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DOVE STA LA “CONCRETEZZA”? – A proposito di valutazione, premi, scuole e docenti

di

Nell’ambito del dibattito avviato sul sito relativo ai premi per scuole e docenti, interviene C. Marzuoli”. Il suo contributo esprime dubbi verso una politica fondata sull’”emergenza” e auspica consapevolezza dei limiti del progetto e impegno a riprendere la via maestra.

di Carlo Marzuoli

Ordinario di diritto amministrativo alla Facoltà di Giurisprudenza  all’Università di Firenze

[stextbox id=”warning” image=”null”]Alla commissione ministeriale un augurio di buon lavoro[/stextbox]

Sulla  decisione  di  avviare,  in forma  sperimentale, i  due progetti concernenti la valutazione delle scuole e la valutazione dei docenti e la connessa previsione   di premi si è  già aperto un  significativo dibattito.

L’iniziativa ministeriale costituisce un passo effettivo per il soddisfacimento di un’esigenza essenziale (la valutazione)  e per promuovere l’ulteriore avanzamento della ricerca  e dell’elaborazione di dati e di  criteri sempre più congrui allo scopo.

Conclusione: un augurio di buon lavoro.

[stextbox id=”warning” image=”null”]Il discorso però non finisce  qui[/stextbox]

Ogni accadimento  è da identificare e da considerare  in relazione al contesto in cui si inserisce.

Il contesto è noto. Ed è  serio e grave.

Vi sono:

  • un interesse generale verso il servizio pubblico dell’istruzione, la cui intensità si accresce con il moltiplicarsi, in modo diretto o indiretto,  delle agenzie formative, del  pluralismo delle culture, delle storie, dei bisogni, dei modi di vita;
  • un apparato pubblico di grande dimensione da tempo sempre meno  in grado di far fronte a un tale compito e  da decenni in attesa  di essere sistematicamente e seriamente  conosciuto e  valutato per ciò che riesce a fare;
  • un corpo professionale  da decenni condannato a un ruolo giuridicamente e sostanzialmente determinato in modo uniforme,  in evidente contrasto con la  comune ragionevolezza ed esperienza, secondo cui è davvero arduo ipotizzare che  circa settecentomila  persone possano esprimere capacità e livelli così vicini (o così non distanti) da poter essere racchiusi in un’unica figura;
  • una decentralizzazione da attuare (nuovo Titolo V Cost.),  che, a sua volta, implica una revisione della condizione giuridica del docente che ne assicuri libertà e responsabilità a garanzia del buon andamento del sistema (che necessita di elasticità progettuale ed organizzativa) e del migliore uso delle risorse (finanziare e non);
  • un’autonomia scolastica anch’essa bisognosa  di essere, non proclamata o enfatizzata, ma  realizzata,  la quale – ancora una volta – reclama una massiccia decentralizzazione, per un verso, e un quadro certo di norme generali e di un sistema permanente, generalizzato, ordinario, di valutazione e di controllo;
  • un  equilibrio da ritrovare quanto al rapporto fra l’istituzione, da un lato, e  gli allievi  e le famiglie, da un altro; un equilibrio  capace di mantenere fermo il carattere di una prestazione che è prestazione  al cittadino-utente e non al cittadino – cliente; infatti, il servizio nazionale di istruzione  non si può misurare solo o prevalentemente  (per ragioni giuridiche di ordine costituzionale)  sul gradimento soggettivo dell’utente;  si misura sulla corrispondenza a obiettivi predeterminati,  rispetto ai quali l’aspettativa dell’utente è solo una componente, per quanto rilevante;
  • la centralità, in ordine a tutto quanto sopra,  della configurazione del ruolo e dello statuto del personale docente, che è colui che “realmente” impersona (insieme al dirigente scolastico, figura anch’essa  da definire in modo più netto) il servizio pubblico dell’istruzione.

[stextbox id=”warning” image=”null”]E allora è naturale la domanda …[/stextbox]

In riferimento all’accennato contesto  (e di altro, che per brevità si è omesso), l’intervento di cui si tratta  è adeguato o non adeguato?

Non avrei dubbi: non è adeguato.

Non si può ignorare la limitatezza dell’ambito interessato dai progetti (due province, Pisa e Siracusa, e solo le scuole medie) e due città, seppure “metropolitane”  (Napoli e Torino, e solo i docenti che aderiranno)…e  le province e le città, e le scuole e i docenti della Repubblica danno ben altri numeri.

Tuttavia, la mole dei problemi sopra elencati è tale da far pensare che ogni risposta possa apparire inadeguata.

[stextbox id=”warning” image=”null”]Per proseguire l’analisi e la riflessione, occorre  cambiare la domanda[/stextbox]

“L’iniziativa in esame,  a parte ogni discussione sulla sua adeguatezza, è utile o invece inutile o addirittura  dannosa?”

Molti  sono i dubbi indotti da un sistema di valutazione come quello che si vuol sperimentare che:

  • condiziona l’effettività del suo funzionamento all’adesione dell’interessato;
  • individua nel semplice (sbrigativo? semplicistico?)  strumento del  premio pecuniario  l’anello di congiunzione fra  il capitolo della valutazione e quello delle conseguenze, capitolo che   meriterebbe soluzioni più articolate, per quanto sperimentali (dato il premio ai migliori, che fare con i non migliori?);
  • inserisce nella Commissione di valutazione dei docenti un personaggio, il Presidente del Consiglio di Istituto, privo di qualsiasi legittimazione tecnica (e la limitazione della sua funzione al ruolo di  “osservatore” non risolve il problema, con il che si pone anche qualche questione più specificamente giuridica);
  • finisce per consentire (a quanto pare) l’attribuzione dei premi a pioggia (con un totale ribaltamento della premessa meritocratica e con deciso immiserimento dell’autonomia scolastica, che certo non è stata voluta per tal genere di esiti);
  • pone questioni di rapporto con l’INVALSI.

[stextbox id=”warning” image=”null”]La strada maestra indicata è una sequenza di singoli passi, di sperimentazione in sperimentazione, di episodio in episodio priva di un termine per andare a regime[/stextbox]

A parte questi aspetti, vi  è in ogni caso un altro  profilo da considerare, che è quello più rilevante. L’iniziativa pare indicare (e soprattutto praticare) la strada maestra che bisogna seguire per affrontare la situazione sopra accennata: una strada fatta di singoli passi, caso a caso, in deroga a un assetto fatto di normalità e di prevedibilità e programmabilità, per quanto relativa,.   Una sorta di replica, nell’ambito dell’istruzione, di ciò che è accaduto e che accade per le evenienze (talora vere, talora finte) dell’emergenza: qui si andrebbe avanti, non ordinanza dopo ordinanza, ma  sperimentazione dopo sperimentazione, di episodio in episodio, in una sequenza  priva di un termine dichiarato  o prevedibile (e se mancano i termini è difficile l’attribuzione delle responsabilità).

Ma questa non è e non può essere la strada maestra.

E’ certo che i fattori che hanno impedito  di procedere speditamente e  organicamente  sulla via della valutazione, della decentralizzazione, della riforma della condizione giuridica degli insegnanti (differenziazione, carriera) non sono stati né il destino, né  la passione per i dibattiti, né inestricabili oscurità concettuali, né l’assenza di esperienze altrui.

La  responsabilità è chiara   e risiede nella volontà politica di coloro (di ieri e di  oggi) ai quali spetta indirizzare e  governare il Paese.  E riguarda sia il governo centrale sia i  governi regionali, che –  fino ad ora  – non hanno esercitato  con determinazione quelle nuove responsabilità che ad essi ha assegnato, da quasi dieci anni,  il Titolo V.

[stextbox id=”warning” image=”null”]E’ ora di evitare la contrapposizione fra massimalismo dell’astratezza e minimalismo della concretezza (fra volare alto e tenere i piedi per terra)[/stextbox]

Chi fa qualche cosa ha il vantaggio (se la cosa non è palesemente irragionevole o infondata)  di potersi giovare dell’argomento della concretezza;  chi critica si espone all’imputazione di astrattezza, se non di inconcludenza.

Sarebbe forse il momento di evitare la contrapposizione (questa sì un’incomprensibile e sterile astrattezza) fra  massimalismo (dell’astrattezza) e  minimalismo (della concretezza).

Ora, è vero che qualche cosa è meglio di niente, ma è anche vero che il meglio subito si perde se la cosa che prende corpo diviene un alibi per  accantonare i problemi di maggiore impegno e portata, come se la dimensione temporale  non esistesse.   Il tempo esiste, invece, e il costo può essere  alto.  Ritardare significa sacrificare di giorno in giorno, di alunno in alunno, di docente in docente, di famiglia in famiglia,  tutti coloro che hanno bisogno di un servizio diverso e migliore, di una condizione professionale migliore, di un futuro migliore. Oppure questa non è concretezza?

[stextbox id=”warning” image=”null”]Consapevolezza dei limiti del progetto e impegno a riprendere la via maestra[/stextbox]

Allora, per evitare equivoci.  L’auspicio è che l’iniziativa risulti utile, ma potrà esserlo solamente se si vi sarà consapevolezza dei suoi limiti (e in questo senso confortanti, oltre che condivisibili, le specifiche indicazioni  e la ragionata prudenza manifestate nell’intervento di Poggi)  e se  costituirà un motivo ulteriore per riprendere – operativamente e con rinnovato vigore – le  vie maestre, fra cui innanzitutto, conviene ribadire, nuovo stato giuridico del personale docente (e dirigente).

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