Introduzione
Mi è stato chiesto di scrivere un articolo di commento ai dati PISA 2018 in financial literacy. I dati sono stati rilasciati da OCSE il 7 maggio 2020 e necessitano di una riflessione approfondita, ma quello che viene in mente dopo un primo esame a livello “macro” è: nihil sub sole novi! Avrei potuto riprendere con poche varianti qualcuno degli articoli scritti (da me o da altri) in occasione delle precedenti edizioni del PISA, aggiornando le date ma non i dati.
In effetti, i problemi riscontrati nelle precedenti edizioni dell’indagine sulla financial literacy (o meglio sulla financial illiteracy…) restano immutati nella loro sostanza. O in qualche caso peggiorati. Farò qui un breve commento ai punti che mi sembrano quelli caratterizzati dalle maggiori criticità, ma prego chi volesse leggere queste righe di tenere presente che il dato più allarmante è costituito dal fatto che, dopo poco meno di dieci anni di indagini, non ci schiodiamo da un posizionamento mediocre e certo non adeguato alle sfide che ci si pongono davanti.
I dati “macro”
Dunque, cosa ci dicono i dati? Devo ridurre all’essenziale un’indagine di ben maggiore complessità e che merita senza dubbio analisi più approfondite. Risolto, sperabilmente, il problema della captatio benevolentiae nei confronti del lettore, direi che i punti cardine sono i seguenti:
- il posizionamento non soddisfacente dell’Italia rispetto agli altri Paesi;
- la persistenza di questo posizionamento non soddisfacente, non diverso da quello delle precedenti edizioni;
- la presenza di un gender gap a sfavore delle studentesse rispetto agli studenti;
- la riprova dell’esistenza di un territory gap nord/sud
- la conferma che si mantiene ancora alto uno school gap, in relazione ai diversi ordini di scuole;
- il collegamento, abbastanza stretto, fra le diverse illiteracy, in particolare quella di lettura e quella di matematica.
Provo a commentare i dati riguardo a questi aspetti. In primo luogo, il posizionamento dell’Italia: il nostro Paese galleggia al 13° posto sui venti che hanno partecipato all’indagine. Ma quel che è più significativo è che chi ci precede è rappresentato, almeno in parte dai nostri partner (e concorrenti…). Dietro di noi arrancano Paesi i cui sistemi scolastici non sono certo all’avanguardia: Brasile, Cile, Indonesia, Georgia, ecc. Siamo inoltre, con 476 punti, molto distanti non solo dalla vetta, ma anche dal dato medio OCSE di 505 punti (v. grafico 1).
Un punteggio non certo esaltante, tanto più se si guarda, come già accennato, ai risultati delle precedenti edizioni: nel 2015 l’Italia era risalita a 489 punti, rispetto ai 466 del 2012; ma nel 2018 è nuovamente precipitata a 476.
Se si analizzano con maggiore precisione i dati differenziando i livelli delle competenze, si scopre che il 47,4% degli studenti italiani si situano all’interno “della sufficienza” (da livello minore di 1 al livello 2). La media dei Paesi partecipanti all’indagine è in questo caso 43,4%. Inoltre, se si eccettua il livello 3, in cui gli studenti italiani sono percentualmente più numerosi della media (30,8 contro 26,7), ai livelli più elevati l’Italia fa peggio della media: 17,3 contro 18,2 per il livello 4, ma soprattutto 4,5 contro 10,5 per il livello 5 (v. grafico 2).
I “gap”
La differenza di genere
Una caratteristica non certo invidiabile della situazione italiana riguarda il divario di risultati fra studenti e studentesse: mentre nella media OCSE il divario di genere è praticamente inesistente, in Italia si registra un valore a svantaggio delle ragazze di -15 punti, con valori particolarmente rilevanti nel Nord- ovest (-21) e nel Sud (-16), a segnalare che il gender gap non dipende solo da condizioni socio-economiche svantaggiate (v. grafico 3).
Le differenze territoriali
Peraltro, il divario di genere non è l’unica differenza rilevante: permane una forte differenziazione territoriale nord/sud: Nord-Est e Nord-Ovest si posizionano in alto, con punteggi leggermente superiori a quelli della media internazionale, il Centro si trova ben al di sotto di questo valore; ma il disastro è il Sud, isole comprese (v. grafico 4).
Le differenze fra le scuole
Quanto alle differenze fra i diversi tipi di scuole, si conferma l’abituale divario fra “scuole alte” e “scuole basse”: i licei fanno bene (508), i tecnici sono nella media (476), mentre si trovano molto al di sotto di un livello soddisfacente i professionali e i CFP (v. grafico 5).
Qualche (provvisoria) conclusione
È probabile che questi gap si ricolleghino funzionalmente a risultati negativi anche in altri ambiti come quello di matematica e lettura: dopotutto, la financial illiteracy può essere considerata un aspetto particolare della scarsa disponibilità di competenze generali e di non sufficienti strumenti conoscitivi. È però altrettanto possibile che esista uno “specifico finanziario”, legato al modo con il quale si acquisiscono competenze in questo ambito: in Italia la “narrazione” economica avviene soprattutto in famiglia, mentre la scuola è all’ultimo posto fra i luoghi dove si cercano informazioni pertinenti e si acquisiscono competenze economiche. Dunque, se la famiglia non è in grado di favorire l’acquisizione di tali competenze (o non lo è in misura soddisfacente), è difficile che gli studenti possano colmare le lacune competenziali in ambito finanziario.
A conferma del fatto che la financial literacy rappresenta un elemento di particolare criticità in Italia, osserviamo che, rispetto ai punteggi OCSE è proprio in questo ambito che si riscontra il maggior distacco: se la media OCSE italiana è 476, la media OCSE è 505 (29 punti); il distacco nella literacy matematica è di solo un paio di punti; quella in scienze è di 21 punti; infine in lettura ancora 21 punti.
Resta ovviamente il problema del “che fare”: non si può dire che in Italia negli ultimi anni non si sia fatto uno sforzo per tentare di migliorare: sono state diverse centinaia le iniziative che hanno coinvolto gli studenti e i docenti delle scuole di ogni ordine e grado, alcune di carattere locale e “micro”, altre di respiro nazionale. Ma occorre riconoscere i risultati non esaltanti, come del resto testimoniato dagli stessi dati del PISA.
Per ora si conferma la difficoltà di “mettere a sistema” le iniziative. E questo risulta ancora più grave se si pensa che il Ministero dell’Istruzione sta mettendo mano alla definizione dei curricoli in “educazione civica” nel cui ambito è compresa anche l’area economica e finanziaria. Trovare la quadra riguardo a questi aspetti, conciliando la necessita di fornire competenze economico-finanziarie con gli strumenti concreti da utilizzare, con una formazione docente non sempre all’altezza, rischia di far restare l’Italia fra i Paesi in serie B.