Il 14 gennaio 2017 il CDM ha approvato 8 dei 9 decreti della L.107/2015
Il 14 gennaio 2017, in zona Cesarini, il Consiglio dei Ministri ha varato otto dei nove decreti legislativi di attuazione della legge Buona Scuola.
I decreti riguardano:
1. il sistema di formazione iniziale e di accesso all’insegnamento nella scuola secondaria di I e II grado (decreto n.377);
2. la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità (Decreto n.378);
3. la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale (Decreto n.379);
4. l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni (Decreto n.380);
5. il diritto allo studio /Decreto n.381);
6. la promozione e la diffusione della cultura umanistica (Decreto n.382);
7. il riordino della normativa in materia di scuole italiane all’estero(Decreto n.383);
8. l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli Esami di Stato (Decreto n.384).
Per la revisione del decreto mancante, ossia del Testo unico sulla scuola, sarà previsto un disegno di legge delega specifico e successivo. I provvedimenti vanno ora alle Commissioni parlamentari competenti e in Conferenza Unificata per l’apposito parere.
Prima di fornire alcune informazioni e considerazioni sui singoli decreti un rapido giudizio complessivo.
Siamo lontanissimi da alcune basilari riforme che possano ridare un po’ di slancio e speranza alla scuola.
Dagli originari tentativi di cambiare passo del primo documento sulla Buona Scuola, al “pasticciaccio” della L.107/2015 (che ha ammassato in un solo provvedimento la nuova contingente ondata di immissioni in ruolo e la delega su punti fondamentali di riforma) agli odierni decreti attuativi è stato un costante ruzzolare all’indietro, con rigurgiti di conservatorismo buro-sindacale.
IL DECRETO MANCANTE: IL TESTO UNICO SULL’ISTRUZIONE
Una lacuna prevedibile ma con serie conseguenze
Non abbiamo mai creduto che il MIUR arrivasse in tempo a riscrivere l’attuale Testo Unico sulla scuola, D.Lgs 297/1994. Non si trattava infatti di un semplice assemblaggio dell’esistente, ma di mettere mano, tra l’altro, agli Organi Collegiali e allo Stato Giuridico degli insegnanti.
I capitoli dell’attuale Testo Unico sono infatti:
- NORME GENERALI (comprensive degli Organi Collegiali)
- ORDINAMENTO SCOLASTICO
- PERSONALE (comprensivi dello stato giuridico del personale docente direttivo ed ispettivo)
- ORDINAMENTO DELLA AMMINISTRAZIONE CENTRALE E PERIFERICA DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE E DEL RELATIVO PERSONALE
- SCUOLE ITALIANE ALL’ESTERO
Il Testo Unico del 1994 fu varato nella prima fase delle grandi riforme della P.A., iniziata con il Dlgs n.29/1993, che diede il via, tra l’altro, alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Quel Testo Unico, in cui confluirono i famosi Decreti Delegati del 1974, fu frutto di una lunga gestazione e fu realizzato dal Governo Ciampi, con Cassese Ministro della Funzione Pubblica e Rosa Russo Iervolino Ministro dell’Istruzione.
Soltanto l’improvvisazione ha potuto condurre il Miur a inserire la riscrittura del Testo Unico dell’Istruzione al primo posto dei decreti delegati.
Ma quali le conseguenze ora?
Questa lacuna non è però senza conseguenze: ancora una volta si va al Contratto senza avere preliminarmente definito per legge lo Stato Giuridico . Una legge che ponga al primo posto l’interesse degli alunni, risolvendo alla radice alcuni problemi, come precariato e mobilità, due cancri della nostra scuola che i contratti più che risolvere hanno aggravato, o come la carriera docente, fondamentale per una gestione efficace delle scuole autonome, che nella visione miope dei sindacati continua ad essere considerata e propagandata come “caporalato”.
Quanta strada dovremo ancora percorrere per raggiungere quello che in altri Paesi è la normalità
DECRETO 377
FORMAZIONE INIZIALE E ACCESSO NEI RUOLI DI DOCENTE DI SCUOLA SECONDARIA
Cosa dice il decreto
Ci si inoltra nel Decreto 377 Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria” e subito si affonda in quella palude in cui da 50 anni è impantanata la scuola italiana. Il Decreto avrebbe l’ambizione di riformare la normativa sulla formazione varata nel 2009 dal ministro Gelmini, che a sua volta aveva voluto riformare quella di Berlinguer, che a sua volta….ecc…e si risalirebbe al dopoguerra. Ma alla fine della storia ci troviamo nella consueta palude che tutto inghiotte per rigurgitare graduatorie e precariato, ricorsi e sanatorie. E infatti ci vengono proposti i soliti concorsi nazionali, di incerta emanazione, le solite graduatorie triennali ( di norma prolungate ad libitum), le solite sanatorie ( spudoratamente già dentro alla norma generale) per chi sarà bocciato, basta che…paghi, e non è uno scherzo. Il rassegnato Cassese direbbe: “ è l’inesorabile tragedia della perseveranza storica”.
In sintesi i punti fondamentali:
1. Tempi biblici e necessità di altre numerose norme attuative.
Il Decreto entrerà in vigore nell’anno di grazia 2020-21 e perché ciò avvenga occorrono altri 5 provvedimenti normativi: a) 1 DPR ( Regolamento), b) 3 DM, c) 1Contratto; d) l’istituzione di una Conferenza nazionale per la formazione iniziale e l’accesso alla professione docente, che deve decidere quasi su tutto e i cui componenti, provenienti dalla scuola e dall’università, svolgeranno tale compito a titolo volontario, senza nessun compenso , indennità, gettone di presenza, rimborso spese o altre utilità comunque denominate ( sic!) e per i docenti che vi parteciperanno non ci sarà esonero dall’insegnamento (è infatti nota la loro capacità di sdoppiarsi, quand’anche non “uno e trino”). Le materie ancora da normare, considerate per grandi aree, non per singole voci, sono più di otto. Ad essere ottimisti, considerata la durata dei governi in Italia, il provvedimento potrebbe complessivamente passare attraverso 4 governi ( 2 già attraversati!)
2. La lunga attraversata con il miraggio del ruolo (per economia del ragionamento si tralasciano i docenti tecnico pratici e AFAM, il cui percorso è comunque assolutamente omogeneo a quello qui descritto per gli altri docenti)
- Prerequisiti: Possesso di laurea magistrale o a ciclo unico+ almeno 24 crediti formativi universitari CFU in ambiti pedagogici-psicologici-didattici-antropologici ( come, dove si acquisiranno? Lo deciderà un decreto) + competenze linguistiche (livello B2 del Quadro comune europeo) + competenze informatiche e telematiche
- Concorso nazionale biennale su posti presumibilmente vacanti nel biennio successivo ( se la programmazione economica lo consentirà), costituito da due prove scritte e una orale. Vi ha accesso chi ha i requisiti sopradescritti. Chi lo supera è inserito in una graduatoria regionale per i posti messi a concorso maggiorati del 5%. I vincitori scelgono l’ambito e stipulano un contratto con l’USR che prevede quanto di seguito descritto
- Un primo anno di corso di specializzazione a tempo pieno. Dopo il concorso, i vincitori fanno una sorta di TFA gratuito, con lezioni e tirocinio “diretto” presso la scuola e “indiretto” presso l’università, con tutor di scuola e di università. Il corso termina con un esame ( da definire con decreto), chi lo supera ottiene il diploma di specializzazione ( alias abilitazione )
- Un secondo anno nella scuola dell’ambito a fare supplenze e formazione. Chi ha conseguito il diploma di specializzazione è confermato in una scuola dell’ambito a fare supplenze temporanee e a proseguire il tirocinio per acquisire 10 CFU ( le ore saranno stabilite da un decreto). Al termine del 2° anno ci sarà una valutazione intermedia.
- Un terzo anno su posto vacante o disponibile e formazione. Chi ha superato la valutazione intermedia è assegnato a un posto vacante o disponibile e retribuito come su supplenza annuale. Al termine del terzo anno una commissione (da stabilire con decreto) darà una valutazione complessiva.
- Graduatorie regionali per l’accesso al ruolo. Chi ha avuto una valutazione positiva è inserito in una graduatoria regionale sulla base del punteggio acquisito. Gli interessati scelgono l’ambito sulla base della collocazione in graduatoria
3. Sanatorie per i bocciati
I soggetti che non abbiano partecipato al concorso per accedere al diploma di specializzazione o che “non ne siano risultati vincitori “, possono iscriversi ai percorsi di specializzazione attraverso un’apposita distinta graduatoria stabilita sulla base di un semplice test di accesso ( rispetto a 2 prove scritte e 1 orale!!) gestito dalle università interessate. E’ il novello PAS. È considerato titolo prioritario per l’ammissione a questo corso di specializzazione essere titolari di un contratto triennale retribuito di docenza presso una scuola paritaria ( sic!). L’iscrizione a questi percorsi di specializzazione avviene in sovrannumero rispetto ai vincitori del concorso. Le spese della frequenza a tali corsi di specializzazione sono a carico degli interessati. (pecunia non olet)
4. Insegnanti di sostegno: tappe quasi identiche Stesso iter per gli insegnanti di sostegno, con queste varianti: a) una prova scritta aggiuntiva rispetto alle due previste per gli insegnanti curricolari, per l’ammissione al corso di specializzazione; b) formazione e tirocinio sono volti all’acquisizione di un diploma di specializzazione in pedagogia e didattica speciale.
5. Fase transitoria
Per sfinimento unito a una forma di rispetto verso noi stessi e verso chi legge, risparmiamo tutte le tortuose sanatorie che si realizzeranno dall’oggi al 2020, quando dovrebbe andare in vigore la “grande”riforma di formazione iniziale e reclutamento.
L’ADI chiede una moratoria
L’ADi ritiene che solo un radicale cambio di passo consentirà di uscire dalla palude in cui annaspa la scuola.
Pertanto l’ADi chiede una moratoria su questo decreto, sostenendola con due ulteriori motivazioni:
1)formazione e reclutamento sono i punti fondamentali dello stato giuridico, che fa parte del Testo unico che è stato stralciato dai decreti,
2) l’attuale decreto è in aperta contraddizione con le norme generali concorsuali definite dalla legge 107/15 che pur contiene tale delega. La legge prevede ad esempio concorsi triennali, mentre qui sono biennali ecc..
Le proposte ADI su formazione iniziale e reclutamento
Da anni l’ADi propone:
Formazione iniziale
- Uguale modalità di formazione iniziale per la scuola primaria e secondaria, dando la necessaria uniformità di formazione a docenti di scuola primaria e secondaria di 1° grado, al fine di ricomporre realmente i due segmenti in un unico ciclo. Ciò significa:
– istituzione della laurea magistrale ( biennio specialistico) per tutti i docenti con accesso altamente selettivo. I docenti della scuola primaria devono potervi accedere anche da altre lauree triennali, es. lettere, matematica, pedagogia ecc…
– Contestualità del tirocinio nel biennio specialistico della laurea magistrale, senza bisogno di ulteriore anno di specializzazione per i docenti della scuola secondaria: laurea abilitante per docenti di scuola primaria e secondaria.
- Definizione di standard professionali nazionali per la formazione iniziale (biennio specialistico) e per la valutazione finale della laurea abilitante.
- Iscrizione negli albi regionali (divisi territorialmente), dopo il conseguimento dell’abilitazione
Reclutamento
- Eliminazione dei concorsi nazionali , istituzione dei concorsi di scuola o di rete con cadenza annuale,come in Francia, o meglio ogni volta che si è in presenza di posti vacanti stabili, con commissioni esterne, aperti agli iscritti all’Albo territoriale, per assunzione con incarico triennale a Tempo Determinato con formazione (apprendistato).
- Assunzione a tempo indeterminato alla fine del triennio di apprendistato, a seguito di valutazione positiva del comitato di valutazione e tutor basata sugli standard
- Obbligo di permanenza nello stesso istituto per almeno altri 3 anni.
- Possibilità per le scuole di chiamare esperti con contratto privatistico (la normativa fino al 1974)
- Riduzione delle supplenze e nuovo regime. Ridurre le supplenze comporta revisione dell’orario di servizio(30 ore onnicomprensive, di cui fino a 24/25 di insegnamento in caso di necessità). Ove permanga bisogno di supplenze, contratto temporaneo senza punteggio, con chiamata dall’elenco di istituto. No alla raccolta punti, si alla valutazione del curricolo, anche nella forma del portfolio professionale, che può essere accompagnato da un colloquio.
Un nuovo stato giuridico degli insegnanti
Tutte queste proposte hanno necessità di trovare un’organica sistematizzazione entro un nuovo Stato Giuridico (da collocarsi entro la revisione del Testo Unico, Dlgs 297/1994), in cui sia finalmente definita la differenziazione di carriera degli insegnanti con la costituzione della leadership intermedia, entro cui si collocano anche i tutor degli insegnanti. Occorre stabilire con chiarezza ciò che spetta alla legge e ciò che spetta alla contrattazione, per uscire dalle attuali deleterie ambiguità.
DECRETO 378
NORME PER LA PROMOZIONE DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA DEGLI STUDENTI CON DISABILITÀ
Si chiede moratoria di questo decreto insieme a quello su formazione e reclutamento
Ci si era illusi dal comma della delega che qualche seria innovazione potesse essere introdotta, ma ci troviamo al punto di partenza sulla formazione, reclutamento, stato giuridico del personale docente di sostegno. Come sempre le uniche innovazioni sul personale riguardano la quantità, nello specifico si prevede “adeguare i criteri e parametri di riparto dell’organico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA)”. Siamo l’unico Paese al mondo che ha i bidelli, anziché riqualificarli si prevede di aumentarli!
Le motivazioni per la moratoria:
- Non viene definito uno stato giuridico specifico e unico per tutti gli insegnanti di sostegno, il sostegno nella scuola infanzia e primaria rimane diviso da quelli della secondaria
- La formazione rimane differenziata, da un lato scuola dell’infanzia e primaria dall’altro scuola secondaria
- Rimane una professione di passaggio verso le cattedre normali, la proposta di “ferma” per 10 anni sarà spazzata via da accordi sindacali
- Non è garantita la continuità, che viene proposta in termini di “si può” e non di “si deve”
- Gli “organismi territoriali per il supporto all’inclusione”, rimangono organismi legati alla scuola, non al percorso di vita del ragazzo con disabilità.
Le proposte dell’ADi
1) DOCENTI O SPECIALISTI DELL’INCLUSIONE? 2 FASI
Per ADi occorre prima di tutto uscire dal modello dell’insegnante che fa sostegno.
Non vi è dubbio che questo tipo di insegnante resisterà ancora a lungo, considerato il notevole numero delle assunzioni a tempo indeterminato con tale profilo, ma il decreto delegato non dovrebbe limitarsi all’esistente e dovrebbe prevedere due tipi di percorso, uno a breve termine, uno a lungo termine, più precisamente:
- uno di riorganizzazione del ruolo degli attuali insegnanti di sostegno,
- un altro di ridefinizione radicale di un nuovo tipo di professione specialistica di supporto all’inclusione dei bambini e dei giovani con disabilità.
Vediamoli singolarmente
a) 1^ fase. Riorganizzazione del ruolo degli attuali insegnanti di sostegno
Con la legge 8/11/2013, n. 128, è stata eliminata per gli insegnanti di sostegno della scuola secondaria la divisione in aree disciplinari.
Ora è evidente che di questo passaggio occorre trarre tutte le conseguenze.
In particolare:
- Stato giuridico specifico per gli insegnanti di sostegno. Eliminato il collegamento alle discipline, diventa irrazionale equiparare lo stato giuridico e contrattuale di questi insegnanti a quello dei docenti disciplinaristi della scuola secondaria. Occorre invece definire uno stato giuridico e contrattuale specifico e unico per tutti gli insegnanti di sostegno, che ne determini compiutamente il profilo. In questa ottica riteniamo che l’orario con gli alunni debba essere uguale in ogni ordine e grado di scuola, e in particolare ammontare a 25 ore settimanali (prendendo a riferimento l’orario degli insegnanti del grado scolastico dove funziona meglio:la scuola dell’infanzia), a cui vanno aggiunte le 80 ore annuali, oppure, e sarebbe meglio, un orario onnicomprensivo di 30 ore settimanali.
- Stabilità. L’insegnante di sostegno deve garantire stabilità nella scuola e nella rete e non vivere il proprio ruolo come un transito verso la cattedra “ normale”, parimenti gli va garantita stabilità di sede anche se non ancora di ruolo.
- Deontologia e attitudini. Nello stato giuridico, insieme a tutti gli aspetti, vanno anche definiti quelli etico-deontologici, considerato che si è di fronte alla parte più debole e indifesa della popolazione. La valutazione in ingresso e in itinere deve anche tenere conto degli aspetti attitudinali.
- Coinvolgimento degli altri insegnanti e DS. E’ evidente che vanno coinvolti , in varie misure, anche tutti gli altri insegnanti e i dirigenti scolastici. Il “sostegno” non cambierà finchè non cambierà l’attuale rigida organizzazione scolastica in classi e lezioni uniformemente scandite dal suono della campanella.
b) 2^ Fase. Nuovo specialista dell’inclusione dei bambini/giovani con disabilità
L’ADi considera questo secondo percorso la vera svolta a cui tendere, possibilmente in tempi rapidi. Questo specialista dovrebbe essere:
- Professionista nel campo della disabilità. Non è più un insegnante ma un professionista nel campo della disabilità, per grandi aree socio-sanitarie, con formazione universitaria, di cui bisogna costituire il percorso curricolare. Un percorso che comunque non deve coincidere né con quello degli insegnanti della scuola primaria né con quello degli insegnanti disciplinaristi della secondaria.
- Professionista per la scuola ma non solo. E’ un professionista per tutti gli ordini e gradi di scuola, senza distinzione, e non è comunque relegato al solo ambito scolastico. La specializzazione universitaria deve consentirgli di operare per così dire “a mercato aperto” (dipartimenti socio-sanitari, associazionismo, collegamenti con gli ambiti lavorativi, case di cura, ecc). Deve avere un proprio profilo professionale, uno specifico codice di comportamento, un contratto professionale con orario professionale pieno. E nessuna previsione di passaggio alla carriera docente, perché non è un docente e non ha svolto carriera accademica per fare l’insegnante. Il suo compito si svolge nella scuola a sostegno degli insegnanti, ma anche fuori di essa a sostegno delle famiglie ecc.
E’ evidente che questo cambiamento comporta:
– un diversa organizzazione della scuola, molto più flessibile nell’organizzazione dei gruppi,
– una modificazione sostanziale della didattica,
– una costante approfondita formazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici.
2) ORGANISMI TERRITORIALE PER IL SUPPORTO ALL’INCLUSIONE, NON SOLO RIVOLTI ALLA SCUOLA
Gli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione, gestiti dagli Enti Locali, sono assolutamente necessari, ma non devono essere esclusivamente rivolti alla scuola, come appare dal decreto. D’intesa con la Conferenza Stato regioni occorre prevedere:
- un servizio integrato per l’inclusione dei disabili (integrato nel senso che metta in collegamento la rete di scuole, il servizio socio sanitario, il servizio socio-assistenziale degli enti locali, le associazioni delle famiglie e il volontariato di sostegno per l’animazione e il tempo libero), che abbia responsabilità anche gestionali e di direzione, responsabilità per i rapporti con gli specialisti, con le famiglie, con la ricerca e l’università, per la programmazione delle formazione continua, ecc;
- un servizio con funzione anche di sportello unico per i genitori, in modo da costituire un punto di riferimento per le famiglie per il disbrigo delle pratiche burocratiche, per le certificazioni, per i permessi, per le relazioni con enti e altri servizi e per l’aiuto alla collocazione nel mondo del lavoro.
DECRETO 379
REVISIONE DEI PERCORSI DELL’ISTRUZIONE PROFESSIONALE, NEL RISPETTO DELL’ARTICOLO 117 DELLA COSTITUZIONE, NONCHÉ RACCORDO CON I PERCORSI DELL’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE.
Premessa
Questo decreto è stato concepito quando si pensava che passasse la riforma costituzionale che riportava, tra l’altro, l’Istruzione e Formazione Professionale in capo allo Stato. Chiusa quella ipotesi, bisogna oggi aggiustare il tiro, partendo da alcune premesse ineludibili.
- Gli istituti professionali statali detengono il primato non invidiabile della più alta percentuale di abbandoni, con il 38,4% nazionale di studenti dispersi tra il 1° e il 5° anno, percentuale che in tante regioni è vicina al 50%.
- L’istruzione professionale statale è in grave sofferenza, ha un calo di iscritti maggiore degli altri ordini di istituti secondari di 2° grado
- La Istruzione e Formazione Professionale ottiene risultati di gran lunga migliori di quelli dell’Istruzione Professionale Statale in termini di successo formativo e di inserimento nel lavoro.
- Lo sviluppo di una seria ed efficace IeFP in sussidiarietà dentro alle scuole deve fare oggi i conti non solo con la rigidità del sistema scolastico, ma con la questione della sostenibilità delle risorse da parte delle Regioni, a cui oggi spettano oltre i ¾ dei costi.
Il giudizio sul decreto: inadeguato
L’ADi ritiene che il decreto continui ad offrire agli studenti prospettive incoerenti e con una formazione solida e sostenibile. Risulta infatti del tutto inadeguata la soluzione di un terzo anno in classi separate per ottenere la qualifica, quasi mai coerente con l’indirizzo del primo biennio.
E ancora ritiene che il fiume di parole spese sulla flessibilità e sulla riproposizione di obiettivi già da tempo presenti nel Profilo degli Istituti professionali , ma mai realizzati, si scontri di nuovo con l’ostacolo di sempre: la rigidità dell’organico dei docenti. Rimane infatti la clausola secondo cui la ridefinizione dell’organico non deve determinare esuberi (art. 9 comma 4)
Il risultato di tutta l’operazione è molto pesante infatti:
- l’istruzione professionale rimane un istituto tecnico di serie B,
- la qualifica viene relegata in una classe separata al 3° anno, privando gli studenti di un percorso coerente;
- la IeFP, che aveva trovato una sponda nelle scuole con il modello della sussidiarietà complementare ( gli Istituti professionali statali impartivano i percorsi di IeFP),ne esce indebolita.
E ancora una volta a farne le spese sono gli studenti più deboli.
Le proposte dell’ADi
Le proposte dell’ADi richiedono il coinvolgimento determinante delle Regioni, per i poteri esclusivi che hanno mantenuto sulla IeFP e per quelli di legislazione concorrente sull’istruzione.
Ci conforta il Documento della Conferenza delle Regioni del 24 marzo 2016 su “Istruzione e formazione”, in cui si sostiene la prospettiva di una auspicabile unificazione dell’istruzione professionale statale nel sistema dell’istruzione e formazione professionale. Un’affermazione che da tempo avanziamo, sapendo che in altre parti d’Italia, Trento e Bolzano, è già stata realizzata.
L’ADi ritiene che il decreto debba già porre le basi per questa unificazione tra IPS e IeFP.
In particolare da tempo l’ADi propone:
- la trasformazione di una parte degli Istituti Professionali in Istituti Tecnici (Tecnico-Professionali, come era originariamente la legge 40/2007)
- l’utilizzo di una parte consistente degli Istituti Professionali per impartire le qualifiche e i diplomi dell’Istruzione e Formazione professionale, in termini di sussidiarietà complementare, almeno finchè non si trovino altre più radicali soluzioni.
Questo comporta che lo Stato si faccia quasi interamente carico del finanziamento di questi percorsi, tenuto peraltro conto che si propongono in sostituzione degli IPS, e che in essi si assolve l’obbligo di istruzione. Questa soluzione è tanto più importante al SUD dove sono quasi inesistenti i Centri di Formazione Professionale.
Si tratta di un provvedimento attraverso il quale valorizzare e progressivamente unificare “due sistemi entrambi schiacciati, l’uno, l’IeFP, per mancanza di risorse, l’altro, l’IPS, per rigidità di sistema” , come afferma il citato documento delle Regioni.
Spetta inoltre allo Stato un compito fondamentale, già previsto dal D.Lgs 226/2005,ossia la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni della IeFP, in modo da uniformare a livello nazionale una situazione tuttora molto disomogenea.
L’ADI chiede infine che agli Istituti Professionali, che diventano centri per lo svolgimento dell’IeFP, sia accordato uno Statuto speciale, che li liberi dalle pastoie burocratiche attuali e consenta loro autentica autonomia nel reclutamento del personale e nella realizzazione dei curricoli.
DECRETO 380
ISTITUZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI EDUCAZIONE DI ISTRUZIONE DALLA NASCITA SINO A SEI ANNI
Il decreto dopo la bocciatura della corte costituzionale
Il decreto è stato inizialmente impostato su una legge, la L.107/2015, che intendeva omologare, in modo azzardato e per alcuni aspetti inconsistente, due realtà, la scuola dell’infanzia e il nido, molto diverse in termini sia normativi sia quantitativi. Ciò che è avvenuto è noto: il decreto si è scontrato prima con il MEF (i finanziamenti), poi con la Corte Costituzionale per aver scavalcato competenze regionali. In particolare la Corte ha dichiarato incostituzionale il comma 181 lettera e) punto 1.3 della L.107/15, che prevedeva la definizione di:
- standard dei servizi educativi e della scuola dell’infanzia diversificati in base alla tipologia, all’età dei bambini e agli orari di servizio,
- tempi di compresenza del personale dei servizi educativi per l’infanzia e dei docenti di scuola dell’infanzia,
- il coordinamento pedagogico territoriale
- il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione,
Un gran pasticcio questo comma poichè metteva insieme questioni da definire e questioni già definite (la scuola dell’infanzia). La Corte Costituzionale con sentenza 284 del 22/11/2016 ha stabilito l’incostituzionalità della norma specificando che “L’individuazione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia va ricondotta alla competenza del legislatore regionale.” Una sentenza che appare per altro discutibile per quanto concerne gli standard (termine usato in modo ambiguo) relativi alla scuola dell’infanzia, già definiti a livello nazionale. Intendiamo dire che se la Regione ha competenza sugli standard della scuola dell’infanzia deve avere la stessa competenza anche sul resto dell’istruzione, considerato che la scuola dell’infanzia è inserita e normata a pieno titolo nel sistema dell’istruzione. Un bel pasticcio.
Cosa è rimasto del decreto: molto fumo e poco arrosto
Di seguito i punti salienti del decreto:
1. Il sistema integrato 0-6 contiene 2 segmenti ben distinti, che sono :
a) servizi educativi per l’infanzia, articolati in:
1. nido e micronido (da 3 a 36 mesi, orari differenziati, assicurano pasto e riposo);
2. servizi integrativi (spazi gioco; centri per bambini e famiglie; servizi educativi in contesto domiciliare);
3. sezioni primavera (da 24 a 36 mesi, aggregate, di norma, alle scuole per l’infanzia statali o paritarie o inserite nei Poli per l’infanzia).
I servizi educativi per l’infanzia sono gestiti dagli Enti locali in forma diretta o indiretta, da altri enti pubblici o da soggetti privati; le sezioni primavera possono essere gestite anche dallo Stato.
b) scuole dell’infanzia statali e paritarie (3-6 anni).
2. Si istituiscono i poli per l’infanzia. I poli accolgono, in un unico plesso o in edifici vicini, più strutture di educazione e di istruzione per bambine e bambini fino a sei anni di età. Possono essere costituiti anche presso direzioni didattiche o istituti comprensivi statali
3. Piano di azione nazionale pluriennale . Il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, predispone un Piano nazionale pluriennale che, progressivamente estenda il Sistema integrato di educazione e di istruzione su tutto il territorio nazionale, anche attraverso il superamento della fase sperimentale delle sezioni primavera, mediante la loro graduale stabilizzazione e il loro progressivo potenziamento, con l’obiettivo di escludere i servizi educativi per l’infanzia dai servizi pubblici a domanda individuale.
Obiettivi tendenziali:
– raggiungere almeno il 33% di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale;
– generalizzazione della scuola dell’infanzia;
– per gli educatori dei servizi per l’infanzia sarà necessaria la laurea triennale in Scienze dell’educazione o laurea quinquennale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria; tale titolo sarà obbligatorio a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020, rimarranno validi i titoli attualmente in vigore conseguiti entro la data di emanazione di questo decreto;
– coordinamento pedagogico territoriale.
4. Partecipazione economica delle famiglie ai servizi educativi per l‘infanzia. Va definita con intesa in Conferenza unificata la soglia massima di partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia, sia pubblici che privati accreditati.
5. Fondo Nazionale per il Sistema integrato di educazione e istruzione. Per la progressiva attuazione del Piano nazionale pluriennale è istituito presso il MIUR, il Fondo Nazionale per il Sistema integrato di educazione e di istruzione. La dotazione del Fondo Nazionale è pari a 209 milioni di euro per l’anno 2017, 224 milioni di euro per l’anno 2018 e 239 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019.
Il fondo inteso come cofinanziamento della programmazione regionale dei servizi educativi e scolastici per l’infanzia, finanzia:
– interventi di nuove costruzioni, ristrutturazioni, riqualificazione funzionale ed estetica, messa in sicurezza, risparmio energetico di stabili di proprietà delle Amministrazioni pubbliche;
– quota parte delle spese di gestione, in considerazione dei costi dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia;
– la formazione in servizio del personale educativo e docente, ivi compresa la promozione dei coordinamenti pedagogici territoriali, in coerenza con quanto previsto dal Piano nazionale di Formazione di cui alla legge n. 107 del 2015;
Per le scuole dell’infanzia, la progressiva generalizzazione dell’offerta è perseguita tramite la gestione diretta delle scuole statali e il sistema delle scuole paritarie, come previsto dalla legge 10 marzo 2000, n. 62.
Sarà assegnata alla scuola dell’infanzia statale una quota parte delle risorse professionali relativa all’organico di potenziamento.
6. Commissione per li Sistema integrato di educazione e di istruzione. Immancabile la commissione “senza oneri per lo stato” ( nemmeno il rimborso spese!!) che propone al Ministro le Linee Guida per il sistema integrato, e dura in carica 3 anni.
7. La divisione delle competenze fra Stato, Regioni ed Enti Locali
- Lo Stato coordina la progressiva e equa estensione del Sistema integrato di educazione e di istruzione su tutto il territorio nazionale; emana le Linee Guida, promuove azioni di formazione, attiva con le Regioni un sistema di monitoraggio
- Le Regioni programmano e sviluppano il Sistema integrato di educazione e di istruzione sulla base delle indicazioni del Piano di azione nazionale pluriennale ; supportano il personale, promuovono i coordinamenti pedagogici territoriali; concorrono al monitoraggio.
- Gli Enti Locali gestiscono, in forma diretta e indiretta, propri servizi educativi per l’infanzia e proprie scuole, accreditano i servizi privati, realizzano attività di monitoraggio, di coordinamento pedagogico, favoriscono formazione in servizio ecc..
La montagna ha partorito il topolino
Rispetto alla situazione attuale l’unica innovazione pare essere l’obbligo della laurea, a partire dall’anno educativo 2019-20, per gli educatori dei servizi educativi per l’infanzia, accomunando peraltro, in maniera abbastanza demagogica, i servizi integrativi (spazi gioco ecc..) ai nidi e alle sezioni primavera.
I fondi messi a disposizione dallo Stato per lo sviluppo del “sistema integrato” sono una goccia nel mare: 209 milioni di euro per l’anno 2017, 224 milioni di euro per l’anno 2018 e 239 milioni di euro a decorrere dall’anno 2019.Meno del bonus regalato ai diciottenni!
In Italia non abbiamo ancora imparato a fare un uso razionale, efficace ed efficiente, delle risorse. Per esempio si accoglie la richiesta a gran voce di potenziamento dell’organico della scuola dell’infanzia, quando ci sono altre pressanti priorità proprio in quel settore.
Le proposte dell’ADi
Di seguito le tre priorità secondo l’ADi:
1. Generalizzazione della gratuità della scuola dell’infanzia. Attualmente le scuole dell’infanzia statali coprono il 63%, le scuole dell’infanzia comunali il 9%, le scuole paritarie private il 28%. In molte parti del Paese la scelta della scuola paritaria privata è dunque scelta obbligata, con una ingiusta disparità di trattamento. Questa situazione va progressivamente sanata
2. Le scuole dell’infanzia gestite dai Comuni devono essere scuole pubbliche esattamente uguali a quelle statali . E’ inconcepibile continuare a considerare le scuole comunali alla stessa stregua delle paritarie private. Non esiste in nessun Paese una tale dicotomia tra scuola dell’infanzia statale e comunale, e la legge 107 e relativo decreto avrebbero dovuto sanare questa situazione, attraverso due provvedimenti: a) più contributi agli Enti locali, b) omogeneità di condizioni normative e salariali fra insegnanti comunali e statali, con la possibilità, in caso di eventuale statizzazione di scuole comunali, di passaggio allo Stato anche del relativo personale. Solo così si può superare l’attuale situazione di grave precarietà e decadimento delle scuole comunali. E’ miope fare morire di lenta agonia queste scuole, anche perché in alcune grandi città, come Milano e Bologna e altre ancora, rappresentano tuttora la maggioranza e sono stati modelli da imitare e da preservare.
3. Le sezioni primavera devono andare a regime, superando la fase sperimentale, già in questo decreto. Anziché generici e improbabili obiettivi di estensione dei nidi al 33% a livello nazionale, lo sforzo prioritario va concentrato sulla fascia dai 2 ai 3 anni. Nell’a.s. 2014-15 le sezioni primavera (2-3 anni) erano 1277, di cui solo 181 nelle scuole statali. Le sezioni primavera devono evolvere come sezioni di scuola dell’infanzia a tutti gli effetti, quindi anche gratuite, con particolari caratteristiche nel rapporto numerico. Questo laddove non ci sono nidi, e pensiamo soprattutto al Meridione. Dove ci sono i nidi vanno privilegiate e sviluppate le sezioni dei 2 anni, attribuendo ad esse le caratteristiche di scuola. E’ evidente che lo sviluppo delle sezioni primavera necessita di un piano che ne privilegi lo sviluppo nelle zone disagiate e deprivate, dove l’educazione e la cura dei piccoli diventa fondamentale. L’ampliamento della scuola dei 2 anni è stato un obiettivo giusto perseguito dal governo francese . In Francia si mira a scolarizzare il 30% dei bambini con meno di 3 anni nelle Zone a rischio (REP Réseau d’éducation prioritaire) e il 50% nelle Zone a rischio di particolare gravità (REP+ Réseau d’éducation prioritaire renforcé), oggi raggiunge solo il 19%.
In conclusione ci auguriamo che in fase di discussione del decreto questi elementi vengano presi in considerazione insieme ad un uso più razionale delle risorse.
DECRETO 381
EFFETTIVITÀ DEL DIRITTO ALLO STUDIO, IN RELAZIONE AI SERVIZI ALLA PERSONA, AI SERVIZI STRUMENTALI, CARTA DELLO STUDENTE
Ci preme solo avanzare due considerazioni:
- I servizi per il diritto allo studio si trasformino essenzialmente in erogazioni volte al miglioramento dei servizi scolastici per tutti: biblioteche, laboratori, spazi di socializzazione nella scuola, tutorato, trasporti sostenibili, ecc…
- Le erogazioni individuali siano rigorosamente selettive a favore di chi è in condizione di effettiva necessità. In questa ottica non siamo d’accordo sull’esonero dal pagamento delle tasse scolastiche per tutti gli studenti della scuola secondaria di 2° grado, previsto dal decreto. Si usi invece un sistema di discriminazione positiva.
Alla luce di questa impostazione, chiediamo, anche se non si tratta di misura all’interno del decreto, l’immediata revoca del bonus di € 500 ai diciottenni, che costa circa 290 milioni di euro all’anno (n.diciottenni 570.959X500= 285.479.500). Si usino piuttosto per un efficace diritto allo studio
DECRETO 382
PROMOZIONE CULTURA UMANISTICA, VALORIZZAZIONE PATRIMONIO E PRODUZIONI CULTURALI E SOSTEGNO DELLA CREATIVITÀ
Alcune brevi considerazioni
In questo decreto, la cosa più importante è il titolo, che unisce il tema del patrimonio artistico culturale alla creatività
Se si assume questa logica, però, non si possono riproporre, come fa il decreto, elementi di burocratizzazione:
- le abilitazioni degli insegnanti, l’organico (sic!)
- la costituzione di poli. Abbiamo già gli ambiti che non funzionano, le reti che non funzionano, vogliamo aggiungerci anche i poli?
- il “Piano delle arti” fatto con decreto ministeriale. Un aborto annunciato..
- E che dire della chiamata in causa dell’INVALSI a costruire indicatori della creatività? Please….
Due principi per valorizzare le arti e sostenere la creatività
Se si vuole davvero sviluppare la creatività e l’arte nella scuola, occorre essere consapevoli che:
- la creatività non è relegata a qualche disciplina ma pervade tutto l’insegnamento;
- l’educazione all’arte in tutte le sue forme, non può convivere con l’impostazione e l’enciclopedismo degli attuali curricoli bulimici, richiede opzionalità e tempo
Se questo è vero e se è lodevole l’accento alla creatività, si trovino strade non burocratiche per incentivarla, non si soffochi tutto con l’organico degli insegnanti, si lascino le scuole libere di assumere esperti, anche temporaneamente, senza irreggimentare tutto in quel buco nero, che tutto ingurgita e distrugge, che è l’organico dei docenti nel nostro Paese
Sulla creatività riportiamo il notissimo video di Ken Robinson:
DECRETO 383
LA SCUOLA ITALIANA ALL’ESTERO
Non interveniamo al momento sul decreto 383, ci preme solo sottolineare che dopo il Decreto 4 agosto 2010 varato dal Ministero degli affari esteri di concerto con il MIUR, tutti i licei italiani all’estero sono quadriennali. Recita l’art. 1 di tale decreto:
“ A decorrere dall’anno scolastico 2010/2011 tutti i Licei statali italiani all’estero hanno durata quadriennale “
Quando anche in Italia avremo la scuola secondaria di secondo grado quadriennale così da fare finire la scolarizzazione alla maggiore età?
DECRETO 384: VALUTAZIONE, CERTlFICAZIONE DELLE COMPETENZE NEL PRIMO CICLO ED ESAMI DI STATO
1° ciclo: arretramenti e ambiguità rispetto alla bozza di settembre
A) Scompare la votazione in 5 lettere nel 1° ciclo
Nel documento preparatorio presentato a settembre, si prevedeva, per il 1° ciclo, il passaggio ad una valutazione su una scala di 5 lettere (ABCDE) di cui le ultime due parzialmente o decisamente negative. La misura aveva raccolto un largo consenso nel mondo della scuola per ragioni diverse quali:1) attenuazione dell’impatto psicologico di numeri che spesso derivavano da desolanti medie aritmetiche, 2) uso di una scala più razionale e significativa, presente in moti altri Paesi, che peraltro continuava a mantenere la possibilità di dichiarare i livelli non soddisfacenti. Non se ne è fatto niente e la Ministra in una intervista lo ha fermamente ribadito. Timore di levate di scudi degli opinion maker arcigni cultori di una malintesa tradizione?
B) Scompare l’eliminazione della bocciatura nella primaria.
Il documento originario prevedeva l’ impossibilità della ripetenza nella primaria. Anche qui si è rinunciato a questa ipotesi che in realtà costituiva una presa d’atto della realtà più che di un particolare lassismo soprattutto nella primaria, dove le bocciature di fatto non esistono se non per particolari gravissimi motivi.
C) Promozione con la “media complessiva” del 6 nella secondaria 1° grado
Non è sufficientemente chiaro nel decreto se la media complessiva sia indicata con un voto unico o con tutti i singoli voti compresi quelli insufficienti, abbandonando finalmente la pratica tutta italiana del loro occultamento con i famosi 6 del voto di Consiglio. Nel secondo auspicabile caso si farebbe chiarezza, e non si tratterebbe di una bizzarria, ma di una regola da più di un decennio diffusa in altri sistemi scolastici europei che peraltro ci superano nelle valutazioni internazionali. Nel primo caso, invece, la certificazione rimarrebbe opaca, come e più di prima
I contenuti del decreto
1° Ciclo: prove INVALSI ed esame di stato
- Le Prove Invalsi di 2° e 5°primaria rimangono di Italiano e Matematica , a cui si aggiunge in 5^ l’Inglese.
- Le prove INVALSI del 3° anno della secondaria di 1° grado, in italiano, matematica e inglese, vengono tolte dall’esame ed effettuate in periodo precedente con modalità computer based. Esse costituiscono precondizione cogente per l’ammissione all’esame di stato. I risultati per ciascuno studente verranno registrati sull’allegato obbligatorio al diploma che riporta altre informazioni sul curriculo dello studente e sui livelli di competenza raggiunti.
- L’esame di stato si semplifica, tre prove scritte, nelle stesse discipline delle prove INVSALSI, italiano, logica matematica, lingue straniere , e un colloquio. La valutazione finale complessiva è espressa in decimi, il candidato è promosso se consegue una valutazione complessiva di almeno sei decimi.
2° Ciclo: Esame di stato e prove Invalsi
- L’ammissione all’esame sarà possibile con una votazione media non inferiore ai sei decimi compreso il voto di comportamento.
- La terza prova viene cancellata. La struttura delle prove rimane sostanzialmente immutata così come la composizione delle commissioni.
- Le prove INVALSI all’ultimo anno precondizione per l’ammissione all’esame di Stato. Sono computer based anche in modalità adattiva, in italiano, matematica e inglese, ferme restando le rilevazioni già effettuate nella classe seconda.
L’esito di ciascuna prova viene riportato in una specifica sezione del curriculum dello studente. Le Università, sulla base della propria autonomia, possono farvi riferimento per l’accesso ai percorsi accademici.
Valutazione complessiva sul decreto
La parte più positiva del decreto sta nel ruolo assegnato alle prove INVALSI e alla loro valorizzazione, che avviene attraverso almeno quattro provvedimenti:
- d’ora innanzi gli insegnanti e la scuola saranno tenuti a garantirle, essendo la non effettuazione una sospensione di pubblico servizio;
- l’avere sostenuto le prove diventa precondizione cogente per l’ammissione all’esame di stato alla fine del 1° e 2° ciclo scolastico;
- gli esiti delle prove vengono registrati nel curricolo degli studenti
- le Università sono invitate a tenerne conto per l’ammissione ai corsi accademici. In ultima analisi, sia rispetto all’Università che al mondo del lavoro, le prove INVALSI vengono considerate una lettura più attendibile delle competenze dello studente rispetto a quella dell’ormai screditato esame di maturità
Consideriamo sbagliato avere eliminato la votazione in lettere, che andava invece estesa anche al 2° ciclo.
Riteniamo assolutamente esagerato lo scandalo suscitato dall’ammissione all’esame di stato della secondaria di 2° grado con una votazione media non inferiore a sei. Solo gli opinion makers e le professoresse di liceo che scrivono le lettere ai giornali non si sono ancora accorti che la maturità non è più una cosa seria. Perciò hanno alzato grida di dolore di fronte alla possibilità di essere ammessi con alcune insufficienze , non ricordando che solo la Gelmini introdusse l’obbligo del 6 in tutte le discipline- peraltro ovviamente subito eluso-rispetto alle regole ben più lasche della vecchia maturità. Obbligo che peraltro dopo un primo anno in cui era stato inavvertitamente preso sul serio non cambiò poi di un ette i numeri degli ammessi, dei promossi e dei bocciati. Se c’è un’osservazione da fare è che la media aritmetica pone altre rigidità e l’inserimento del voto di condotta in tale media non è assolutamente appropriato, se non altro perché un 5 in condotta decreta di per sé la bocciatura. Se si fosse adottata la valutazione con le 5 lettere (A,B,C,D,E ) sia nel primo che nel secondo ciclo, si sarebbe evitata la media aritmetica dei voti numerici!
Infine deve essere chiaro, e il decreto non lo è affatto, che media complessiva nella secondaria di 1° grado e votazione media nella secondaria di 2° grado, non significa rendere pubblica solo la media dei voti, ma agire come era scritto nella bozza di settembre e cioè:
– 1° ciclo:
“ valutare un alunno non è calcolare la media aritmetica delle singole verifiche, ma individuare le sue reali competenze. Le valutazioni negative sono comunque comunicate in modo chiaro e trasparente agli studenti e alle famiglie.
– Esame di stato 2^ ciclo:
Nel diploma sono riportati: risultati prove d’esame; voti d’ammissione ed eventuali lacune riscontrate in sede di scrutinio per l’ammissione, esiti prove Invalsi