F. Dubet – QUALE SCUOLA VOGLIAMO?

François Dubet, Seminario Internazionale ADi 2019

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INTRODUZIONE

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Buongiorno a tutti, grazie per l’invito.

Dopo l’ottimismo dell’OCSE e dell’intelligenza artificiale, vi porterò un po’ di pessimismo francese. Siccome mi è difficile predire il futuro comincerò dal passato, riandando alla fine del 19° secolo quando furono costruiti i sistemi scolastici nazionali in Europa.

LA SCUOLA DELLA NAZIONE E DELL’ORDINE SOCIALE

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La finalità dei sistemi scolastici costruiti in Europa tra la fine del 19° secolo e la prima metà del secolo scorso è stata quella di formare una coscienza nazionale. La scuola pubblica doveva offrire a tutti una lingua, una cultura e una visione nazionale.

Gli insegnanti e la scuola godevano di una grande legittimazione, perché erano investiti di questo fondamentale ruolo nazionale.

La seconda dimensione che caratterizzava questa scuola era quella di essere la scuola del credo nel progresso, nella ragione e nella scienza, anche se la scuola non insegnava le scienze, che non erano praticate nelle classi, ma la bellezza della scienza.

Per il resto, la scuola doveva soddisfare le esigenze della divisione del lavoro e della gerarchia delle classi sociali.

Scuola universale, scuola di progresso e della nazione, questa scuola era anche quella delle disuguaglianze sociali: la scuola della grande cultura per le élite, la scuola dei saperi di base per il popolo.

Nella maggior parte dei Paesi, in particolare nei Paesi cattolici e repubblicani, la forma educativa dominante era quella delle scuole religiose: disciplina rigorosa, ruolo della memoria, valutazione e competizione scolastica.

Una scuola dove gli insegnanti erano pagati male ma godevano di un’alta dignità sociale. Si trattava di scuole laiche, ma che funzionavano come delle vere e proprie chiese. L’insegnamento era considerato una vocazione e gli insegnanti dovevano incarnare i principi superiori della nazione, della cultura, della ragione,  nella stessa maniera in cui un sacerdote incarnava la presenza di Dio.

Nella scuola non entrava la società, non entrava l’economia. In quella scuola non entravano nemmeno l’infanzia e la gioventù, con i loro problemi, la loro cultura e le loro individualità, entravano solo gli “alunni”, gli “studenti”, portatori di un ruolo sociale e di una disciplina ben definiti all’interno di istituzioni  scolastiche considerate dei santuari, ambienti protetti, separati dalla vita economica e sociale, scissi dal resto del mondo.

LE RIFORME DEL 1960/70: LA SCUOLA DI MASSA DEMOCRATICA

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Dagli anni ’60, la maggior parte delle società democratiche hanno cercato di aprire la scuola, ampliare l’accesso all’istruzione secondaria e superiore e portare la formazione più vicina ai bisogni dell’economia in nome dello sviluppo del capitale umano.

Inoltre, molti movimenti pedagogici hanno cercato di trasformare la vecchia scuola autoritaria in nome della creatività, dell’autonomia e delle diverse personalità degli studenti.

In generale, abbiamo sognato di sostituire il cittadino soldato, contadino, lavoratore, madre e padre, con il cittadino attivo, illuminato, critico e autonomo.

I principi e i contenuti della democrazia dovevano sostituire quelli della nazione.

In Francia, ma anche in altri paesi, il “maggio 68” può essere considerato il simbolo di questo desiderio di cambiare la scuola verso un progetto democratico.

LE DELUSIONI

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Cinquanta anni dopo le riforme degli anni 1960 e 1970, la delusione prevale e in molti paesi si sogna di tornare alla scuola di una volta con tutte le virtù dell’età d’oro.

La prima delusione

5La prima delusione riguarda le disuguaglianze scolastiche.

Se è vero che la massificazione dei sistemi scolastici ha enormemente ampliato l’accesso degli studenti all’istruzione secondaria e superiore, non ha però ridotto le disuguaglianze sociali e scolastiche che si volevano abbattere. Queste disuguaglianze sono rimaste pressoché immutate, ciò che è cambiato è il modo in cui queste disuguaglianze si producono. Nel Vecchio Mondo le disuguaglianze venivano prima della scuola, mentre nel mondo in cui viviamo è proprio nella scuola che si creano le disuguaglianze, è all’interno della scuola che si svolge la selezione degli studenti.

Le disuguaglianze non sono tanto tra i giovani scolarizzati e non scolarizzati quanto fra i tipi di formazione, fra le filiere scolastiche, fra le scuole che vengono scelte.

Le disuguaglianze che erano disuguaglianze strutturali diventano disuguaglianze di funzionamento del sistema scolastico stesso.

E mentre tutti ci diciamo a favore delle pari opportunità, dell’uguaglianza, nei fatti siamo tutti, senza esclusione, per le disuguaglianze. Per i nostri figli scegliamo la scuola e la classe A piuttosto che B,il liceo piuttosto che l’istituto professionale, ecc..…

E più il sistema scolastico si è aperto, più i diplomi giocano un ruolo decisivo in materia di accesso ai posti di lavoro e al reddito, chi può sceglie le strategie più selettive e più redditizie.

A lungo termine, la scuola è accusata di produrre disuguaglianze.

La seconda delusione

6La seconda delusione riguarda le virtù stesse dell’educazione.

Lo sviluppo dei moderni sistemi scolastici è stato basato sulla convinzione che l’istruzione scolastica renda gli uomini migliori e le società più civilizzate.

Non è stato così.

I tanti che la scuola ha respinto, diventano dei perdenti, odiano la scuola e gli insegnanti, detestano la cultura. La conseguenza è che mentre pensavamo che lo sviluppo dell’istruzione scolastica avrebbe creato cittadini più tolleranti, aperti e buoni, constatiamo che le società stanno diventando più brutali, razziste, cattive.

Da questo punto di vista il bilancio è paradossale. Vi sono due elementi contraddittori. Da un lato, tutti i sondaggi confermano che il livello di istruzione aumenta nei singoli individui il livello di fiducia e tolleranza. Dall’altro, però le società sono sempre meno sicure e tolleranti, anche quando i tassi di iscrizione secondaria e superiore sono più alti.

I grandi sistemi di democrazia scolastica, di massificazione scolastica, hanno prodotto da un lato molti cittadini istruiti, democratici e liberali, dall’altro hanno dato la possibilità a un Donald Trump di esistere, hanno prodotto in Brasile, dopo la grande apertura scolastica, un Bolzonaro, in Francia i gilet gialli, in Gran Bretagna la Brexit, in Svezia rigurgiti fascisti.

Non parlo dell’Italia perché sono ben educato e quindi mi astengo da commenti.

L’idea di Victor Hugo secondo cui quando si apre una scuola si chiude una prigione non si è dimostrata vera, più si aprono scuole più affollate diventano le prigioni.

Quindi c’è una vera e propria crisi del sistema scolastico. Non è chiaro assolutamente se l’istruzione rappresenti il vero vettore della democrazia; oggi è difficilissimo dire più c’è istruzione scolastica più vi sarà democrazia e tolleranza e meno nazionalismo. Non è più vero.

Movimenti autoritari, populisti e xenofobi si stanno sviluppando ovunque, specialmente tra coloro che hanno studiato poco, ma in Paesi dove l’istruzione è universale.

La terza delusione

7La fine del monopolio della cultura scolastica. Il monopolio della cultura, che dalla Chiesa era passato ai sistemi scolastici, ora non è più nelle mani della scuola. La cultura scolastica è in crisi, minacciata dai media. Più in generale, c’è una crisi di educazione morale che investe la scuola, che vede diminuire costantemente la fiducia in essa riposta..

Uno studente normale di quindici anni passa il doppio del tempo davanti a uno schermo piccolo o grande rispetto a quello trascorso con i propri insegnanti. Con ciò non dico che gli insegnati siano degli incapaci o che i vari strumenti digitali siano da vietare. Dico semplicemente che i vari smartphone, tablet, ecc… hanno una capacità di seduzione, di attrattività e di formazione della personalità ben più forte rispetto alla capacità dell’insegnante.

Questa perdita di ruolo della scuola e degli insegnanti, è accompagnata ovunque da una trasformazione pericolosa dei modi di produzione della verità.

Io vengo da un Paese, la Francia, in cui la metà delle persone è convinta che i vaccini siano fatti per intossicare e avvelenare gli individui. E ancora un’inchiesta fatta in Francia sui liceali mostra che il 30% di essi pensa che gli attentati terroristici islamisti siano stati organizzati dai servizi segreti americani ed ebrei.

E siamo al punto che il fatto che la Terra sia rotonda può essere un’opinione, perché non dire che è piatta? Ascoltate Beppe Grillo. Nel momento in cui viene uno e dice “La terra è piatta”, la Terra può diventare piatta!

Tutto questo ha portato alla Brexit e a un presidente americano che dice che non è vero che il pianeta si stia riscaldando, che non è vero che ci siano i cambiamenti climatici.

E allora l’istruzione è uno strumento formidabile ma non è così formidabile se tutto questo può accadere.

Tutti i populismi che si stanno sviluppando significano odio verso le élite e gli insegnanti, verso l’intelligenza e gli intellettuali, verso i saggi e gli scienziati perché in fin dei conti non c’ è più accordo sul modo di affermare che una cosa è vera o falsa.

Ecco perché penso che  sia estremamente utile riflettere sul ruolo svolto dall’organizzazione scolastica nello sviluppo delle disuguagliane, perché sappiamo bene che alcune società hanno delle disuguaglianze scolastiche più grandi rispetto alle disuguaglianze sociali come la Francia. La questione che dobbiamo affrontare oggi è alla fine una antica questione che è stata completamente dimenticata.  Mi riferisco a quanto affermava il padre fondatore della sociologia francese, Émile Durkheim sulla educazione morale, sul tipo di cittadino che la scuola dovrebbe produrre. Oggi abbiamo una grande difficoltà a definire questo soggetto perché non sappiamo più in quale economia, in quale mercato del lavoro si inserirà.

QUAL È LA VOCAZIONE DELLA SCUOLA?

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La domanda che ci viene posta oggi è quella della vera vocazione della scuola. Per alcuni, sarebbe necessario tornare alla scuola del passato, alle sue discipline e tradizioni, alla scuola della nazione e dell’ordine sociale. Per altri, l’istruzione è un capitale umano con un focus sullo sviluppo economico e le competenze professionali richieste dal mercato del lavoro. Non è raro che le due tendenze si uniscano in un progetto economicamente liberale e culturalmente conservatore.

Piuttosto, credo che non dobbiamo abbandonare il progetto di una scuola democratica centrata sulla definizione di valori che possiamo condividere e sull’apprendimento dell’autonomia e della responsabilità. Una scuola che scelga in maniera risoluta di formare i soggetti della democrazia.

Il primo cantiere che dovremmo aprire è allora la costruzione di una scuola come spazio civico. Abbiamo un esempio in Europa, la Finlandia, che ha saputo creare una scuola come ambiente di diritti e di doveri in una comunità di adulti e di giovani.

Io penso alla scuola come spazio di esperienza democratica, un laboratorio sperimentale dove impariamo a “praticare”, giornalmente, realmente, le virtù della democrazia. Questo presuppone delle istituzioni che siano organizzate a questo scopo, in cui gli insegnanti stessi sappiano e vogliano cambiare un po’ il loro ruolo professionale. A questo proposito bisogna riconoscere che i Paesi protestanti, come la Finlandia, hanno un vantaggio rispetto ai Paesi cattolici, perché la comunità protestante è di per sé una comunità più democratica rispetto alla “parrocchia cattolica” che rimane comunque molto gerarchica e verticale.

In questo spazio democratico bisogna essere capaci di arbitrare e mediare, fra uguaglianza delle opportunità, vale a dire la competizione giusta in cui vincono i migliori, e l’uguaglianza dei risultati, dove l’obiettivo è quello di garantire, come sostiene John Rawls,  che anche i più deboli riescano al meglio delle loro possibilità. La difficoltà non è tanto insegnare ai bravi studenti, la vera difficoltà, che persiste oggi, è come garantire l’apprendimento agli altri, a quelli che non ce la fanno. E saranno questi ultimi che ce la faranno pagare. Se posso usare un termine antico è lì che si scatena una vera e propria “lotta di classe”. E’ nostro compito allora mediare fra l’insegnamento a chi ha le opportunità di avere successo e l’insegnamento  a quelli che ne hanno meno e che sono i perdenti in questa competizione. Questa è davvero una mediazione politica importante. Oggi il nostro interesse di classe media consiste nel far sì che “gli altri” non perdano troppo, non diventino degli emarginati, non “vadano fuori di testa”, non incendino le scuole, perché questo succede oggi. Succede in Francia, succede negli Stati Uniti, succede in Gran Bretagna e un po’ ovunque. Forse non accade ancora in Italia, ma arriverà anche da voi.

Saper fare questa mediazione nell’insegnamento richiede una buona preparazione degli insegnanti. Nella maggioranza dei Paesi, sicuramente in Francia, la professione docente non è valorizzata e i migliori studenti non scelgono mai di diventare insegnanti, a parte qualche eccezione. C’è quindi un problema di formazione e di reclutamento dei docenti. Lasciatemi fare un paradosso, e parlo per la Francia, se formassimo gli ingegneri come formiamo gli insegnanti non prenderemmo mai un aereo, se formassimo infermieri e medici come formiamo gli insegnanti non andremmo mai in un ospedale per farci curare. Quindi abbiamo una vera e propria sfida di formazione professionale degli insegnanti, perché ho la sensazione, almeno per la Francia, che siamo arrivati quasi a un punto di rottura.

Tornando al punto iniziale, qual è la vocazione della scuola oggi, credo che la risposta vada articolata rispetto a questa serie di quesiti:

Quindi dobbiamo cercare di dare risposte a domande come :

  • Qual è la cultura comune, quella che tutti gli studenti devono acquisire come bene comune indipendentemente dalle loro origini e dai loro percorsi?
  • Come costruire scuole che siano anche comunità educative?
  • Come rendere l’istruzione scolastica in grado di fare acquisire a tutti gli alunni le competenze essenziali?
  • Come rendere la scuola socialmente equa?

Tutti questi obiettivi non sono necessariamente coerenti tra loro, ma dobbiamo imparare ad articolarli e a stabilirne le priorità.

Forse dobbiamo smettere di credere che la scuola possa fare tutto, che possa salvare il mondo, mentre abbiamo solo bisogno di costruire una buona scuola.

A questo proposito vorrei dirvi che in Italia avete una fortuna, perché avete una persona che adoro, Luigi Berlinguer, che ha scritto recentemente un libro sull’avvenire della scuola in Italia, che considero uno dei libri più belli che io abbia letto da tempo. Vi si trova una visione di come cambiare la scuola. Berlinguer non crede più alla scuola del passato ma non è neanche affascinato o sedotto dalla scuola dell’ intelligenza artificiale.

CONCLUSIONI

CULTURA COMUNE E PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE IN UN NUOVO CONCETTO DI NAZIONE

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Concludo riprendendo il primo dei quesiti prima posti: “Qual è la cultura comune, che tutti gli studenti devono acquisire come bene condiviso indipendentemente dalle loro origini e dai loro percorsi?

Di fronte alla globalizzazione delle culture e delle economie, molti Paesi sono attraversati da potenti movimenti popolari nazionalisti e conservatori. I problemi sociali vengono quindi vissuti come problemi di identità e la democrazia liberale appare come il cavallo di Troia della distruzione delle nazioni. Ma d’altra parte viviamo in nazioni e la nazione rimane il quadro essenziale dei diritti e della democrazia, ma le nazioni non sono più, comunità omogenee. E’ quindi necessario reinventare delle narrazioni nazionali in cui anche gli “altri” trovino un posto.

Non è la prima volta che succede. In Paesi cattolici come l’Italia e la Francia, forse soprattutto in Francia, per un secolo abbiamo riscritto la storia nazionale, affinché gli ebrei potessero trovare il loro luogo, abbiamo riscritto la storia nazionale per permettere ai protestanti di trovare il loro posto, abbiamo riscritto la storia nazionale perché le donne potessero affermare il loro ruolo.

Quindi bisogna ricreare incessantemente delle narrazioni che abbiano alla base il patriottismo democratico piuttosto che comunitario. Contro la tradizionale narrativa mitica nazionale, la scuola dovrebbe costruire una narrazione in cui la nazione è nel mondo, in cui le minoranze e i migranti hanno un posto, in cui la nazione è un’arte di vivere insieme, un patriottismo di cittadini piuttosto che  un’identità basata sul rifiuto degli altri.

Ebbene io spero che gli insegnanti saranno capaci di resistere ai brutti venti che stanno soffiando, e sapranno difendere nelle pratiche la scuola del “patriottismo costituzionale”, secondo la definizione di Habermas, e insieme saremo in grado, forse con meno ambizioni, di assumerci le nostre responsabilità nei confronti dei fallimenti degli ultimi cinquant’anni, fallimenti che dobbiamo guardare in faccia senza se e senza ma.

Grazie per avermi ascoltato

 

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