La riproposizione di un vecchio impianto già fallito
di Tiziana Pedrizzi
Probabilmente entro la fine dell’estate saranno terminati i lavori congiunti fra MIUR, Ministero del Lavoro e Regioni sulla messa a regime del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. Saranno normate le aree ed i profili di riferimento, gli standard tecnico – professionali e quelli relativi alle competenze di base ed i format di certificazione per Qualifiche e Diplomi. Il sistema di IeFP, infatti, è affidato alle Regioni che possono definire molti aspetti della sua realizzazione, ma poiché i titoli che rilascia hanno valore a livello nazionale – ed europeo attraverso la rispondenza all’European Qualification Framework – deve seguire alcune macroregole stabilite centralmente.
In questa fase finale l’attenzione, come si vede, è centrata sulle caratteristiche del “prodotto” formativo in uscita. Da una parte questo è necessario per dare credibilità ad un sistema potenzialmente molto diversificato, ma dall’altra questa impostazione sugli esiti di apprendimento e non sulle caratteristiche del percorso è di assoluta attualità e sopravanza in ciò di molto il punto di maturazione in proposito del sistema di istruzione statale. Negli Accordi sottoscritti a partire da dicembre erano state invece definite le regole relative alla struttura del sistema: quali qualifiche e diplomi eroga e in che rapporto sono con il parallelo sistema di istruzione professionale statale.
Questa strutturazione definitiva ha reso necessaria una revisione delle Leggi Regionali che erano state impostate su un’altra idea della Formazione Professionale. E’ ciò che sta facendo la Regione Emilia Romagna con la nuova legge in gestazione, nella quale ha dovuto assumere la struttura nazionale fin qui combattuta, in particolare nella parte che riguarda l’istituzione di un 4° anno di Diploma e la possibilità di sostenere l’Esame di Stato di 5° anno attraverso appositi percorsi. Sono infatti le caratteristiche strutturali che danno potenzialmente al sistema di IeFP un carattere non residuale, ma di parallelismo con il sistema di Istruzione statale e che l’impostazione istruzionista della normativa emiliano romagnola aveva sempre rigettato.
Molto più discutibili appaiono invece quelle parti della normativa del progetto di legge della Regione Emilia-Romagna che sembrano prevedere una certa differenziazione degli standard regionali rispetto a quelli nazionali cui ci si richiama ma che non si assume tout-court quasi a conservazione dei propri riferimenti tradizionali: il tema è delicato perché è in gioco la riconoscibilità del titolo fuori dai confini regionali.
Ma la parte sorprendente della legge in fieri sta nella soluzione che si vorrebbe dare del rompicapo dell’assolvimento dell’obbligo ovvero della frequenza dei primi due anni dopo il termine della scuola media. Nel mese di ottobre la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima la normativa della Regione Toscana che ne prevedeva la frequenza obbligatoria all’interno del sistema di istruzione statale.
Ora l’Emilia Romagna propone un dimezzamento riducendo tale obbligo di frequenza dentro alla scuola ad un anno, in tal modo peraltro ricalcando quanto contenuto, anche se in termini più sfumati, nella sua legislazione precedente. Sfugge la ragione per cui il MIUR non dovrebbe impugnare questa norma così come ha giustamente fatto per la Toscana. Forse che, se si tratta di un anno invece che due, una tale indicazione è meno illegittima?
Questa posizione ambigua dell’Emilia-Romagna si è trascinata, del resto, nel decennio della sperimentazione precedente. Nel tentativo di salvare con la foglia di fico dei percorsi integrati (peraltro mai seriamente realizzati per la impossibilità a farlo) le capre dell’ideologia ed i cavoli della realtà, ossia l’alto numero degli abbandoni, si è finora tenuto seminascosto l’accordo con l’USR che, in contrasto con la propria legge, consente fin dal primo anno di trasferire una parte di alunni verso la Formazione Professionale. Tanto è vero che, dopo aver sbandierato per ogni Convegno le bellezze del sistema integrato e la necessità di tenere “segregati” tutti nel sistema di istruzione scolastica per evitare analfabetismo e sfruttamento minorile, poi, per salvare il salvabile, una parte non irrilevante di studenti a 15 anni è ufficialmente iscritta al sistema di Formazione Professionale. Lo testimonia il fatto che nel Rapporto PISA 2009 dell’Emilia Romagna recentemente presentato, tale campione di 15enni è già ufficialmente presente ed i suoi risultati ufficialmente analizzati.
Si sa che le Regioni hanno anche loro in questo periodo problemi di finanziamenti e che un anno di scolarità scaricato sullo Stato può fare comodo, ma non sembra questa una buona ragione per continuare su una via che si è rivelata fallimentare e che danneggia non solo una fascia consistente di giovani, ma anche la struttura sociale del paese.
A cosa ha portato infatti questo lungo periodo di sopravvalutazione dei risultati della formazione generalista “disinteressata”?
Smottamento verso i Licei con il proliferare dei licei “leggeri” (delle scienze umane, linguistico, artistico), forte diminuzione della formazione tecnica e professionale, alto livello di abbandoni delle fasce meno interessate alla attuale tipologia di scolarizzazione, boom dei passaggi ad università leggermente umanistiche e diserzione da quelle tecnico professionali.
Anche i nostri centri di analisi sociologica – ISTAT ed ISFOL in testa – cominciano a mettere in collegamento questi fatti con la richiesta senza risposta di lavoratori qualificati nel campo della produzione, la disoccupazione giovanile ed i famosi NEET (Not in Education, Employment or Training).