano al livello 3, figurino Macao (Cina) e la Russia.
  • L’assenza di una chiara associazioni tra risorse e resilienza può far pensare come per gli studenti più deboli una scuola con pochi e chiari compiti sia necessaria e forse sufficiente per innalzare i livelli di conoscenza delle discipline oggetto dell’indagine PISA.
  • La valenza del clima di classe per gli apprendimenti è ormai un dato acquisito su cui le scuole dovrebbero concentrarsi per migliorare soprattutto gli apprendimenti degli studenti più deboli, senza ricadere nella nostalgia della lezione frontale tipica dei licei in cui il professore spiega e gli studenti ascoltano, prendendo appunti, magari anche male perché non è mai stato spiegato loro come farlo, per cui nel silenzio della classe l’apprendimento così avviato è un meccanismo che poi a casa lo studente perfeziona in autonomia con lo studio. Per studenti capaci e di status medio-alto lo sforzo didattico minimo accompagnato da buone competenze disciplinari da parte dei docenti sono condizioni sufficienti affinché gli apprendimenti avvengano. Le condizioni di insegnamento associate a dei risultati positivi per studenti più deboli richiedono maggiore competenza didattica associata allo stesso tempo ad elevate conoscenze disciplinari da parte dei docenti. Senza contrapposizioni tra le due competenze.

Per gli insegnanti di scienze, che cosa è più appagante nel loro lavoro?

Cosa dice il Focus n.81

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  • Gli insegnanti di scienze che avevano come scopo di diventare insegnante dopo la laurea sono più appagati nel loro lavoro di quelli per i quali l’insegnamento non era una loro aspirazione
  • Gli insegnanti di scienze che collaborano con i colleghi e partecipano in attività di sviluppo professionale sono più appagati di quelli che non lo fanno
  • L’assenza di rumore e disordine nelle classi di scienze è fortemente associata all’appagamento nel proprio lavoro degli insegnanti di scienze, mentre non lo è la composizione della classe in termini di background e lingua degli studenti immigrati

Attraverso il ruolo che rivestono, gli insegnanti hanno un impatto fondamentale nella vita degli studenti e nel loro apprendimento. Purtroppo le sfide e le difficoltà dell’insegnamento provocano un tale logoramento da condurre molti docenti di scienze ad abbandonare la loro professione. La domanda fondamentale è allora che cosa può trovare un insegnante di scienze di così appagante e interessante nella propria professione da fargli sopportare questi alti tassi di difficoltà e di logoramento. Per la prima volta nel 2015 PISA ha distribuito un questionario facoltativo a docenti di 19 paesi partecipanti. Gli argomenti del questionario riguardavano l’ambiente di lavoro, le pratiche di insegnamento, la soddisfazione per il lavoro attuale e per la professione in generale. I risultati del questionario assieme ai dati sugli studenti e sulle scuole hanno fornito interessanti risultati.

Gli insegnanti di scienze che hanno programmato molto presto la loro carriera di insegnamento sono tra i più appagati

Gli insegnanti di scienze che hanno dichiarato di avere voluto proseguire gli studi dopo la scuola secondaria con l’obiettivo di diventare insegnanti sono più soddisfatti complessivamente del loro lavoro e della loro professione rispetto agli altri. Per loro diventare insegnanti di scienze è la realizzazione di un’ambizione di lunga data piuttosto che un evento casuale dovuto all’andamento del mercato del lavoro. Infatti tra i fattori analizzati nell’indagine il raggiungere l’obiettivo di diventare un insegnante è uno dei più fortemente associati con la soddisfazione dei docenti. La relazione è particolarmente solida in Bejing-Shanghai-Jangsu-Guangdong (di seguito B-S-J-G) (Cina), Brasile, Repubblica Dominicana, Perù ed Emirati Arabi. In media nei paesi partecipanti all’indagine il 58% degli insegnanti di scienze ha riportato che insegnare era il loro obiettivo alla fine della scuola secondaria.

Adeguate risorse e un clima positivo contribuiscono alla soddisfazione degli insegnanti per il loro lavoro

Le motivazioni professionali però non sono sufficienti senza altri fattori di supporto. Ad esempio la mancanza di risorse in istruzione o di tipo materiale e i problemi di comportamento tra gli studenti a scuola possono indebolire la soddisfazione dei docenti e infatti sono ad essa associate negativamente. Infatti gli insegnanti che percepiscono quanto ostacolino la loro efficacia a scuola le carenze del corpo docente o la loro inadeguatezza nel gestire la classe tendono ad essere meno soddisfatti del loro lavoro e complessivamente della loro professione. La differenza di soddisfazione tra i docenti che si sentono ostacolati e quelli che non percepiscono forti ostacoli all’efficacia della loro azione è maggiore in Australia, Brasile, Cile, Emirati Arabi, Germania e Macao (Cina).

Inoltre in 10 Paesi su 18 la soddisfazione dei docenti è correlata positivamente a un clima disciplinato in classe, così come percepito dagli studenti, tenuto conto degli altri fattori che possono influenzare la correlazione. In tutti i Paesi partecipanti un incremento di un’unità dell’indice scolastico medio relativo al clima disciplinare nelle lezioni di scienze è associato alla crescita di 0,24 punti con l’indice di soddisfazione dei docenti per il loro lavoro.

Un ambiente di lavoro collaborativo è associato positivamente alla soddisfazione degli insegnanti

Gli insegnanti amano lavorare in un clima collegiale di reciproco supporto. PISA 2015 evidenzia come il clima collegiale sia più comune in Australia, B-S-J-G (Cina), Colombia, Corea, Macao, Germania, Italia, Repubblica Dominicana, Repubblica Ceca e USA.

 Gli insegnanti che riportano una frequente collaborazione con i colleghi tendono a essere più soddisfatti del loro lavoro e della loro professione.

La maggior parte dei sistemi di istruzione offre opportunità di sviluppo professionale ai propri insegnanti, con l’obiettivo di migliorare le loro competenze, la qual cosa può migliorare la sicurezza e la soddisfazione nell’insegnamento. Infatti PISA 2015 evidenzia come nella maggior parte dei Paesi i docenti siano impegnati in attività di sviluppo professionale. Questi insegnanti hanno anche evidenziato una maggiore soddisfazione nel proprio lavoro e per la propria professione. Il 52% dei docenti in media ha intrapreso più di tre differenti tipi di attività di sviluppo professionale nei precedenti 12 mesi. Particolarmente elevate le percentuali in B-S-J-G (82%), Brasile (65%), Emirati Arabi (65%), Perù (65%), Repubblica Dominicana (76%).

Alcuni fattori associati ad ambienti di apprendimento particolarmente sfidanti come la forte presenza di studenti immigrati o di studenti che non parlano la lingua del Paese ospite non sono associati con la disaffezione degli insegnanti per il loro lavoro o per la loro professione. Questo risultato è di particolare interesse perché mostra come gli insegnanti non siano restii ad insegnare in scuole con studenti difficili e impegnativi laddove l’ambiente contribuisce all’apprendimento, il clima scolastico è positivo e ci sono risorse adeguate. Questo risultato è incoraggiante perché evidenzia come la soddisfazione degli insegnanti dipenda da aspetti che possono essere cambiati dalla politica.

COMMENTO

  • Rispetto alla relazione fra soddisfazione nel lavoro e scelta precoce dell’insegnamento, dobbiamo registrare che In Italia la percentuale di insegnanti che hanno deciso di diventare tali dopo la scuola secondaria è abbastanza bassa rispetto agli altri Paesi, forse a causa del fatto che in Italia per insegnare scienze occorre un percorso universitario lungo. Di questo dunque potrebbero risentirne i nostri docenti quando si guarda all’associazione rilevata tra precoce aspirazioni all’insegnamento e soddisfazione per la professione.
  • Anche per gli insegnanti di scienze il clima di classe è una variabile associata alla loro soddisfazione professionale. Evidentemente un clima sereno e disciplinato aiuta a sostenere e facilitare il complesso processo insegnamento-apprendimento anche nei momenti di incertezza e in situazioni difficili e problematiche. La soddisfazione per il proprio lavoro diviene a un tempo causa e conseguenza del clima della classe.
  • I docenti dei licei, soprattutto classico e scientifico, dovrebbe confrontarsi meglio con i colleghi delle altre scuole secondarie di 2° grado e con quelli delle scuole del 1° ciclo, costantemente alle prese con situazioni difficili e di disagio, per avere una più ampia idea delle possibilità e dei successi che può offrire la professione docente quando non è considerata come semplice succursale degli studi universitari.
  • Un’ultima considerazione viene alla mente circa il divario, nell’insegnamento delle discipline scientifiche, tra la costante esponenziale evoluzione dei saperi scientifici specialistici e quelli oggetto di insegnamento. Chi insegna scienze ormai sa bene quale distanza enorme le conoscenze insegnate a scuola debbano scontare rispetto a quelle specialistiche delle università e dei centri di ricerca. Allora più che una perdente rincorsa ai nuovi saperi scientifici, molto meglio trovare soddisfazione in un adeguato insegnamento scientifico di base.

Confronto tra i diversi Paesi sul benessere degli studenti immigrati

Cosa dice il Focus n.82

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  • Nel 2015, il 23% dei quindicenni dei Paesi OCSE era costituito da studenti stranieri di nascita o con almeno un genitore nato in un altro Paese. Rispetto al 2003 questo dato risultava maggiore di 6 punti percentuali.
  • In media nei Paesi OCSE, la prima generazione di immigrati ha avuto, in confronto agli studenti autoctoni, risultati inferiori nelle discipline scolastiche e ha mostrato un minor senso di appartenenza alla scuola, minore soddisfazione di vita e maggiore ansia rispetto all’apprendimento. Per contro ha dimostrato una più elevata motivazione a riuscire.

PISA 2015 rivela come quasi un quarto degli studenti dei paesi OCSE siano o nati all’estero o abbiano almeno un genitore nato all’estero senza tenere conto delle decine di migliaia di rifugiati e richiedenti asilo arrivati di recente in molti paesi OCSE. Tra il 2006 e il 2015 la percentuale di stranieri, nel senso sopra esposto, è aumentata in media del 6%. Tra tutti i gruppi di studenti immigrati, quelli di seconda generazione sono cresciuti più rapidamente di altri (circa il 3% tra il 2003 e il 2015). Gli studenti nati nel Paese ospite e con solo un genitore straniero sono invece cresciuti del 2% (del 3% nell’Unione Europea). Dal 2000 gli studenti provenienti da Paesi stranieri sono aumentati dell’1% in media nei Paesi OCSE e nel’UE. Nel 2015, gli ultimi arrivi- studenti nati all’estero e stabiliti nel Paese ospite all’età di 12 o più anni- rappresentavano mediamente circa un terzo di tutti gli studenti immigrati di prima generazione. I dati medi mascherano notevoli differenze tra i Paesi. In Irlanda, per esempio, la quota di studenti immigrati di prima generazione è aumentata del 9% tra il 2003 e il 2015.

La capacità delle società di preservare la coesione sociale in presenza di ondate migratorie dipende dalla capacità di integrare i migranti. L’istruzione può aiutare gli immigrati ad ottenere le competenze necessarie per contribuire all’economia del Paese ospite; può inoltre favorire il benessere sociale ed emotivo degli immigrati e sostenere la motivazione a partecipare alla vita civile e sociale del Paese ospite, aiutandoli così ad integrarsi. Questa è una sfida considerevole per i sistemi di istruzione perché gli studenti immigrati devono superare, tutte allo stesso tempo, le difficoltà dovute al cambiamento di Paese, agli svantaggi socio-economici, alle barriere linguistiche e alla necessità di formarsi una nuova identità.

La capacità degli studenti a far fronte a queste difficoltà e quindi ad essere resilienti si riflette non solo nei risultati di apprendimento ma anche nel senso di appartenenza alla scuola, nella soddisfazione per la propria vita, nel livello di ansia scolastica e nella motivazione alla riuscita. Questi cinque indicatori rappresentano le dimensioni chiave del benessere degli studenti misurato da PISA nel 2015.

Gli studenti immigrati tendono ad avere risultati peggiori a scuola. In particolare il 51% degli studenti di prima immigrazione non raggiunge, in media, il livello base in lettura, matematica e scienze, contro il 28% degli studenti non immigrati. Risultati simili per il senso di benessere: il 41% degli studenti immigrati di prima generazione riporta un debole senso di appartenenza alla scuola, in confronto al 33% degli studenti non immigrati; il 31% degli immigrati di prima generazione riporta un basso grado di soddisfazione per la propria vita contro il 28% degli studenti non immigrati; il 67% degli studenti immigrati di prima generazione riporta alti livelli di ansia scolastica contro il 61% dei non immigrati.

Per contro, praticamente in tutti i Paesi, esclusi Israele e Messico, gli studenti immigrati esprimono maggiore motivazione alla riuscita.

Gli svantaggi socio-economici e le barriere linguistiche sono due dei maggiori ostacoli all’integrazione. Le differenze di status socio-economico, ad esempio, spiegano oltre un quinto della differenza di probabilità di ottenere il livello base delle competenze PISA tra studenti immigrati e non immigrati. Analogamente, gli studenti immigrati nei Paesi OCSE che non parlano la lingua del Paese ospite, hanno circa l’8% di probabilità in meno di essere resilienti rispetto ai non immigrati che parlano la lingua del Paese ospite.

Ma in alcuni Paesi, il sistema di istruzione e la comunità ospite aiutano gli immigrati a superare i loro svantaggi e a capitalizzare la loro motivazione alla riuscita per avere successo nel futuro.

COMMENTO


Tra gli studenti resilienti figurano alte quote di studenti immigrati che necessitano di alcune condizioni per superare gli svantaggi oggettivi che li condizionano.

Ne abbiamo già reso un’ampia panoramica nella traduzione del documento OCSE “Benessere degli studenti in PISA 2015″ https://adiscuola.it/pubblicazioni/il-benessere-degli-studenti-in-pisa-2015/.

Aggiungiamo solo che nonostante i dati che indicano le alte motivazioni alla riuscita di questi studenti, quello che maggiormente conta sono programmi di acquisizione della lingua del Paese ospite e di rinforzo degli apprendimenti di base. La motivazione può essere efficace se l’obiettivo è realistico, se si è in possesso di strumenti per ottenerlo e della consapevolezza del suo valore, altrimenti da sola non conduce automaticamente al successo. Rendere le scuole ambienti piacevoli da frequentare, in cui persone di diverse culture riconoscono l’importanza dell’obiettivo comune dell’istruzione, è una delle principali sfide per le politiche dell’istruzione.

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