**Tutte le immagini di questo documento sono dipinti di Piero della Francesca
INTRODUZIONE
Umanesimo e Rinascimento sono un binomio consolidato storicamente nella letteratura e nell’esperienza culturale universale.
Dopo eventi e fenomeni distruttivi di varia origine (spesso dovute a ybris, a infrazione del limite) gli uomini si pongono domande cruciali, come hanno fatto a proposito di Hiroshima, di Auschwitz; lo facciamo oggi, impressionati da eventi climatici estremi, smarriti nella pandemia che ci colpisce nella nostra carne, negli affetti più cari, nei gesti elementari del vivere quotidiano.
- Perché è avvenuto? Gli intellettuali interrogano la storia ponendosi in una prospettiva di lunga durata, per cercare strutture profonde del movimento storico, fenomeni essenziali che ci aiutino a trovare un senso alla vita.
- È possibile una rinascita e come? Tra le risposte frequenti ne individuo due sulle quali intendo schematicamente soffermarmi: il bisogno di ritornare all’umanesimo e l’indicazione di ricominciare dalla scuola.
Ritornare all’umanesimo
Ritornare all’umanesimo è una esigenza sottolineata più volte e da più parti recentemente, nei giorni dell’aggressione della pandemia.
“Occorrerà riflettere sul disuso del sapere umanistico nella nostra società”, dice Chiara Cappelletto, “e sui danni che ne derivano”.
La cultura non è un bene di lusso riservato a pochi snob, bensì uno stato di veglia sulla realtà e sui nostri valori.
Ricominciare dalla scuola
Quanto alla indicazione di ricominciare dalla scuola basti riflettere sulla recente dichiarazione di Parigi (10 novembre 2021): i capi di Stato e di governo riuniti per il Global Education Meeting hanno firmato un appello globale per investire nel futuro della istruzione con il quale si sono solennemente impegnati e hanno chiesto a tutti i Paesi aderenti di investire di più nella scuola: il 4-6% del PIL, almeno per il 15-20% della spesa pubblica. Non si fanno investimenti se non si è sorretti dalla fiducia nei risultati e dalla stima per le persone e i mezzi per raggiungerli (il PNRR italiano stanzia 18 miliardi per la scuola). Essi hanno riconosciuto che “l’Istruzione è la chiave per superare le grandi sfide che stiamo affrontando: la pandemia, i cambiamenti climatici, le disuguaglianze e la povertà sociale ed economica”. È noto che caratteristica strutturale di ogni collasso è la perdita dei saperi. Se i saperi crollano arretra la civiltà, si estremizzano le disuguaglianze sociali 2.
SCUOLA: COSA, PERCHÉ
Cosa oggi deve insegnare la scuola e, innanzitutto, perché? Quest’ultima è una domanda di natura etica, necessaria per dare un senso alle cose che si fanno. Non partiamo dal nulla, giacché possiamo trovare
- riferimenti importanti nella storia, guardando agli umanisti del ‘400-‘500 e
- valide proposte nei documenti internazionali, in particolare l’Agenda ONU 2030.
L’impegno civile degli umanisti del ‘400-‘500
Il fervore degli umanisti negli studi è stato il motore di uno slancio creativo che ha portato allo splendore del Rinascimento in tutte le sue creazioni materiali e immateriali, dalle lettere alle scienze e arti varie, all’urbanistica. Gli umanisti non cercano un rifugio ozioso e compiaciuto nel passato, né vagano in aeree regioni di sognante disimpegno. Dante, pur nella sofferenza di chi sperimenta “…come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” ha la consapevolezza di compiere un viaggio “in pro del mondo che mal vive”.
Afferma Eugenio Garin:
“Nel Rinascimento, gli antichi, ritrovati, aprivano dal passato le vie del futuro… La scoperta di un nuovo testo scientifico non aveva soltanto un valore storico, ma era di immediata utilità pratica… Si realizzò nel Rinascimento una rivoluzione culturale che comportò il rinnovamento di lettere, arti, scienze: pittori, scultori, architetti si incontravano da una parte con gli scienziati e dall’altra con poeti e letterati. I confini tra discipline furono scomposti e reimpostati, i pittori innamorati di prospettiva si immergevano negli studi di matematica. Il recupero dei classici nel ‘400 e nel ‘500 non è mai operazione di pura erudizione, bensì una scelta politico-culturale…”.
Nascono prestigiose accademie a Firenze, Roma, Napoli, Venezia, Milano, Ferrara, Messina, Urbino. A Firenze opera L.B. Alberti (1404-1472) intellettuale versatile, architetto, archeologo, fisico, matematico. Dà sistemazione teorica alla prospettiva inventata da Brunelleschi. È anche un educatore che instaura e propone un rapporto di fiducia tra maestro e allievi, raccomanda la lettura diretta dei testi latini e greci, privilegia l’educazione letteraria in quanto educazione tout-court. Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini sono grandi umanisti e promotori di studi e nel contempo segretari prestigiosi della Repubblica fiorentina tra il 1380 e il 1459. Gli intellettuali umanisti diedero lustro alle corti, ma seppero anche fieramente opporsi ai signori, come fecero a Roma (1468, contro Paolo II), a Milano (1476, contro gli Sforza), a Firenze (1478, contro i Medici). Esercitarono il loro impegno civile ed espressero la capacità creativa nonostante la drammaticità dei tempi, segnati prima da lunghe guerre tra gli Stati italiani fino alla pace di Lodi del 1454 e, dal 1494, dalla dominazione straniera con la discesa di Carlo VIII.
Per il prossimo futuro: Agenda 2030. Educazione di qualità e apprendimento per tutti
L’Agenda 2030 (ONU 2015) impegna i 193 Paesi membri a realizzare, tra gli altri, l’obiettivo 4/17: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti (a questo va correlato l’obiettivo 3/17: assicurare salute e benessere per tutti e per tutte le età).
Il perseguimento di questi obiettivi favorirà certamente la rinascita dopo la pandemia, ma occorre evidenziare la pregnanza e la problematicità di questi obiettivi, a cominciare dal significato di qualità. Non vi è accordo su cosa sia la qualità dell’istruzione, ma è utile far riferimento alle teorie della Total Quality e alle condizioni per la certificazione di qualità in base alle norme UNI EN ISO 9001: va monitorato costantemente ogni elemento del sistema in rapporto alle finalità che si intende raggiungere, compresi la salute e il benessere per tutti gli alunni.
L’obiettivo 4/17 precisa che l’istruzione deve essere inclusiva, ossia, tra l’altro, capace di accoglienza e integrazione dei migranti. Si richiede un impegno organizzativo e culturale per accettare la sfida di classi multietniche, assai diverse da quelle omogenee per provenienza territoriale e socioculturale. L’inclusione comporta anche il riconoscimento e la sussunzione, all’interno dei curricoli, di percorsi informali che ciascun alunno ha seguito prima dell’ingresso a scuola o in contemporanea con la frequenza. Questo consente di valorizzare, certificare e rendere spendibile nel mercato del lavoro il capitale culturale e umano acquisito da un immigrato che nel paese di provenienza ha seguito percorsi formativi di varia durata, talvolta fino alla laurea. Occorrono criteri di equipollenza ampi e flessibili in maniera che si possano compensare segmenti formativi proposti dalla scuola con esperienze esterne e parallele: come già avviene con Erasmus e altri programmi per la mobilità studentesca. All’autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo (DPR 275/99) deve aggiungersi la disponibilità umana e culturale al reciproco riconoscimento nell’incontro tra storie e culture. L’inclusione dovrebbe estendersi alla valorizzazione di competenze e abilità non intercettate dalle nostre pagelle e che gli alunni acquisiscono fuori della scuola, in palestra, a danza, in conservatorio, nei luoghi dell’arte o dello sport, nelle aziende. Si tratta di rendere compatibili con i percorsi canonici, nella misura possibile, la molteplicità di aspirazioni e interessi: la scuola è, infatti, anche luogo di esplorazione, sperimentazione, incoraggiamento di vocazioni, tendenze, aspirazioni e anche di potenziamento di talune rispetto ad altre. Sono già in atto simili esperienze, validate da approfondite ricerche bibliografiche e da numerose consultazioni tra esperti e stakeholder. Si tratta di scenari parecchio diversi da quelli che ancora dominano in talune grigie scuole dove singoli docenti autoreferenziali o interi organismi collegiali scoraggiano esperienze formative all’estero, minacciando ritorsioni o prospettando insuccessi.
L’obiettivo 4/17 parla di scuola equa: dobbiamo far riferimento ad una equità oggettiva misurabile, ma anche all’equità percepita da ciascun allievo che deve sentirsi a suo agio e non collocato nella periferia di percorsi formativi. L’equità rinvia anche alla gravità delle già denunciate diseguaglianze nell’istruzione. L’apprendimento continuo per tutti comporta che la scuola più che dare contenuti definiti, debba proporre competenze utili a rispondere in modo sempre nuovo ad esigenze nuove che si presentano in circostanze varie e nelle fasi diverse della vita: vanno utilizzate tutte le possibilità offerte dalla didattica coniugata con la tecnologia avanzata e con il mondo del digitale.
Questo comporta ricerca, aggiornamento, confronto con decisori politici, partecipazione attiva delle famiglie, dialogo tra associazioni professionali, capacità di utilizzare dati e risultanze di ricerche di organismi nazionali e internazionali (OCSE PISA ,OCSE EAG, IEA PIRLS, IEA TIMSS, CENSIS…).
Da parte di soggetti qualificati si chiede un incremento delle lauree STEM (Science Technology Engineering Mathematics), cui si auspica acceda un maggior numero di ragazze. Siamo pienamente d’accordo sulla necessità di studi in area scientifico-matematica e sulla padronanza di strumenti tecnologici, anche perché va superata la artata separazione tra cultura umanistica e cultura scientifica.
L’Agenda 2030, avviata nel 2016, è urgente, ma non ammette scorciatoie: il percorso formativo normale dalla scuola dell’infanzia all’università dura vent’anni e non si possono incautamente forzare i ritmi di crescita di bambini, adolescenti, giovani. Le skills, le abilità e competenze, vera moneta del 21º secolo, sono l’esito di un processo lento e devono riguardare tutte le valenze della personalità: fisica, cognitiva, emotiva, affettiva, estetica, sociale, economica, politica, spirituale… Occorre più anima negli studi e maggiore capacità di guardare lontano nel futuro.
A quanti si allarmano per il sorpasso dei licei sugli istituti tecnici e professionali e parlano di vocazione alla manualità facciamo notare che alle lauree STEM non si arriva certo in modo più sicuro accedendo all’istruzione professionale e tecnica dopo la terza media. Questo è un equivoco; meglio: un imbroglio. La formazione liceale non è per poeti vanesii e viziati figli di papà. Attraverso gli studi liceali si fa sintesi di contenuti scientifici, metodi di lavoro, aperture all’altro e all’oltre, si fa esperienza di valori umani che, nella loro dinamica teleologica, sono ideali, passioni che danno senso alla vita. I liceali non acquisiscono una specifica professione, che potrebbe svalutarsi in breve tempo, ma si preparano a professioni che non sono state ancora immaginate. Dopo il liceo le ragazze e i ragazzi accedono assai numerosi e con successo alle facoltà scientifiche, diventando medici, architetti, urbanisti, e non scelgono soltanto lauree umanistiche (che, si noti, contribuiscono ad una economia basata sulla cultura e non portano sempre e tutte alla disoccupazione).
Specifici interessi per una formazione tecnico professionale coordinata con le esigenze del territorio possono essere adeguatamente soddisfatti dagli Istituti Tecnici Superiori (ITS Academy), percorsi paralleli a quelli accademici. Non ignoriamo, tuttavia, l’urgenza di riordinare e/o ricostruire corsi dignitosi e appetibili di formazione professionale e tecnica. Vi sono nel mondo, in Europa e in Italia, modelli trasferibili di esperienze positive. Purché non siano corsia per veicoli lenti, riservate, per interessati suggerimenti di orientatori inaffidabili, a ragazzi in difficoltà condannati a rimanere deboli.
SE VIEN MENO LA TENSIONE VALORIALE
Nel 1919 il periodico “La scienza per tutti” (n. 12 anno XXII) pose a varie personalità della cultura un quesito circa le sorti della scienza in seguito al conflitto mondiale.
Giuseppe Tarantino3 risponde che non si arresterà lo sviluppo scientifico né il progresso civile, ma saranno superate semplicistiche concezioni erronee circa “il nostro essere reale e i nostri veri compiti sociali”. Sarà necessario uno sguardo nuovo sull’uomo che noi siamo (homo sum) e con cui ci relazioniamo (nihil humani a me alienum puto). “La scienza”, prosegue il filosofo, “è un grande nutrimento dello spirito, elemento sostanziale della vita, ma non è tutta la vita: e divulsa da tutti gli altri elementi da cui questa è costituita diventa strumento malefico e mostruoso …”.
Circa quindici anni dopo Husserl avrebbe parlato della crisi delle scienze europee come crisi di senso: il sapere non porta più con sé alcuna capacità di rigenerazione né alcuna ispirazione etica…
“Per costruire una teoria della vita”, afferma Tarantino, “bisogna spingersi oltre i confini delle scienze positive”. Ma i totalitarismi fascista, nazista, comunista imponevano ben diverse visioni del mondo e prassi violente, disumanizzanti… Gli spiriti più liberi e le intelligenze più acute si impegnarono in un titanico sforzo di messa in guardia contro fenomeni di ottundimento programmato delle coscienze. “Achtung, Europa!” ammonì Thomas Mann in un memorabile discorso a Budapest nel novembre del 1936: il premio Nobel denunziava il fatto che la propaganda avesse preso il posto dell’educazione, gli individui eludessero le responsabilità̀ personali rifugiandosi nella massa organizzata, si arrivasse ad applaudire per l’abolizione dei diritti dell’uomo, per la negazione di ogni criterio di verità̀, libertà, giustizia.
La conseguenza del disprezzo della ragione è un imbarbarimento morale. Ciò che oggi sarebbe necessario, concludeva il grande scrittore, è un umanesimo militante che scopra la propria forza ed esalti la convinzione che il principio della libertà, della tolleranza e del dubbio non deve lasciarsi sfruttare e sorpassare da un fanatismo senza vergogna e senza dubbi. “Se l’umanesimo europeo è diventato incapace di una gagliarda rinascita delle sue idee; se non è più in grado di rendere la propria anima consapevole di sé stessa in una pugnace alacrità di vita, andrà in rovina e ci sarà un’ Europa, il cui nome non sarà più che un’espressione e da cui sarebbe meglio rifugiarsi nella neutralità fuori del tempo”.
E DOMANI?
Vi sono buone ragioni per guardare con fiducia al futuro e non mancano nel mondo modelli di buone pratiche incentrate sul rispetto dei diritti umani, della giustizia sociale, della diversità culturale.
La scuola ha dimostrato di avere energie e competenze: quando il gelo della pandemia ha fermato la vita, essa in pochi giorni si è organizzata ed è riuscita a mantenere la relazione educativa attraverso la didattica digitale integrata. Si è presa cura dei giovani, ha contrastato il fenomeno del Hikikomori, l’eremitismo sociale che colpisce soprattutto i giovani tra i 14 e i 24 anni. Ma sappiamo tutti che occorre molto altro, che trascenda contenuti, metodi, strumenti, che faccia vibrare gli animi dei giovani.
Una notte, a Gerusalemme…4
Nicodemo, maestro, fariseo, notabile del Sinedrio si era reso conto che occorreva un colpo d’ala per dare un senso alla vita personale e sociale. Si recò di notte da Gesù: “Rabbì”, gli disse, “sappiamo che sei un maestro venuto da Dio…”. Gli chiese cosa fare per accedere al regno di Dio, al mondo dei nuovi valori, quelli delle beatitudini. Gesù gli indicò una strada: bisogna rinascere. “Se uno non rinasce dall’alto (“ἄνωθεν, ànothen, dall’alto, di nuovo”), da acqua e da spirito, non può entrare nel regno di Dio”. E vedendolo sconcertato, soggiunse: “non ti meravigliare (μὴ θαυμάσῃς, mè thaumases) se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va”.
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