Com’è cambiato l’utilizzo di internet tra il 2012 e il 2015?
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Nel mondo delle tecnologie digitali la velocità sta assumendo sempre più importanza: negli ultimi decenni i processori dei computer hanno raddoppiato ogni due anni le loro prestazioni; la generazione di cellulari 5G sarà 100 volte più veloce dei 4G e 2000 volte più veloce dei 3G e infine la percentuale di popolazione che usa internet è aumentata dal 38% al 48% negli ultimi 5 anni. Questa rivoluzione digitale sta cambiando le vite degli adolescenti con la stessa rapidità? I quindicenni sono sempre più connessi a internet? Questi cambiamenti stanno riducendo il divario digitale?
Gli studenti a livello mondiale spendono più tempo on line
Come già riportato nel rapporto sul “Benessere degli studenti” di PISA 2015 la percentuale dei quindicenni connessi a internet nei paesi OCSE è aumentata dal 75% al 95% tra il 2006 e il 2015 e l’incremento in numero di ore alla settimana passate su internet tra il 2012 e il 2015 va da 21 a 29 con una maggiore concentrazione nei giorni di scuola. L’incremento è stato rilevato in tutti i Paesi che hanno partecipato alle indagini PISA ed è risultato particolarmente elevato in Cile, Costa Rica, Irlanda e Italia. Minore invece in Grecia, Hong Kong, Macao, e Slovenia. Differenze tra i diversi Paesi, talvolta anche marcate, sono presenti anche nel numero di ore passate su internet nei giorni di scuola o nei giorni festivi.
Nella maggioranza dei Paesi OCSE non c’è un digital divide nell’uso di Internet
Per quanto riguarda il divario digitale tra studenti avvantaggiati e svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, nel 2012 il tempo impiegato su internet risultava essere il medesimo, mentre nel 2015 si è avuta una tendenza ad un aumento del tempo passato su internet degli studenti svantaggiati socio-economicamente (2 ore alla settimana in media in più). L’incremento per gli studenti svantaggiati si realizza però nei giorni di scuola mentre il confronto tra queste categorie non evidenzia differenze per i giorni festivi. Solo in alcuni paesi come Cile, Costa Rica, Lettonia, Messico, Russia e Uruguay permane il divario digitale correlato allo status socio-economico. Inoltre tale divario si mantiene per attività su internet quali la lettura di notizie e articoli.
Una maggiore connettività non è necessariamente una buona notizia per gli studenti svantaggiati
L’aumento di connettività su internet non è correlato a un miglioramento degli esiti in scienze. Anzi in tutti i sistemi scolatici gli studenti che usano di più internet hanno performance in scienze peggiori degli altri. In media nei Paesi OCSE gli studenti ottengono due punti in meno nei test di scienze per ogni ora passata alla settimana su internet a scuola (tenuto conto dei fattori socio-economici e di genere). Anche l’uso di internet fuori dalla scuola è correlato negativamente all’esito in scienze ma solo quando quest’uso è durante i giorni di scuola. L’opposto accade quando l’uso di internet è superiore nei fine settimana, probabilmente perché questo interferisce meno con lo studio. Questi risultati vanno intesi come un invito alla moderazione nell’uso di internet: infatti studenti che usano internet con moderazione hanno esiti migliori di coloro che non ne fanno uso e di coloro che lo usano per più di 6 ore al giorno, una durata che è correlata a uno scarso senso di soddisfazione per la propria vita e a basse attese per la propria istruzione. Da notare a questo proposito il ridotto numero di ore che studenti giapponesi e coreani passano su internet durante i giorni di scuola rispetto agli studenti di altri Paesi. Alcune spiegazioni che vengono date per questo fenomeno possono essere tratte da altri studi che individuano come l’uso di tecnologie personali e il multitasking distragga gli studenti dal focalizzarsi sulle attività principali di apprendimento e non aiuti nella capacità di sintesi delle informazioni. Altre ricerche testimoniano la scarsa preparazione dei docenti nell’uso delle nuove tecnologie.
Un’ ulteriore ipotesi è relativa al fatto che gli studenti che hanno poca voglia di studiare a casa passano più tempo su internet. Al di là dell’interpretazione di cause ed effetti ciò che è chiaro dai dati PISA è il fatto che gli studenti migliori passano meno tempo su internet durante i giorni di scuola rispetto agli altri.
Quali attività svolgono gli adolescenti che lavorano bene con gli altri?
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Le scuole non sono solo luoghi compresi tra quattro mura dove gli studenti imparano a leggere, scrivere e pensare. Le scuole sono luoghi di incontro dei giovani, dove possono svilupparsi amicizie e relazioni che possono durare anche decenni e dove vengono affinate le abilità interpersonali, fondamentali per trovarsi bene sul posto di lavoro e ancora di più nella società.
I datori di lavoro apprezzano questi aspetti ora più che nel passato: i salari sono cresciuti maggiormente per i lavori che richiedono un alto livello di abilità sociali. Fino ad ora non c’è però una misura delle abilità sociali degli studenti che sia valida nel confronto tra diversi Paesi. PISA ha affrontato la questione nel 2015 con la misura della capacità di lavorare assieme dei quindicenni in situazione di problem solving e nel raggiungimento di obiettivi. I risultati di PISA indicano che gli studenti che hanno esiti positivi in lettura scienze e matematica tendono ad averli buoni anche nel problem solving collaborativo. Senza tener conto della parte di prestazione collegata alle discipline, PISA ha potuto isolare nella valutazione del problem solving collaborativo quella che è specifica delle abilità collaborative. Questa parte è conosciuta anche con il nome di “prestazione relativa”.
Cos’è però che distingue gli studenti che collaborano bene da quelli che invece collaborano peggio? Le abilità e attitudini alla collaborazione sono collegate alle attività in forma specifica?
Gli studenti che fanno attività fisica riescono meglio nel problem solving collaborativo
Un’interessante correlazione positiva è presente tra il numero di giorni di moderata attività fisica settimanale (un’ora circa al giorno) e gli esiti del problem solving collaborativo, sia per i maschi che per le femmine. La correlazione è però presente anche tra l’attività fisica e le abilità nelle discipline per cui non si può imputare direttamente a questo fattore una diretta correlazione con le abilità strettamente collaborative.
Un maggiore impegno settimanale in una moderata attività fisica è correlato con un atteggiamento positivo verso i membri del proprio gruppo e c’è anche una debole correlazione positiva con il lavoro di gruppo.
Altre attività extrascolastiche correlate positivamente alla capacità di lavorare in gruppo
E’ stato anche chiesto agli studenti se nei giorni precedenti al test sono stati impegnati in attività extrascolastiche con caratteristiche di tipo sociale o “antisociale” come ad esempio: 1.uso di internet e social network, 2. uso di videogiochi, 3.incontrare amici, 4.curarsi di qualcuno in famiglia o lavorare in casa.
L’uso di internet e dei social network è associato positivamente sia all’esito del problem solving (6 punti in media in più) sia alla capacità di lavorare in gruppo.
Si registra invece una generale correlazione negativa tra l’uso dei videogiochi e l’esito del problem solving (circa 4 punti in media in meno), mentre, per quanto riguarda il lavoro di gruppo, risulta che piace, ma si registra un atteggiamento leggermente meno positivo verso i membri del gruppo.
Gli studenti che incontrano amici (o si telefonano) e quelli che hanno cura di qualcuno in famiglia o aiutano in casa riportano un atteggiamento più positivo verso i membri del gruppo e verso il lavoro collaborativo. Questa relazione è significativa praticamente in quasi tutti i Paesi partecipanti.
COMMENTO
Il focus risulta interessante soprattutto perché stimola a riflettere sui fattori esterni alla scuola che influenzano alcune competenze a cui la scuola del XXI secolo guarda con maggiore attenzione rispetto a prima. Dalla lettura del focus e dai grafici presentati appare come l’utilizzo di almeno una parte delle tecnologie digitali (videogiochi) non sia assolutamente di vantaggio per i risultati di profitto nel problem solving collaborativo. Questo dato può essere letto assieme alle risultanze del focus precedente che mettono in guardia verso l’uso poco regolato di internet in quanto impatta negativamente sui risultati scolastici (in scienze). Comportamenti e attività che invece non riguardano il mondo digitale e che ragionevolmente possiamo ritenere che facessero parte dell’extrascuola anche nel passato, come lo sono adesso, ma forse in forma minore, se escludiamo le attività sportive presso associazioni, sono correlate positivamente con le abilità collaborative, che invece ora sono richieste da scuola e mondo del lavoro.
La relazione quindi è altamente complessa, ma appare presente quasi una sfasatura tra quello che la scuola comincia a chiedere e proporre agli studenti in termini di competenze collaborative e lavoro di gruppo e quello che invece l’educazione informale dei nuovi media può stimolare nei giovani quindicenni (ricordiamo il legame tra senso di insoddisfazione della propria vita e uso dei nuovi media riportato nel rapporto PISA sul benessere degli studenti).
In quali Paesi gli insegnanti migliori e più qualificati insegnano nelle scuole più problematiche?
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Gli insegnanti rappresentano la principale risorsa scolastica e i loro stipendi, così come gli investimenti per la loro formazione/aggiornamento, rappresentano la principale voce di spesa per i sistemi di istruzione. Questo impiego di risorse può però avere dei ritorni significativi. Le ricerche evidenziano come l’insegnamento dei migliori docenti può fare la vera differenza nei risultati di apprendimento e di vita di studenti che hanno caratteristiche simili.
Ma non tutti gli studenti hanno uguale accesso a scuole con docenti altamente qualificati. PISA ha dimostrato che, in molti Paesi, ci sono disuguaglianze nella possibilità di avere insegnanti qualificati ed esperti e che queste disuguaglianze sono correlate ai divari nei risultati di apprendimento tra studenti avvantaggiati e svantaggiati.
Di più non è necessariamente meglio
PISA 2015 ha classificato le scuole secondarie in quattro gruppi per ogni Paese, in base al profilo socioeconomico medio degli studenti. Ogni gruppo contiene circa il 25% degli studenti quindicenni. I gruppi quindi differiscono per il minore o maggiore vantaggio socioeconomico presente al loro interno. L’analisi ha quindi confrontato le dimensioni delle classi, i rapporti studenti/docenti, le credenziali (titoli) dei docenti e, dove è stato possibile, l’esperienza dei docenti in scuole avvantaggiate e svantaggiate (socio economicamente).
I risultati dimostrano come la maggior parte dei Paesi compensi le scuole svantaggiate con un minor numero di studenti per classe e un minor rapporto studenti/docenti; ciò è ancor più evidente quando l’analisi si concentra su scuole pubbliche o private ma “dipendenti dal governo”. Inoltre in più di un terzo dei Paesi, inclusi quelli che compensano le scuole svantaggiate con un maggior numero di insegnanti, gli insegnanti nelle scuole svantaggiate sono meno qualificati o di minore esperienza rispetto agli insegnanti delle scuole avvantaggiate.
La dimensione delle classi di lingua è minore in 38 paesi su 69 nelle scuole svantaggiate rispetto a quelle avvantaggiate. Altri Paesi hanno invece un maggior numero di docenti nelle scuole svantaggiate rispetto a quelle avvantaggiate. Per quanto riguarda il titolo di studio dei docenti di scienze in 23 Paesi su 67 è meno probabile che abbiano una laurea se insegnano in scuole svantaggiate. Anche altre caratteristiche relative alla qualità dell’insegnamento, come gli anni di esperienza o la lunghezza dei contratti, risultano correlate alle condizioni socio economiche delle scuole, anche in questi casi la qualità degli insegnanti risulta inferiore nelle scuole socio economicamente svantaggiate.
L’istruzione dovrebbe migliorare non esacerbare le ingiustizie economiche e sociali
Il fatto che i migliori docenti siano in servizio nelle scuole con studenti avvantaggiati socio economicamente, mentre docenti con titoli di livello inferiore lavorino in scuole socio economicamente svantaggiate amplia il divario tra gli esiti degli studenti. Le politiche educative che cercano di compensare questo divario aumentando il numero di docenti o diminuendo il numero di studenti per classe, ma mantenendo inalterato il fattore “qualità degli insegnanti”, non raggiungono lo scopo.
Gli oppositori dell’autonomia scolastica sostengono che la maggiore indipendenza delle scuole si traduce in realtà in maggiori divari negli esiti degli studenti e forse, in modo più preoccupante, in sistemi di istruzione che esasperano le disparità socioeconomiche esistenti invece di ridurle. I dati PISA però evidenziano che questo non è il risultato più comune conseguente alla maggiore autonomia scolastica.
Molti Paesi hanno coniugato l’autonomia scolastica con forti incentivi che hanno come priorità l’apprendimento degli studenti sopra ogni altra esigenza e con meccanismi di finanziamenti di compensazione che assicurino che l’equità non venga messa a repentaglio.
L’Irlanda fornisce un interessante esempio di questo tipo. Molte scuole irlandesi sono private ma il governo fornisce loro quasi tutti i fondi e le scuole con la maggior concentrazione di studenti svantaggiati ricevono più fondi e hanno un più facile accesso ai programmi educativi guidati dallo Stato, compresi i programmi di formazione per gli insegnanti. Forse come esito di ciò le scuole più svantaggiate hanno un minor rapporto studenti/insegnanti rispetto a quelle avvantaggiate ma anche insegnanti qualificati come le scuole maggiormente avvantaggiate.
COMMENTO
I dati riportati per l’Italia nell’indagine PISA 2015 relativi al tema del focus, ricavati dai questionari compilati dai Dirigenti Scolastici e, ricordando che partecipano alcune regioni campione (Lombardia, Trentino Alto Adige e Campania), sono i seguenti: per il totale delle scuole (pubbliche e private) la media degli studenti per classe è di 23 alunni (senza differenze significative tra scuole avvantaggiate e svantaggiate), il numero degli studenti per insegnante è 8 per le scuole svantaggiate e 13 per le scuole avvantaggiate, il rapporto percentuale degli insegnanti in possesso di tutti i titoli è 83% per le scuole svantaggiate e 95% per quelle avvantaggiate. I numeri di studenti per classe non sono così alti rispetto a quelli di altri Paesi. Se li confrontiamo vediamo come ad esempio la Francia vada da 25 a 33 e la Germania da 22 a 28., la Gran Bretagna si attesti a 24 (senza differenze significative quindi) e la Spagna a 27. Per inciso aggiungiamo che la Finlandia è tra 18 e 20 mentre il Giappone è tra 33 e 38. C’è da dire anche che nel caso dell’Italia le differenze tra scuole svantaggiate e avvantaggiate rispecchiano nelle realtà le differenze tra le tipologie di scuole superiori: professionali, tecnici e licei. Il numero di studenti per classe ormai è sicuro che influisce sull’apprendimento in modo poco incisivo (entro i limiti “fisiologici” del sistema classe) a livello di sistema di istruzione, non nella singola classe. Anche il numero di insegnanti non è una variabile quantitativa apprezzabile per gli esiti degli apprendimenti. Bisogna quindi valutare al meglio le variabili di tipo qualitativo, naturalmente senza ignorare le prime, che danno indicazioni sulla qualità reale presente nell’azione di insegnamento e nell’organizzazione della scuola.
La qualità del reclutamento, della formazione in servizio e del tempo scuola sono tre aspetti su cui tutti i Paesi sono chiamati a investire risorse per garantire l’abbattimento delle differenze negli esiti degli studenti dovute al divario socioeconomico che, attraverso anche altri aspetti della vita culturale, influenzano in modo importante gli esiti degli studenti.
Purtroppo anche in Italia c’è ancora molto da fare in questa direzione. Troppo spesso per colmare lacune nelle varie materie gli studenti sono costretti a ricorrere a lezioni private perché le scuole non hanno sufficienti risorse per garantire recuperi o modalità differenziate di insegnamento/apprendimento. Chi può permettersi più ripetizioni e di migliore qualità e cioè chi se le può pagare, riesce a colmare meglio le sue lacune con la conseguenza che i vantaggi economici mantengono anche le differenze negli esiti di apprendimento che la scuola, per altro attraverso i suoi stessi insegnanti, non riesce a colmare come dovrebbe se fosse messa in grado di perseguire al meglio la sua missione.
Qual è la relazione fra partecipazione ad attività sportive degli studenti, esiti scolastici e benessere?
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Il ruolo dello sport è importante nello stile di vita degli studenti: riduce il rischio di obesità e di disturbi d’ansia, la scarsa autostima e il bullismo oltre che a favorire una più salutare vita da adulti. Nei sistemi di istruzione ci si chiede fino a che punto l’attività sportiva non contrasti con lo studio a casa e a scuola e sia associata col benessere e gli esiti scolastici positivi.
La maggioranza degli studenti pratica sport regolarmente
I dati PISA evidenziano come nel complesso i quindicenni pratichino in media sport con attività fisica intensa per tre volte alla settimana (52% degli studenti), in diverse nazioni, soprattutto nel nord Europa. I maschi in media praticano più sport delle femmine con maggiori differenze soprattutto nei Paesi latino americani e asiatici.
L’attività fisica regolare è correlata a un maggior benessere degli studenti
C’è una chiara associazione positiva tra benessere e soddisfazione per la propria vita e attività fisica praticata in modo moderato (60 minuti al giorno in media). Invece risulta che studenti che non praticano sport non hanno gli stessi livelli di benessere.
Gli studenti che praticano sport apprezzano di più il lavoro in gruppo e le attività cooperative. Tutti gli indicatori di benessere degli studenti come (l’ansia per i compiti a casa, il sentirsi estraneo o diverso a scuola, il numero di assenze non giustificate e la frequenza nel subire atti di bullismo) sono a favore di studenti che praticano attività fisica, ovvero vengono indicati da questi studenti in percentuale inferiore rispetto a chi non pratica sport.
… ma fare più sport non produce necessariamente migliori risultati di apprendimento
Alcune ricerche suggeriscono come l’attività fisica regolare possa migliorare la memoria, l’impegno e l’autoregolazione. In PISA l’attività fisica moderata sembra correlata, sebbene modestamente, con migliori esiti scolastici e con migliori esiti nel test PISA in scienze. Una debole correlazione positiva si evidenzia anche tra l’attività sportiva e gli esiti nel problem solving collaborativo. La correlazione però si rovescia se gli studenti sono impegnati in attività fisiche vigorose quotidianamente. In questo caso la correlazione ad esempio con il test PISA in scienze è negativa anche nei paesi che raggiungono i migliori risultati a livello internazionale. Questi modelli non indicano un modello causale tra attività sportiva ed esiti scolastici infatti il numero di ore dedicate allo sport quando l’attività sportiva è molto intensa o la priorità al successo accordata allo sport rispetto alla scuola possono essere fattori che incidono sugli esiti scolastici.
COMMENTO
L’attività sportiva è sicuramente collegata al benessere degli studenti come più volte sottolineato. Si vuole qui rimarcare come, almeno facendo riferimento all’Italia, questi dati siano da tenere in considerazione per una promozione a livello scolastico di attività fisiche che non siano vincolate solo all’ora di “Educazione Motoria”, intesa troppo spesso come pausa tra una lezione e l’altra (le pause potrebbe essere ricavate da una modulazione dell’orario), ma come attività che trovino i loro spazi coordinandosi con le altre attività didattiche e con le attività sportive dell’extrascuola. Ciò necessita oltre a una flessibilità organizzativa anche una disponibilità di vere strutture nelle scuole per le attività motorie, strutture che siano fornite di spogliatoi, docce, bagni adeguati al numero di studenti.
L’attività sportiva praticata è un reale momento di condivisione di obiettivi, passioni ed emozioni che rientrano a pieno titolo nel percorso educativo dei giovani insieme all’istruzione che si svolge in classe. Purtroppo, ancora oggi, nelle scuole superiori si è ancorati all’attività motoria come materia insieme alle altre con relativo acquisto del libro di testo (spesa spesso inutile per le famiglie perché non viene usato mai).
COMMENTO
I quindicenni italiani hanno incrementato tra il 2012 e il 2015 l’uso di internet da circa 17 ore alla settimana a 30 ore. L’incremento è il maggiore (esclusi Cile e Costa Rica) tra i 35 Paesi i cui dati sono presenti nel focus ed imputabile in quantità diverse sia all’uso scolastico che extrascolastico durante tutta la settimana. Si può segnalare, analizzando i dati grafici come se 15 Paesi denunciano un utilizzo totale di internet, dei loro quindicenni, superiore a quello dell’Italia, l’utilizzo di internet a scuola è superiore in 22 Paesi rispetto all’Italia. Questo può essere un semplice dato da cui partire per rinforzare nella scuola italiana l’uso consapevole e “legato all’istruzione” di Internet, collegandolo di più all’insegnamento/apprendimento. Sforzi in tale senso dopo il 2015 hanno cominciato ad essere fatti da parte dei governi (vedi il PNSD) e sarà interessante osservare negli anni la variazione di questi dati nel nostro Paese (tra il 2012 e il 2015 in Italia il numero di ore passate su internet a scuola è comunque aumentato da poco meno di 2,5 a 5).
Per quanto riguarda la differenza nell’utilizzo di internet tra studenti socio-economicamente avvantaggiati e svantaggiati si può notare dal grafico relativo come in molti Paesi tra cui l’Italia l’utilizzo di internet è maggiore per studenti svantaggiati (in Italia 6 ore in più rispetto al massimo di 8 registrato a Taipei). Infine l’associazione tra punteggi in scienze e ore passate su internet per i quindicenni italiani è negativa comunque vengano considerate le ore passate su internet (a casa o a scuola).
Il consiglio finale del focus, a seguito dell’analisi complessiva dei dati, è di adottare un approccio “coreano”, ovvero: fino a quando nei sistemi di istruzione le tecnologie digitali non saranno implementate in maniera efficace per la didattica è meglio che l’uso di internet a casa e a scuola sia moderato. Infatti gli studenti coreani (e a Macao) sono tra quelli che meno usano internet soprattutto nei giorni di scuola (ma di più nei fine settimana).
Sembra quindi che alcune regole, di cui gli adulti devono essere portatori, nell’uso di internet possano essere di aiuto per i ragazzi se si vuole che utilizzino il tempo da dedicare allo studio in maniera più proficua. Sensibilizzare studenti e genitori fin dalla scuola primaria su vantaggi e svantaggi nell’uso degli strumenti digitali (internet e videogiochi) è una importante forma di prevenzione verso un uso di internet (e dei videogiochi) che può essere nocivo all’apprendimento.