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CHINCAGLIERIA SCOLASTICA

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Il decreto sull’istruzione è l’esposizione di ogni sorta di chincaglierie scolastiche. Nessuna selezione delle priorità, e peggio nessuna idea di scuola: tratto drammaticamente comune a tutti i partiti. Non ci uniamo nemmeno al coro del ” meno male si ricomincia a spendere per l’istruzione!”. Spendere più soldi non è positivo di per sé, dipende da come si spendono. All’interno un’analisi-commento del decreto e le priorità, anzi la priorità, secondo l’ADi.

OVVERO IL DL 104/2013 SULL’ISTRUZIONE

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Lo sconforto ci ha finora trattenuti dal commentare il DL 104 del 12 settembre 2013 dedicato all’istruzione.

Cosa si può dire di fronte all’esposizione di ogni sorta di chincaglierie, un suq dell’istruzione, quando la gravità della situazione richiederebbe di selezionare poche priorità, e posare in opera  qualche architrave a puntellare il sistema?

La lettura poi dei 590 emendamenti rende ancora più deprimente il quadro, un paniere con le più disparate richieste, che danno l’idea che nessun partito in questo Paese ha elaborato una politica seria sulla scuola. Diciamo meglio: non c’è un’idea di scuola.

Alla fine, di fronte alle tante domande dei colleghi, “Ma l’ADi cosa ne pensa?”, abbiamo sentito il dovere di esprimere alcune sintetiche considerazioni, che di seguito indichiamo.

1) Il paradosso di questo decreto legge: in epoca di carestia ha tutti i caratteri dello spreco.

br-chinc2Spendere più soldi non è positivo di per sé, dipende da come si spendono.

E qui non si brilla certo per capacità di individuare gli obiettivi su cui concentrare le risorse, né, tantomeno si manifesta la volontà di analizzare le ragioni dei precedenti fallimenti e di verificare d’ora in poi i risultati e trarne le conseguenze.

E’ la cultura del MIUR che ancora una volta si impone, quella di un potere centralistico che nel nostro paese non ha mai funzionato perché non c’è una amministrazione competente che lo sorregga.

 

2) L’esposizione della chincaglieria    

br-chinc3Forse per dare l’impressione di attivismo e di impegno a coprire tutti i possibili aspetti problematici della nostra scuola, senza trascurarne alcuno, finisce per ignorarli tutti… meno uno, come si vedrà.

  • Il Welfare per lo studente, comunemente definito “diritto allo studio” diventa una semplice e modesta elargizione o integrazione di fondi;
  • la tutela della salute non è nient’altro che pubblicità per il “consumo equo o solidale”;
  • il potenziamento dell’offerta formativa si trasforma in progetti a concorso e in un ulteriore carico di un’ora di geografia nei tecnici e professionali oberati di materie teoriche e privi di apprendimenti tecnico-pratici;
  • l’apertura pomeridiana delle scuole e la prevenzione della dispersione, già oggetto di circolari, decreti ed ogni sorta di sollecitazione burocratica, si riduce alla riscoperta del vecchio doposcuola, in particolare nella primaria, con l’aiuto di volontari;
  • l’orientamento, argomento dibattuto da almeno mezzo secolo, viene risolto con una massiccia campagna di propaganda fide a cui saranno costretti migliaia di docenti colpevoli di essere poco informati sul mercato del lavoro e delle professioni;
  • il problema del dimensionamento delle scuole, che dura ormai dalla sua inaugurazione nel lontano 1998 (DPR 18 giugno 1998, n. 233), si riduce e consegnare il dossier alla conferenza Stato Regioni, senza alcuna garanzia;
  • al fallimento della selezione dei dirigenti scolastici si risponde consegnando l’intera partita alla Scuola Nazionale dell’amministrazione, riducendo inevitabilmente la funzione di direzione di una scuola a una pratica burocratica, e il preside a un amministratore delegato dallo Stato;
  • la formazione in servizio degli insegnanti, dispersa in una generica e improbabile massa di materie e obiettivi per il “potenziamento”, il “rafforzamento”, l’“aumento”  ecc. , viene concepita come una campagna di mobilitazione, predisposta dal…ministero!

Tutto questo agitarsi del decreto serve forse a confondere le acque per l’ennesima immissione in ruolo dei precari, senza nessun ripensamento circa le modalità di reclutamento insieme a forme rigorose di selezione all’accesso (basti vedere come si procede con i PAS).

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 1 (Welfare dello studente) e articolo 2 (Diritto allo studio)[/stextbox]

br-chinc4Che lo stato italiano spenda poco per il diritto allo studio è un dato di fatto, come dimostra la comparazione internazionale.

Ma se il problema è veramente grave per l’istruzione terziaria, non lo è altrettanto per i livelli inferiori, dove è tutto da dimostrare che questo modesto contributo possa “favorire il raggiungimento dei più alti livelli negli studi nonché il conseguimento del pieno successo formativo”.

È noto che le cause dell’abbandono scolastico non sono dovute alla scarsa propensione delle famiglie a spendere per far studiare i figli, quanto piuttosto alla difficoltà di affrontare i rischi di una scolarizzazione lunga a fronte dei mediocri risultati o al cumulo degli insuccessi degli stessi. La formulazione costituzionale sul diritto allo studio (“meritevoli e privi di mezzi”) mostra tutti i suoi anni: una attuazione rigorosa di questo criterio rischierebbe di premiare i soliti noti (compresi gli evasori), per i quali l’incentivazione economica non ha alcun effetto aggiuntivo.

Comunque queste provvidenze possono favorire la frequenza di alcuni studenti, non certo il loro successo scolastico.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 4 (Tutela della salute nelle scuole)[/stextbox]

br-chinc5L’articolo estende il divieto di fumare (L. 3/03) anche nelle aree all’aperto delle scuole e coglie l’occasione per vietare l’uso delle sigarette elettroniche in tutte le scuole e gli ambienti formativi possibili e immaginabili.

È solo il caso di annotare che un Paese dove occorre una legge (“necessaria e urgente”) per evitare che nella scuola si adottino comportamenti dannosi per la salute è certamente uno strano paese.

Peggio ancora per l’ultimo comma, dove si impone al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di dettare programmi per “favorire il consumo  consapevole dei prodotti ortofrutticoli nelle scuole”, per cui non si sa se la disposizione è stata concepita perché nelle mense scolastiche i nostri alunni lasciano sui piatti patate, zucchine e insalate varie, oppure per stroncare il commercio – poco equo e solidale –  delle merendine “industriali”.

Ci mancava solo l’ortofrutta…

(PS: alcuni emendamenti propongono sulla stessa linea che nelle scuole si utilizzino solo i prodotti “a chilometro zero”)

Comunque il Ministro, per coerenza, avrebbe anche dovuto imporre il tempo di mensa e di ricreazione, in modo tale che tutti gli allievi possano mangiare non solo equamente e solidarmente, ma anche lentamente, come dettano le norme igieniche e le regole dello “Slow Food”.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 5 (Potenziamento dell’offerta formativa)[/stextbox]

br-chinc6L’idea di aumentare di un’ora di “geografia generale ed economica” l’orario degli istituti tecnici e professionali, è veramente il capolavoro della bigiotteria scolastica del decreto. Sarebbe interessante sapere da quale lobby di geografi o di precari è venuta l’idea di punire con questa ulteriore gabella un curricolo già fornitissimo di discipline, con un orario saturo di lezioni frontali e una pagella irta di voti.

La geografia è, senza dubbio, una disciplina di base e viene insegnata dai colleghi di lettere,  che abbiano superato almeno un esame universitario di geografia generale e descrittiva. Ora si aggiunge anche quella “economica” in omaggio forse alla globalizzazione, e al “potenziamento” degli organici con 287 cattedre di lettere.

Resta il fatto che 33 ore di corso (e un voto in più) non accresceranno di un acca le competenze degli allievi in questo campo ed è probabile che nella programmazione e nella valutazione faranno la fine di quelle di religione.

I progetti didattici  sono il solito versamento a pioggia che serve solo a rafforzare il potere degli uffici ministeriali che vi sono coinvolti.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 6 (Riduzione del costo dei libri scolastici)[/stextbox]

br-chinc7In mezzo a tanta banalità e dispersione di risorse, l’articolo 6 nel primo comma, non si sa con quanta “piena coscienza e deliberata volontà”, decreta che l’adozione dei libri di testo in ogni ordine e grado di scuola è facoltativa.

Tutti ricordano le sacrosante battaglie di molti colleghi per sostituire i libri di testo con “materiali alternativi” più pertinenti coi nuovi metodi didattici, ora il loro impegno è stato coronato da un insperato successo.

È l’inizio di un processo che avrà effetti di vasta portata, soprattutto se si pensa alla graduale ma inevitabile ingresso nella scuola di insegnanti sempre più competenti nell’uso professionale delle tecnologie digitali.

Già da anni era chiaro l’assurdo di adottare libri di testo per materie eminentemente “operative” o pratiche come la musica, l’arte, l’educazione tecnologica, per non parlare dell’educazione fisica e della religione.

Queste adozioni per molti anni sono servite a compensare l’incompetenza di molti colleghi assunti con criteri che poco avevano a che fare con l’insegnamento: per insegnare musica si superava un esame il cui unico oggetto di studio era la storia della musica di Massimo Mila; molti furono gli avvocati assunti per insegnare inglese o francese, e così via.

Oggi le cose sono migliorate e molti colleghi possono fare a meno del libro di testo. E il libro di testo può diventare la conclusione di un percorso di apprendimento e non il suo presupposto.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 7 (Apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica)[/stextbox]

br-chinc8In mancanza di risorse, ma nell’intento di mantenere una promessa programmatica del Ministro, l’articolo promuove un surrogato del tempo pieno, che viene definito “didattica integrativa”, il quale contempla tra l’altro, ove possibile, “il prolungamento dell’orario scolastico per gruppi di studenti con particolare riferimento alla scuola primaria”.

Nella realtà si tratta del tanto vituperato doposcuola.

Ma siccome secondo il Ministero le scuole (e i loro insegnanti) sono incapaci di fare da sole, sarà l’ennesimo decreto ministeriale a stabilire quasi tutto:

1. obiettivi, ma anche il “rafforzamento delle competenze di base”, ché qualcuno non pensasse ad attività ricreative;
2. i metodi didattici, che saranno i più avanzati e dovranno essere appresi ed applicati da tutti i docenti;
3. percorsi specifici per gli studenti in difficoltà esposti a rischio di abbandono (già alle elementari!).

Il decreto stabilirà anche i criteri di scelta delle scuole, le modalità di assegnazione delle risorse e la possibilità per le scuole di avvalersi della collaborazione di associazioni, fondazioni provate senza scopo di lucro e … dulcis in fundo anche il monitoraggio, dove sarebbe stato invece fondamentale prevedere una rigorosa valutazione dell’utilizzo di questi fondi e dei risultati ottenuti.

L’iniziativa è definita “sperimentale”, alla vecchia maniera: l’estensore dell’articolo non sa che tutto questo era abbondantemente previsto dal decreto 275/99 ( Regolamento sull’autonomia) e, in particolare, dall’art.11 sull’“innovazione”.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Articolo 12 (Dimensionamento delle istituzioni scolastiche)[/stextbox]

br-chinc9L’articolo si occupa per l’ennesima volta (dal 1998!) del dimensionamento “ottimale” delle istituzioni scolastiche dopo la sbrigativa forzatura operata dalla legge 111 del 2011.

Ora si ritorna alla normalità.

In questo caso la normalità è che chi paga (il Miur) NON decide e chi non paga (Le Regioni) detta le regole.

Questa situazione di irresponsabilità non ha nulla a che fare con la qualità del servizio, dato che tutti gli interessi, le rivendicazioni e le contestazioni si concentrano sul mantenimento o meno di posti, cattedre, segretari e dirigenti scolastici, che rappresentano per i politici ad ogni livello l’unico attributo comprensibile della qualità di una scuola. Il risultato è stato insieme di sovradimensionamenti ingestibili e di perduranti sottodimensionamenti.

La legislazione precedente aveva il merito, se non altro, di prevedere alcune sanzioni che potevano servire da deterrente a comportamenti di elusione e di evasione dalle norme generali.

Ora invece tutto viene rimesso al tavolo delle trattative con la Conferenza unificata Stato–Regioni, dove gli unici ad avere obiettivi chiari sono proprio quelli che non hanno nulla da spendere. A quando una decentralizzazione seria? A nessuno è nemmeno venuto in mente che dal giugno scorso giace in sonno l’ennesimo tentativo di accordo Stato–Regioni per l’applicazione del Titolo V in materia d’istruzione ( v. Sarà la volta buona? )

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Art. 15 (Personale scolastico)[/stextbox]

br-chinc11E veniamo alle assunzioni. Inutile dire che non c’è nemmeno uno straccio di analisi delle storture che si stanno verificando, dai PAS ai concorsi. Avanti tutta per inerzia….

Oltre al solito annuncio del piano triennale, il pezzo forte è costituito dall’assunzione di 26.684 docenti di sostegno.

Recentemente il sottosegretario Rossi Doria ha ricordato che vi sono 102.000 insegnanti di sostegno a fronte di 203.000 bambini con disabilità con un costo annuo di 4 miliardi di euro: una cifra che pone l’Italia al primo posto nell’area Ocse.

Senza nulla togliere al principio di “civiltà” che sottende la politica scolastica italiana in tema di integrazione delle disabilità, si sa benissimo che nonostante questo altissimo impegno di spesa le cose non vanno bene, soprattutto nella scuola secondaria.

Un ripensamento sulle modalità organizzative, sugli investimenti nelle infrastrutture ed attrezzature didattiche specifiche, sulla preparazione degli insegnanti di sostegno, e non solo, si imporrebbe.

Non è pensabile di risolvere il problema con un aumento progressivo dei docenti di sostegno fino ad arrivare al rapporto 1 a 1 o anche di più, considerato che ci sono recenti sentenze che affermano che il ragazzo disabile ha diritto al sostegno per tutto l’orario scolastico.

A questo proposito, una domanda: perché gli insegnanti di sostegno della secondaria devono avere un orario cattedra diverso da quelli della primaria? Se si pensa al salto che il bambino disabile compie nel passaggio dalla primaria alla secondaria di 1° grado, non viene spontaneo chiedersi perché chi dovrebbe poterlo seguire in questo delicato passaggio si trova ad avere una condizione giuridica e un orario di servizio diverso? Scuola primaria e secondaria di 1° grado non fanno forse parte di un ciclo unico, il primo ciclo? Il ragionamento è ovviamente estensibile al 2° ciclo.

Ma si sa l’orario di servizio è un altro tabù e quando lo si affronta lo si fa in modo assolutamente sbagliato. Bisogna rompere le uniformità, tanto care ai sindacati!

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Art. 16  (Formazione del personale scolastico)[/stextbox]

br-chinc12Tanto osò: la formazione obbligatoria! E adesso in commissione e fuori monta la sommossa: “obbligo  noooo!”.  

La formazione/aggiornamento ha una lunga storia in Italia, che l’ADi ripercorse nel 2008 con la pubblicazione Così è se vi pare.

Si tratta di un aspetto centrale, non secondario o accessorio o aggiuntivo, di ogni funzione, in specie di tipo intellettuale; è elemento costitutivo della professione, in quanto contribuisce a ridefinirne costantemente il contenuto ed il valore a fronte del passare del tempo.

Ed è compito primario dei professionisti stessi coltivare la propria formazione, che è attività intrinsecamente collegata allo sviluppo professionale e sempre più dovrà essere collegiale e collaborativa.  In altri Paesi è comunemente definita CPD, Continuous Professional Development, Sviluppo professionale continuo.

Si tratta di un’attività che, fra le altre cose, ripropone l’obiettivo posto dall’ADi dell’orario onnicomprensivo.

E cosa stabilisce il decreto? Una raffica di obiettivi, di competenze predefinite, da conseguirsi con modalità predisposte da… decreto del Ministro! Non abbiamo parole.

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Art. 17 (Dirigenti scolastici)[/stextbox]

br-chinc13E… dulcis in fundo, il reclutamento dei dirigenti scolastici.

Dopo il fallimento, e i risvolti persino grotteschi dell’ultimo concorso a dirigente scolastico, il decreto ci dà la soluzione: “Il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizza mediante corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola nazionale dell’amministrazione. Il corso-concorso viene bandito annualmente per tutti i posti vacanti”.

Per prima cosa  viene spontaneo sottolineare  l’affermazione esilarante “corso-concorso bandito annualmente”. Sono stati impiegati 9 anni a concluderne uno (v. Sicilia) e non sappiamo in quale “era” sarà completamente terminato quello iniziato due anni fa. Suvvia….

Ma al di là di facili battute consideriamo assolutamente sbagliato affidare la formazione dei dirigenti scolastici (perché non torniamo a chiamarli presidi?) alla Scuola nazionale dell’amministrazione, che, tra l’altro, ne accentuerebbe gli aspetti amministrativi, tralasciando completamente le caratteristiche di leader educativo. Non potremmo ogni tanto guardare a ciò che fanno negli altri Paesi? Il traguardo della dirigenza scolastica ha passaggi intermedi di carriera, comincia da capo dipartimento, poi  vicario fino a dirigente scolastico, con un percorso che è insieme di formazione in istituti appositi e di tirocinio attraverso una progressione di ruoli svolti nella scuola. Ed infine  il reclutamento avviene a livello decentrato. Basta concorsi nazionali  banditi dal ministero!

[stextbox id=”info” mright=”150″ image=”null”]Alcune eloquenti tabelle relative al DL Istruzione[/stextbox]

[stextbox id=”white” image=”null” caption=”Rapporto % tra spesa totale (2013-2016) per l’assunzione in ruolo del personale e spesa per altre materie oggetto del decreto”]

totale % 2013 2014 2015 2016
Assunzioni in ruolo (art.15) 220.619 97,7 21.772 83.315 115.532
Altro (totale) 562,12 0,3 13 187,2 188,46 173,46
totale 221.181,12 100 13 21.959,2 83.503,46 115705,46

[/stextbox]

[stextbox id=”white” caption=”Distribuzione della spesa (in milioni di euro, 2013-2016) per l’istruzione esclusa la spesa per la sistemazione del personale” image=”null”]br-chinc14[/stextbox]

[stextbox id=”white” caption=”Numero (e %) degli emendamenti al Decreto legge 104/2013 sull’istruzione presentati alla VII commissione istruzione della Camera dei Deputati” image=”null”]

OGGETTO n.a. %
Welfare studenti (art.1) 14 3
diritto allo studio (art.2) 37 7
Borse di studio (art.3) 13 3
salute nelle scuole (art.4) 26 5
potenziamento offerta formativa (art. 5) 30 6
Libri di testo (art.6) 40 8
Apertura delle scuole (art.7) 37 7
Orientamento (art.8) 22 4
Permessi di soggiorno (art.9) 4 1
Edilizia scolastica (art.10) 29 6
Wireless nelle scuole (art. 11) 8 2
dimensionamento ist. Sc. (art.12) 17 3
Anagrafe studenti (art.13) 8 2
ITS (art.14) 4 1
Personale scoalstico (art.15) 101 20
Formazione del personale (art.16) 31 6
Dirigenti scoalstici (art17) 28 6
Dirigenti tecnici (art.18) 7 1
Alta formazione (art.19) 51 10
totale 507 100

[/stextbox]

e altri ancora…..

L’ADI INDICA UNA SOLA PRIORITA’ PER IL 2014! 

Fusione di istruzione professionale statale e formazione professionale regionale mediante la creazione  di Istituti a Statuto Speciale  

[stextbox id=”grey” image=”null”]Istituto professionale a statuto speciale[/stextbox]

L’istruzione professionale statale è stata distrutta, omologata al ribasso a quella tecnica, caricata di un enorme peso di materie teoriche, privata di essenziali attività tecnico pratiche. Istituti  dove il tasso di assenteismo e di abbandono è altissimo. Un costo sociale incommensurabile.

Occorrono decisioni coraggiose, ormai indilazionabili: si attui la fusione fra istruzione professionale statale e formazione professionale regionale, fondata su una reale alternanza scuola-lavoro.

Si dia a questi nuovi istituti uno statuto speciale. Diventino quelli che l’ADi ha chiamato Istituti a Statuto Speciale, con il massimo di autonomia nella costruzione del curricolo e nella gestione del personale.  Si investa su questo progetto ponendo precisi obiettivi in termini di drastico calo degli abbandoni e delle ripetenze, con rigorosa valutazione dei risultati.