[stextbox id=”alert” image=”null”] Proponiamo questo articolo di Charles Leadbeater che, per quanto riferito al Regno Unito, ha carattere universale e ben si attaglia anche alla nostra situazione. Siamo a un punto di svolta? La pandemia ha accelerato il passaggio a un nuovo sistema di sviluppo oppure, alla sua conclusione, prevarranno logiche conservatrici? In quali condizioni si generano svolte storiche, come quella, ad esempio, del New Deal negli Stati Uniti? Una crisi segna un punto di svolta solo quando diventa un “momento critico” – scrive Leadbeater, “uno di quei rari momenti in cui le istituzioni, le norme e le regole non sono più fisse, e si aprono a nuove possibilità di sviluppo, avanzano nuove idee e le forze sociali e politiche si dimostrano capaci di coglierle e portarle avanti”. A ben guardare non pare che in Italia esistano queste condizioni, ma nella scuola dobbiamo continuare ad operare dal basso perché la svolta si generi![/stextbox]
INNOVAZIONE E CRISI: LA NOSTRA BATTAGLIA CONTRO IL COVID-19 È A UN PUNTO CRITICO?
(Articolo comparso su NESTA il 9/12/2020. Traduzione a cura di ADi)
SIAMO DAVVERO A UNA SVOLTA STORICA?
Ci sono grandi aspettative che alla fine della crisi ci sarà un cambiamento sistemico. Ma la crisi è davvero a un punto di svolta o prevarranno i vecchi sistemi?
La pandemia COVID-19 è vista da molti come un potenziale punto di svolta dopo il quale quasi tutto potrebbe essere diverso.
Margaret MacMillan, l’eminente storica, ha paragonato questa crisi alle rivoluzioni francese e russa, punti in cui il fiume della storia ha cambiato corso. Ed è quasi certo che a seguito di questa crisi ci saranno grandi cambiamenti: si innalzeranno le aspettative sulla capacità dello Stato di prendersi cura dei propri cittadini; è probabile che i mercati pubblici e finanziari saranno più propensi ad accettare gli indebitamenti dello stato; spetterà al governo intervenire sul mercato del lavoro per dare un livello minimo di sicurezza ai lavoratori vulnerabili. Un quadro ben lontano dalle politiche del libero mercato e dei piccoli interventi statali degli anni ’80 e ’90.
Eppure, è tutt’altro che ovvio che questa crisi, anche se profonda e grave, porterà a una svolta come quella suggerita da MacMillan.
La promessa non mantenuta del 2008
L’esempio più recente di una crisi apparsa più minacciosa di quanto in realtà sia stata è il crollo finanziario del 2008. Molti avevano predetto che sarebbe stato un punto di svolta date le profonde disfunzioni del capitalismo finanziario che la crisi aveva messo a nudo. Tuttavia, attraverso una combinazione di quantitative easing, sostegno finanziario alle banche e nuova regolamentazione, il sistema finanziario si è ripreso. L’ampia ripresa economica ha creato milioni di posti di lavoro (anche se molti a bassa retribuzione e insicuri), i profitti sono aumentati e i mercati azionari hanno registrato una straordinaria corsa al rialzo. Quello che avrebbe potuto essere un punto di svolta si è risolto in un periodo di grande turbolenza che ci siamo tutti felicemente lasciati alle spalle. Le istituzioni finanziarie nel cuore della crisi erano troppo importanti, potenti e trincerate per essere radicalmente sconvolte.
COVID-19 potrà dimostrarsi molto simile se al termine della pandemia continuità e cambiamento si bilanceranno. Molti sistemi, inclusi quelli bancari, i mercati finanziari e la produzione alimentare, hanno continuato a funzionare più di prima. C’è un desiderio represso di tornare alle attività un tempo normali: mangiare fuori; socializzare con gli amici; celebrare matrimoni; andare in vacanza; andare al cinema, a concerti, a festival e a partite di calcio.
Una crisi diventa un punto di svolta solo quando diventa un “momento critico” – uno di quei rari momenti in cui le istituzioni, le norme e le regole non sono più fisse, e si aprono a nuove possibilità di sviluppo, avanzano nuove idee e le forze sociali e politiche si dimostrano capaci di coglierle e portarle avanti. Le scelte fatte in quei momenti possono avere effetti duraturi sullo sviluppo della società. Due esempi di momenti critici sono stati da un lato il New Deal statunitense in risposta alla Grande Depressione e dall’altro la creazione del welfare state britannico dopo la Seconda guerra mondiale.
La peste nera creò un momento critico nel XIV secolo, perché il bilancio delle vittime produsse una tale carenza di manodopera da rendere impossibile il ripristino dello status quo. I contadini di alcune parti dell’Europa occidentale riuscirono a minare alle fondamenta l’ordine feudale, conquistando maggiori libertà economiche e politiche. In gran parte dell’Europa orientale, invece, i proprietari terrieri risposero alla crisi diventando più autoritari, intensificando lo stato di servitù. Da quel momento in poi queste due parti dell’Europa si sono sviluppate in modi molto diversi. Le società dell’Europa occidentale divennero più inclusive e produttive; le economie dell’Europa orientale crearono società ancora più disuguali, governate da un’implacabile élite feudale.
La storia del periodo della peste raccontata da Daron Acemoglu e James Robinson in Why Nations Fail spiega il ruolo della peste in questo modo: “La peste nera è un chiaro esempio di “momento critico”, che si determina quando un evento importante o una confluenza di vari fattori interrompono l’equilibrio economico o politico esistente. Un momento critico è un’arma a doppio taglio che può causare una brusca svolta nel percorso di una nazione “. Ma come ha dimostrato la Morte Nera, la svolta può prendere differenti direzioni a seconda del modo in cui le forze in gioco amplificano anche le piccole differenze esistenti nelle istituzioni delle diverse società.
Un momento critico è un periodo di tempo relativamente breve in cui si presenta nella società una gamma di opzioni più ampia del normale. Le scelte fatte tra queste opzioni, da persone e organizzazioni con il potere di operarle, avranno un impatto più o meno significativo e a lungo termine sulle modalità di sviluppo della società.
Ora la domanda è se quello che stiamo attraversando è ciò che il filosofo Gershom Scholem chiamava “l’ora di plastica”, quella che avviene quando sistemi ostinatamente resistenti al cambiamento improvvisamente non hanno altra scelta che aprirsi?
Una crisi può creare cambiamenti trasformativi in quattro modi. Tutti e quattro sono presenti nella crisi COVID-19. Resta da vedere se questi quattro renderanno questo periodo un “momento critico”
1. Accelerazione
Una crisi può dare una forte accelerazione ai cambiamenti già in atto poiché la società improvvisamente si mette a percorrere molto più velocemente la strada su cui era già incanalata
L’esempio più evidente di accelerazione è la rapida diffusione dei servizi digitali, non solo per lo shopping, ma anche per il lavoro e i servizi pubblici. Il governo britannico è stato in grado di dare il ristoro a milioni di dipendenti e prestiti a migliaia di imprese, grazie a piattaforme di servizi digitali che si sono sviluppate da appena un decennio. La crisi ha spinto un cambiamento radicale nei servizi.
L‘Indonesia è solo uno dei luoghi in cui quella parte del sistema di assistenza sanitaria di base svolta con il cellulare si è rapidamente ampliata. Quello che una volta era un fenomeno di nicchia è diventato di ordinaria quotidianità. In Pakistan durante la crisi si è improvvisato un sistema digitale di micropagamenti per i più poveri che potrebbe diventare la spina dorsale di una nuova rete di sicurezza sociale.
Col tempo, i sistemi educativi si modificheranno in modo da svolgere lezioni parte in presenza parte a distanza per la maggioranza degli studenti.
L’accelerazione della digitalizzazione avrà effetti a catena.
La casa diventerà ancora più importante come luogo in cui lavorare e per fare acquisti senza spostarsi. Tutto questo potrebbe cambiare la geografia, i modelli e le routine di lavoro: le periferie e le piccole città con buone connessioni internet potrebbero diventare più attraenti. Accelerando la digitalizzazione, le società avranno davanti diverse opzioni organizzative. Guardando a questi nostri tempi, gli storici potranno individuare la crisi come il momento in cui tutta la potenzialità dei servizi digitali si è attuata, rendendo possibile la trasformazione radicale dei luoghi e dei modi di lavorare.
2. Un vicolo cieco
Una crisi può anche creare un vicolo cieco. Il percorso si interrompe bruscamente; nel peggiore dei casi, si cade in un dirupo. Questo shock costringe le persone a cambiare il modo in cui lavorano e vivono, poiché i vecchi modelli non sono più praticabili. Anche se non è ovvio quali nuovi modelli prenderanno il loro posto, è chiaro che è necessario che le persone esplorino e sperimentino per trovarli. Gli storici guarderanno indietro e identificheranno questa crisi come il momento in cui alcuni vecchi sistemi hanno finalmente esaurito il loro percorso.
Alcune industrie stanno percorrendo un vicolo cieco. La crisi ne ha solo anticipato la fine. In altri casi, la discontinuità è stata molto più improvvisa e scioccante perché è stata del tutto inaspettata. Intere industrie che erano vitali sono state messe in ginocchio dalla necessità del distanziamento sociale: tra loro ospitalità e turismo, industrie culturali e creative che dipendono da eventi dal vivo. Alcune di queste industrie potranno riprendersi una volta che i vaccini abbiano avuto efficacia e la gente potrà ritornare nei ristoranti, celebrare matrimoni, prendere aerei e andare ai concerti. Eppure, anche così, la crisi lascerà cicatrici durature. Alcuni dei teatri e dei ristoranti che hanno chiuso non riapriranno. Alcune persone distolte dalle vecchie abitudini potrebbero rivedere in modo permanente il loro comportamento, soprattutto alla luce del cambiamento climatico, il che potrebbe significare che le persone volano di meno. In molte comunità povere le strade principali potrebbero diventare deserte.
Ci sono acciaierie e fabbriche di automobili che hanno chiuso a seguito della profonda recessione per non riaprire mai più; anche alcuni ristoranti, negozi e luoghi culturali chiusi dal COVID-19 potrebbero non riaprire mai più. È probabile che la geografia di questo impatto sia molto variabile. Ed è difficile fare previsioni certe.
Cosa si fa quando si arriva in un inaspettato vicolo cieco? Si prendono strade ignote fino a quel momento. Potrebbe essere quello che succederà se la crisi provocherà una fuga dalle grandi città e calerà il pendolarismo, a favore di periferie e città di provincia dove i servizi locali, le strade principali e gli spazi, come biblioteche e parchi, potrebbero riempirsi di nuovo, portando con sé una rinascita dei paesi e città minori.
Quando la società accelera un percorso, mentre un altro arriva a un improvviso vicolo cieco, l’arco di sviluppo della società cambia. Una crisi diventa allora un punto di svolta.
3. Punto di svolta
Una crisi diventa un punto di svolta quando la società cambia la strada che stava percorrendo. Gli incroci critici sono biforcazioni o, anche un cambiamento più radicale, un salto verso un percorso completamente diverso, che avviene in parte per scelta consapevole, deliberata, collettiva.
Le economie regionali devono spesso affrontare questi cambiamenti, secondo Bjorn Asheim, uno dei massimi studiosi europei di sviluppo economico regionale. Le economie regionali hanno una forte tendenza ad ampliare il percorso che stanno già facendo, affinando le conoscenze esistenti e rafforzando le relazioni in essere, servendo i mercati con prodotti familiari. Tuttavia, per creare nuove opportunità di crescita, le economie regionali devono intraprendere un nuovo percorso – Asheim lo definisce un salto in lungo – che richiede l’esplorazione di nuovi mercati, coinvolgimento e conoscenze non familiari e la creazione di nuove relazioni. Da tutto ciò emerge l’esigenza di percorrere una nuova via. Il salto in lungo è un’attività rischiosa.
L’esempio più evidente di un simile salto in lungo è la ridefinizione del nostro approccio al lavoro. Il lavoro a distanza forzato e prolungato sta spingendo molti dipendenti e datori di lavoro a rivalutare la necessità o meno di avere tutti in ufficio tutto il tempo, o addirittura di avere un ufficio. La casa sta diventando un luogo di lavoro per molte persone. Molti uffici, e i servizi che li circondano, non saranno più gli stessi. Le organizzazioni e le gerarchie gestionali verranno rimodellate; le persone potranno persino essere costrette a ripensare cosa sia un’organizzazione.
Nello stesso momento in cui si aprono queste opportunità di lavorare in modo diverso, molti troveranno alcune forme di lavoro molto più dure: il personale in prima linea che ha lavorato durante la pandemia; le persone licenziate dai lavori relativi all’ospitalità. Come la digitalizzazione e l’automazione elimineranno molti posti di lavoro di routine, così rallenterà la creazione di posti di lavoro in settori come l’ospitalità e i servizi (che sono stati una salvezza economica dopo il 2008). Il conseguente aumento della disoccupazione tra i lavoratori scarsamente qualificati costringerà probabilmente il governo a sostenere un approccio più attivo nella gestione del mercato del lavoro. In Pakistan e Bangladesh, i responsabili politici prevedono nuovi sistemi digitali per dare una forma di reddito di base universale ai più poveri, forse in cambio di un lavoro green, piantare milioni di alberi.
Dalla crisi emergeranno nuovi modelli di lavoro e, con ciò, forse una nuova rete di sicurezza sociale. Le idee per rimodellare il mercato del lavoro figurano in primo piano nella piattaforma politica su cui Joe Biden ha partecipato alle elezioni presidenziali statunitensi, compreso un salario minimo più alto; tre milioni di nuovi posti di lavoro nell’istruzione, nell’assistenza all’infanzia e nell’assistenza agli anziani, con retribuzioni e benefici migliori. I democratici stanno spingendo per benefici più universali, per l’indennità di malattia e il congedo familiare. Gli esperimenti del reddito di base universale stanno diventando realtà pratiche in alcuni posti.
Quella che era iniziata come una crisi sanitaria potrebbe lasciare un segno indelebile creando nuove modalità di organizzazione del lavoro, che sarebbe sembrato un sogno irrealizzabile anche nel 2019. Sarebbe un punto di svolta: la deviazione su un nuovo percorso.
4. Una rotatoria
L’ultima opzione è che la crisi crei tali e tante opportunità di cambiamento, su tali e tanti fronti, che anziché determinare un chiaro punto di svolta – una scelta tra una strada e l’altra – diventa più simile a una grande rotatoria, con molte uscite mentre la società gira alla ricerca di una via d’uscita. Questa potrebbe essere la migliore descrizione dello stato in cui ci troviamo ora, una specie di vortice in cui tutto si muove molto velocemente ma rimane più o meno nello stesso posto perché almeno per il momento stiamo girando in tondo.
Le possibilità sono infinite. La crisi potrebbe portare a: la diffusione della digitalizzazione dei servizi pubblici e privati; un nuovo ruolo economico nella gestione del lavoro con un più ampio intervento statale; un sistema di assistenza sociale riformato, verso le persone anziane e i loro assistenti; una sorta di garanzia universale di lavoro e reddito per i giovani; nuove alleanze tra governo locale e volontariato; un sistema sanitario di base abilitato ad intervenire con sistemi digitali; un nuovo impegno sociale per superare la disuguaglianza razziale strutturale; una ripresa che abbia al centro un Green New Deal. Proprio perché arriva così in profondità, questa crisi può creare tante possibilità diverse non un unico “punto di svolta”. Altre parti della società prenderanno invece varie uscite disperdendosi in direzioni diverse perseguendo una sperimentazione frammentata.
Questi sono i quattro modi in cui una crisi può generare un cambiamento duraturo e potenzialmente trasformativo: acceleratore, vicolo cieco, punto di svolta e rotatoria. Questa crisi ha chiaramente le potenzialità per essere un “momento critico”, ma dipende da quale uscita della rotatoria prendiamo. E questo dipenderà da chi racconterà la storia della crisi, da come daremo un senso a tutto ciò.
La narrazione del cambiamento
Questa è la conclusione a cui Mark Blyth giunge nel suo studio su questi momenti in Great Transformations: Economic Ideas and Political Change in the Twentieth Century. Secondo Blyth, professore di scienze politiche internazionali alla Brown University negli Stati Uniti, una crisi diventa un punto di svolta quando la sua storia viene raccontata in modo da determinare una risposta adeguata.
Qui, nel Regno Unito, ci sono varie narrazioni che sembrano prendere forma, alcune molto più strutturate di altre. Quelle narrazioni determinano tre punti di contrato
Il primo punto di contrasto si ha quando la crisi è vista da un lato come una minaccia esterna e dall’altro come una sfida interna. Coloro che sono al potere, cercando di giustificare le loro azioni, vorranno presentare COVID-19 principalmente come una pandemia globale: una minaccia esterna di dimensioni senza precedenti. I loro sfidanti dovranno persuadere invece che è stata anche una sfida interna, che ha messo a nudo debolezze e fallimenti profondi. Forse la vittoria di Joe Biden segna anche un’inclinazione a favore di quest’ultimo punto.
Il secondo punto di contrasto è se la crisi ha colto tutti o se ha esposto e approfondito le disuguaglianze sociali strutturali. Ci crogioliamo nell’idea della buona volontà collettiva o affrontiamo la dura e costosa realtà della disuguaglianza?
Il governo britannico vuole coprire la crisi con la bandiera del nazionalismo, per dimostrare che come nella Seconda guerra mondiale, siamo tutti sulla stessa barca. La narrativa alternativa è più difficile da trasmettere. La pandemia mette a nudo i limiti dell’individualismo; rispondere ad esso dipende dalla solidarietà e dall’amicizia. La salute di una persona dipende dalla salute degli altri. Tuttavia, ciò non produrrà un’agenda per le riforme a meno che non si affronti anche la crescente evidenza che nella pandemia non siamo tutti uguali, che gli oneri economici e sanitari sono distribuiti in modo diseguale tra classi, razza ed età. Lo stato sociale del dopoguerra è stato il frutto del sentimento di solidarietà generato dalla guerra, ma anche dal riconoscimento dei pesi diseguali, portati dagli anziani e dalle donne. Era sia un’espressione di solidarietà sia una critica a inaccettabili disuguaglianze.
Gli sfidanti dovranno trovare questo giusto equilibrio per creare una narrativa credibile. L’impatto disomogeneo della crisi economica, la disoccupazione e le chiusure di imprese che seguiranno la fine della pandemia potrebbero fornire la base per tale narrativa.
Il terzo punto di contrasto è come e dove saranno indirizzati gli investimenti post-crisi. Subito dopo che la nazione è entrata nel suo primo lockdown nel marzo 2020, il governo ha messo il Servizio Sanitario Nazionale al centro della storia. L’obiettivo è diventato quello di garantire una risorsa nazionale vitale. Il costo di quell’enfasi sul potente Servizio Sanitario ha avuto ricadute negative sul settore dell’Assistenza Sociale in difficoltà, che è dove si sono concentrate il numero maggiore di morti nel Regno Unito. La strategia del governo è quella di fare cerchio attorno al Servizio Sanitario Nazionale. L’alternativa è concentrarsi sullo scandalo di ciò che non ha funzionato, soprattutto nel settore dell’assistenza. Il primo approccio porta a maggiori finanziamenti per il Servizio Sanitario, con cui è difficile non essere d’accordo; il secondo si concentra sulla necessità di finanziare un adeguato sistema di assistenza sociale, cosa molto più politicamente controversa.
CONCLUSIONE: QUALE NARRAZIONE VINCERA’?
Questa crisi verrà vista come un “momento critico”, un punto di svolta coerente, quando una di queste narrazioni diventerà dominante.
La prima racconta la storia di una coraggiosa Gran Bretagna autosufficiente che sconfigge una minaccia esterna, riunendosi, radunandosi attorno al Servizio Sanitario Nazionale, aprendo la strada alla rinascita nazionale attraverso la Brexit. Un tale paese sarebbe più aperto all’attivismo statale, compreso il prestito su larga scala e la digitalizzazione di ogni tipo. Sarebbe tutto all’interno di una narrativa di reinvestimento in ciò che è fantastico della Gran Bretagna.
La seconda è una storia più impegnativa da raccontare perché significa affrontare debolezze e fallimenti. Tuttavia, ciò potrebbe produrre una serie molto più radicale di riforme. La crisi ha rivelato disuguaglianze profonde e strutturali e le debolezze storiche di uno Stato sempre più frammentato che necessita di riforme di ampia portata. Abbiamo bisogno non solo di nuovi approcci al lavoro e all’assistenza sociale, ma anche di affrontare le disuguaglianze razziali e regionali. Questo impegno richiede che la Gran Bretagna attraversi un periodo di ricerca introspettiva, seguito da riforme radicali e di vasta portata per creare nuove reti di sicurezza sociale, un processo decisionale democratico più devoluto, aprendo la strada a un approccio più attivo e socialmente inclusivo con cui affrontare l’era dell’intelligenza artificiale e del cambiamento climatico.
Milton Friedman, l’intellettuale ispiratore delle politiche di libero mercato di Ronald Reagan e Margaret Thatcher una volta scrisse: “Solo una crisi – effettiva o percepita – produce un cambiamento reale. Quando si verifica quella crisi, le azioni intraprese dipendono dalle idee in campo. Questa credo sia la nostra funzione fondamentale: sviluppare alternative alle politiche esistenti, mantenerle vive e disponibili fino a quando il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile “.
Il problema non è la mancanza di idee. Molte delle idee che potrebbero fornire gli ingredienti per un “momento critico” sono già presenti: una versione del reddito di base universale, combinata con un Green New Deal, una maggiore democrazia locale e deliberativa e agenzie più responsabili capaci di creare un’economia organizzata attorno all’etica della cura, della rigenerazione e della tutela piuttosto che attorno al denaro, ai profitti e alla crescita.
Il guaio è che queste idee devono ancora coagularsi, per i più, attorno a una coerente direzione di marcia. Rappresentano ancora molte uscite diverse dalla rotatoria, che nel Regno Unito si accompagnano alle questioni dell’indipendenza scozzese, della Brexit e dei Red Wall Tories del Nord dell’Inghilterra.
La mia previsione è che la crisi stia per diventare un “momento critico”, un’opportunità per intraprendere un programma di cambiamento generazionale sistemico. La politica del prossimo anno, forse dei prossimi mesi, determinerà quale uscita prenderemo dalla rotonda e quale coalizione di forze sociali, economiche e politiche indicherà la direzione in modo più convincente.