COMPETENZE GLOBALI – PREPARARE I NOSTRI GIOVANI PER UN MONDO INCLUSIVO E SOSTENIBILE

Il Framework di “Competenza Globale” di OCSE PISA - a cura di Tiziana Pedrizzi

PREMESSA di Tiziana Pedrizzi

pedrizziFra aprile e maggio si tiene PISA 2018.
Da quest’anno è stato  possibile ai Paesi partecipanti inserire un nuovo elemento: la valutazione delle competenze globali (Global Competency, GC).

Documenti preparatori: Global Competency for an Inclusive World 2016 e Preparing our youth for an inclusive and sustainable world -the OECD PISA global competence framework 2017 a cura di Andreas Schleicher e Gabriela Ramos. Sulla base di questi documenti, sono state prodotte e testate sul campo (field trial) delle prove di cui alcune sono presenti nei due documenti.
Il Quadro di riferimento delle Competenze Globali che ne risulta è particolarmente ampio ed articolato, caratterizzato dal riferimento costante ai documenti di politica scolastica della Comunità Europea, ma anche ad esperienze e ricerche precedentemente condotte sul campo, fra le quali viene attribuita particolare visibilità a quella di Project Zero della Università di Harvard. Sicuramente un importante punto di riferimento sono anche le indagini IEA sulle competenze civiche: International Civic and Citizenship Education Study ICCS 2009 e International Civic and Citizenship Education Study ICCS 2016. Pertanto il contributo peculiare di PISA 2018 dovrebbe essere non solo e non tanto quello di indicare le competenze e gli strumenti per raggiungerle, quanto i modi per valutarle.

La finalità è offrire una prima sistematica sintesi “dei successi dei sistemi educativi nell’equipaggiare i giovani a orientare lo sviluppo globale ed a collaborare produttivamente nella vita di ogni giorno attraverso le differenze culturali”. Conoscenze, abilità, attitudini e valori coerenti con questo campo costituiscono le quattro aree sistematicamente indagate dalle prove. Le quali, oltre ad identificare i contenuti, definiscono anche come metodologie coerenti “attività di role play che aiutino ad assumere prospettive differenti, discussioni sul pregiudizio e le discriminazione o attività di progetto che incoraggino a riflettere sulle radici e le cause dei problemi globali”.

L’obiettivo sembra essere quello di creare una visione del mondo internazionale caratterizzata dal rispetto e dalla comprensione reciproca fra le diverse culture. Finalità non solo quella della convivenza pacifica, quanto quella di creare la possibilità di collaborare in modo efficace, sul terreno del lavoro e della produzione di ricchezza. Cruciale da questo punto di vista l’idea che, sebbene ci siano gruppi (nazionali, etnici, religiosi e culturali) diversi, tuttavia ogni individuo è l’intersezione di più appartenenze differenziate ed in quanto tale si presenta come un unicum in cui i legami di appartenenza sono molto diversi e quindi nessuno decisivo. Pertanto i soggetti, atomizzati e mancanti di appartenenza culturale stabile ed unica possono convivere e comunicare, anche per la produzione.

Lo sviluppo della scienza e della tecnica ha migliorato enormemente le condizioni dell’umanità attraverso la produzione di una grande quantità di beni e servizi, dopo i tentativi falliti del secolo precedente di farlo attraverso il cambiamento della organizzazione delle società umane (comunismo, fascismo-nazismo). L’ideologia produttivistica e prestazionistica si presenta come la continuazione della ideologia del mondo occidentale, senza l’idea della superiorità bianca e la predominanza dei suoi valori. Tutti i valori sono positivi, purché non anti-produttivi in quanto impediscono la convivenza e la collaborazione. Il limite del relativismo assoluto verrebbe evitato dal forte riferimento ai Diritti dell’Uomo che in caso di contrasto dovrebbero prevalere.

I risultati della indagine ed il dibattito che probabilmente li accompagnerà ci diranno quanto questa prospettiva sia realistica. Certamente l’impressione è quella della aspirazione ad imporre una visione “politicamente corretta” ai sistemi educativi ed attraverso questi alle società. Una prospettiva in controtendenza rispetto al riemergere dei localismi, dei tribalismi e del potere identitario delle religioni che per essere competitiva, al di là del potere condizionante del capitale e della finanza internazionale, forse necessita di una maggiore consapevolezza della dimensione storico- culturale della educazione nelle società umane.

C’è da registrare comunque- parallelamente allo sviluppo di questo pensiero figlio dell’89 che viene talvolta definito come neoliberista/ funzionalista – una crescita di interesse del mondo della ricerca per elementi che questa impostazione tende ad accantonare, relativi proprio alle culture ed all’appartenenza, prima di tutto quella religiosa. In questo senso si segnalano anche produzioni provenienti dal mondo laico che prende atto della irriducibilità della dimensione religiosa, intesa come dimensione di appartenenza culturale, fra cui possono essere segnalati il testo collettaneo Religion and Education degli Oxford Studies in Comparative education e l’ultimo numero n 3 del 2017 della rivista italiana Scuola Democratica.

Alcune di queste ricerche sembrano sottolineare l’utilità delle religioni come presidio di valori, anche attraverso il senso di appartenenza e di disciplina che rende possibili gli apprendimenti e pertanto il riconoscimento ed anche l’integrazione. Per raggiungere tutti davvero nella formazione, bisognerebbe garantire anche la formazione morale, che garantisce comportamenti preliminari adeguati alla possibilità di imparare e che a livello delle masse sarebbe data solo dalle religioni. Solo per i paesi del Sud del Mondo o anche per tutti?

Abbiamo ritenuto opportuno mettere a disposizione del mondo della scuola un documento interessante, forse importante soprattutto nel futuro; che può comunque essere prezioso anche per le attuali attività di classe dei singoli insegnanti e delle singole scuole che vogliano impegnarsi in questa direzione.
Ci scusiamo per eventuali imprecisioni nella traduzione dovuti all’artigianalità del testo.

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