IL FASCINO INDISCRETO DELL’INNOVAZIONE
Un seminario rigoroso e approfondito in un’atmosfera gioiosa
I seminari ADi di fine estate sono una sorta di immersione nelle questioni cruciali dell’istruzione e di collettiva riemersione a scorgere nuovi orizzonti. Una ricarica di energia e di positive sollecitazioni per l’anno scolastico che si apre.
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E poichè non si dà “ricarica” entro atmosfere depresse, questi seminari si intrecciano sempre con momenti distensivi e ludici che creano un ambiente vivace, accogliente ed amicale.
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Così è stato a Lecce, dove accanto al dipanarsi di quattro dense sessioni seminariali, la splendida piazza del Duomo ha suscitato emozioni intense, le escursioni a Otranto e Gallipoli hanno regalato piacevolissimi momenti di evasione e la visita alla sagra del vino a Carpignano salentino ha scatenato tutti nella “pizzica”, Bottani in testa, trascinati dall’irrefrenabile Elvira.
[stextbox id=”warning” mleft=”50″ mright=”50″ image=”null”]Le quattro sessioni del seminario[/stextbox]
Le quattro sessioni hanno affrontato diversi temi dell’innovazione nella seguente successione:
1) L’innovazione didattica;
2) L’innovazione professionale;
3) L’innovazione organizzativa;
4) l’innovazione valutativa.
[stextbox id=”info” image=”null”]1. L’innovazione didattica[/stextbox]
1) Ha aperto la sessione Graziano Cecchinato con un’avvincente relazione sulla Flipped classroom. Nello scenario delle tecnologie 2.0, questa pratica, che si sta diffondendo soprattutto negli Stati Uniti, prevede di capovolgere (to flip) i due momenti classici dell’attività didattica: la lezione frontale in classe e lo studio individuale a casa. Grazie alla disponibilità di videolezioni, di prodotti multimediali, di strumenti interattivi, la “lezione” si sposta al di fuori delle mura scolastiche, consentendo una fruizione dei contenuti con i tempi e i ritmi che ogni studente può determinare, mentre la fase di riflessione e di esercitazione si svolge a scuola, sotto la guida e il sostegno del docente. Le implicazioni pedagogiche di questa inversione sono molteplici, dalla personalizzazione dell’apprendimento nella prima inversione, all’attivismo (Dewey) e al peer learning nella seconda, aprendo le porte al discovery learning (Bruner), all’inquiry learning (Rutherford), all’experiential learning (Kolb), al costruttivismo (Jonassen) al connettivismo (Siemens).
La relazione ha fornito un’analisi dei presupposti psico-pedagogici della flipped classroom, una descrizione degli strumenti applicativi e delle pratiche didattiche ad essa connessi e infine un esame dei nodi problematici che questa trasformazione porta con sè.
2) La seconda relazione è stata svolta da Anna Pascucci, che ha illustrato, con un “lussureggiante” repertorio di immagini, il programma “Scientiam Inquirendo Discere”, di cui è responsabile, nato da un’interessante e proficua collaborazione con Pierre Léna , uno dei creatori del progetto francese La main à la pâte.
Il progetto, che vede coinvolti il MIUR e l’Accademia dei Lincei, si propone di disseminare in Italia il metodo IBSE (Inquiry-Based-Science-Education) rilanciato dalla Commissione Europea con il Rapporto Rocard (2007).
3) Ha concluso la sessione Silvia Faggioli con un’analisi e una concreta dimostrazione dello Spaced learning, o Apprendimento intervallato. Questa metodologia introdotta e presentata da Paul Kelley al seminario internazionale dell’ADi 2012 , O la scuola o la vita, è caratterizzata da un’impostazione strutturata dell’apprendimento, tre input separati da due pause di 10 minuti, che dovrebbe aiutare ad inglobare le informazioni nella memoria a lungo termine. Silvia Faggioli ha sperimentato questo metodo con alcuni gruppi di suoi studenti. Questo ha reso particolarmente interessante la relazione, perché le ha permesso di mettere in evidenza sia gli aspetti positivi sia quelli problematici, basandosi sui risultati, sulle reazioni e sui commenti dei suoi studenti. Alla luce dei risultati ottenuti, Faggioli considera particolarmente utile lo Spaced learning per le fasi del “recupero”.
[stextbox id=”info” image=”null”]2. L’innovazione professionale[/stextbox]
1) La seconda sessione è stata aperta dalla relazione di Alessandra Cenerini, Il capitale professionale. Cosa dicono le indagini internazionali. La presidente dell’ADi ha aperto il suo intervento illustrando le caratteristiche della professione docente in tre Paesi che hanno ottenuto ottimi risultati in PISA: Singapore, Canada (Ontario), Finlandia.
Ha quindi analizzando i caratteri emergenti della docenza nel secondo decennio del XXI secolo, facendo in particolare riferimento alla ricerca di M.Fullan e A. Hargreaves, Professional Capital (2012). Definitivamente archiviata l’esaltazione del bravo insegnante “solitario”e le conseguenti politiche di premi individuali al merito, sta emergendo il concetto di capitale professionale, costituito da tre elementi interconnessi: 1) il capitale umano, 2) il capitale sociale,3) il capitale decisionale.
Cenerini ha quindi analizzato l’evoluzione della professione docente all’interno delle quattro tappe che caratterizzano i processi di miglioramento in molti sistemi scolastici con il passaggio da politiche top down alla piena autonomia professionale, dall’assoluta centralizzazione della gestione alla progressiva, differenziata, decentralizzazione.
Alla luce di questo complesso panorama internazionale Cenerini ha infine delineato le indicazioni più rilevanti da cogliere per l’Italia.
2) La seconda e ultima relazione è stata svolta da Rosario Drago, Il mio primo anno di scuola, agenda rapida per presidi alle prime armi, rivolta in primo luogo (ma non solo) ai dirigenti scolastici vincitori del recente concorso. Da consumato “affabulatore”, Drago ha catturato l’attenzione dei partecipanti, snocciolando non un manuale di management, ma una guida per non affogare tra i flutti del mare in tempesta dell’inizio “italiano” dell’anno scolastico, che coincide per i vincitori del concorso con la prima (o quasi) esperienza di direzione. Drago ha inteso fornire una sorta di “salvagente”, per restare a galla, che è la condizione necessaria (ma non sufficiente), come ha ben chiarito, per imparare a nuotare. Ha quindi presentato una mappa degli scogli che bisogna evitare, e una serie di caveat per riuscire nello scopo. La relazione è stata ricca, articolata e molto utile non solo per i presidi principianti.
[stextbox id=”info” image=”null”]3. L’innovazione organizzativa[/stextbox]
1) Cristina Bonaglia, con il valido contributo di Mariagrazia Marcarini, ha dato il via alla terza sessione con la relazione Le classi senza aule e la scuola senza classi. Partendo da esperienze già in gran parte realizzate nel suo istituto, Bonaglia ha affrontato il tema importantissimo di un diverso utilizzo e di nuove configurazioni degli spazi a supporto della didattica.
In particolare si è soffermata sull’esperienza, da lei effettuata all’ISS Fermi di Mantova, delle classi senza aule (assegnate ai singoli insegnanti anziché alle classi), per giungere all’ipotesi della scuola senza classi, con la creazione di un’organizzazione più flessibile. Una relazione estremamente interessante che ha integrato gli aspetti teorici con le realizzazioni pratiche, dimostrando che spesso, se se ne ha la volontà, si possono introdurre innovazioni, anche con costi limitati.
2) La seconda relazione, Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Una rivoluzione dell’assetto organizzativo, strutturale e funzionale, è stata svolta a due voci da Lucia Cibin e Vanna Contini. Entrambe le relazioni sono state estremamente approfondite rispetto sia alla normativa ed evoluzione del dimensionamento in Italia, sia alle esperienze e ricerche internazionali, con specifico riferimento al movimento delle small schools, molto attivo in USA.
Lucia Cibin ha in particolare affrontato il tema degli istituti comprensivi, e i problemi culturali, professionali ed organizzativi ad essi connessi.
Vanna Contini si è soffermata invece sul dimensionamento nel 2° ciclo.
Entrambi gli interventi sono stati molto equilibrati, nel senso che pur evidenziando le storture e le incongrunze dell’operazione come finora si è svolta, non hanno demonizzato il dimensionamento, per molti versi necessario. Il fatto che in moltissimi casi il dimensionamento sia diventato insostenibile è dovuto anche e in primo luogo all’enorme diffusione delle reggenze, che stanno stravolgendo la funzione stessa dei dirigenti. Le relazioni hanno anche cercato di valutare i costi e i benefici della costituzione di grandi istituti scolastici, prospettando contestualmente nuove e più complesse modalità gestionali.
3) La sessione è stata conclusa da Paola Capaccioli con la relazione Come sviluppare la dimensione europea dell’educazione attraverso i programmi LLP. Partendo dalla propria lunga e consolidata esperienza, Capaccioli ha affrontato il tema dell’introduzione della dimensione europea nell’organizzazione e nella cultura scolastica.
Con un appassionato e articolato intervento ha dimostrato in che modo l’introduzione nella scuola dei progetti europei LLP (Longlife Learning Programme) possa favorire una più adeguata impostazione organizzativa e più aperti modelli culturali. Capaccioli, infine, non ha sottaciuto i limiti e gli ostacoli che lo sviluppo di questi programmi europei continua ad incontrare nelle nostre scuole.
[stextbox id=”info” image=”null”]4. L’innovazione valutativa[/stextbox]
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La quarta sessione ha avuto un inizio non preventivato, poiché ci si è trovati in presenza della bozza del nuovo decreto sul sistema nazionale di valutazione, emanata il 24 agosto. Per questo, prima delle relazioni, è stata fatta un’analisi del decreto da parte di Cenerini, a cui sono seguiti i commenti dei tre relatori, nell’ordine Pedrizzi, Ricci e Bottani, nonché il dibattito.
Pedrizzi e Ricci hanno difeso il decreto, anche nella convinzione che nella situazione italiana qualsiasi avanzamento, per quanto piccolo, sia sempre meglio di niente.
Bottani invece, pur sostenendo a spada tratta l’esigenza della valutazione, si è soffermato sulle notevoli contraddizioni presenti nel decreto. Ha sostenuto che un sistema nazionale di valutazione non dovrebbe limitarsi a valutare gli istituti scolastici e formativi, ma considerare l’insieme del sistema che coinvolge direttamente anche le azioni del Ministero e dei suoi uffici sul territorio. E’ grave che tali azioni non siano mai sottoposte a valutazione. Per tutto questo l’INVALSI dovrebbe essere un Ente autonomo e indipendente, mentre continua a non esserlo. Inoltre, ha sostenuto, non si capisce assolutamente cosa c’entri l’INDIRE con il sistema di valutazione, il suo inserimento ha pertanto altre finalità.
Si è quindi passati alle relazioni
1) Ha aperto Roberto Ricci che, con la chiarezza e la grande capacità di coinvolgimento che gli sono proprie, ha esposto le ragioni per cui le scuole dovrebbero utilizzare i dati delle rilevazioni nazionali che vengono loro restituiti e le modalità e gli strumenti con cui farlo.
La relazione non ha mancato di sottolineare come siano ancora troppo poche le scuole che analizzano questi dati e ancora troppe quelle che, ricevuti i risultati, nemmeno li scaricano.
Tutto questo implica che c’è ancora da fare un grande lavoro di formazione e di diffusione della cultura della valutazione nel nostro Paese.
2) Tiziana Pedrizzi ha illustrato in modo approfondito e convincente le ragioni e le modalità dell’utilizzo dei Quadri di Riferimento delle prove nazionali ed internazionali per la progettazione didattica e la valutazione interna.
Posto che un framework, o quadro di riferimento, definisce i contenuti, i processi ed i contesti in relazione alle competenze attese e descrive i livelli di performance e le modalità della loro misurazione, le scuole possono utilizzarli per:
1) definire la propria offerta formativa ;
2) stabilire le aree da presidiare e individuare le prestazioni attese;
3) fissare uno stretto legame con le prove, che garantiscano la effettiva realizzazione di quanto deciso;
4) definire un quadro integrato di prove comuni, avendo chiarito i criteri della loro formulazione e correzione.
3) Ha concluso la sessione Norberto Bottani che ha indagato le ragioni delle valutazioni dei sistemi scolastici, analizzando in primo luogo gli usi che ne fanno i politici.
Ha quindi esposto i principi su cui dovrebbe fondarsi una valutazione democratica e progressista.
Citando Ernest House, ha concluso dicendo che in una società pluralista e democratica la valutazione difficilmente può produrre soluzioni incontrovertibili, può però fornire indicazioni plausibili, credibili e quindi utili.
Questo è più che sufficiente per sostenere la valutazione su vasta scala.