IL NUOVO ESAME DI MATURITA’

Un esame riformato dal precedente governo, con due stop

matur1L’esame di maturità ha quasi 100 anni, per la precisione ne compie 96, essendo nato nel 1923 con la riforma di Giovanni Gentile. La prima vera rivoluzione di quell’esame è avvenuta nel 1969, nel pieno delle manifestazioni studentesche, quando il ministro Fiorentino Sullo varò la maturità con solo 2 scritti, 2 materie all’orale, voto in sessantesimi, e insieme decretò la liberalizzazione degli accessi all’università (da allora qualunque diplomato può iscriversi a qualunque facoltà).

La formula resta invariata fino alla riforma del 1997 del ministro Luigi Berlinguer che dà il via ai crediti scolastici, a 3 scritti (italiano, prova specifica per indirizzo, “quizzone” multidisciplinare”) e un orale sulle materie dell’ultimo anno, commissione mista e voto in centesimi.

Da quel momento ogni ministro, del nuovo millennio, ha apportato le proprie modifiche: Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, Mariastella Gelmini.

matur4La riforma della ministra Valeria Fedeli (Dlgs 62/2017), che avrebbe dovuto essere varata quest’anno, prevedeva: fine della 3^ prova, solo 2 scritti e un orale, obbligatorietà della partecipazione ai test Invalsi e della frequenza ai percorsi di alternanza scuola-lavoro.

Il ministro Marco Bussetti non ha fatto una nuova riforma dell’esame, ma solo tagli alla precedente,  sospendendo e rinviando due punti importanti: l’obbligatorietà di partecipazione ai test INVALSI e all’alternanza scuola lavoro.

Sul rinvio della prova INVALSI pesa la nuova filosofia di questo ministero sull’Istituto Nazionale di valutazione, che desta non poche preoccupazioni in un Paese come l’Italia, dove vige ancora un’enorme discrezionalità e differenziazione nella valutazione degli apprendimenti- fra insegnanti di una stessa scuola, fra scuole, fra diverse zone del Paese- oltre a una diffidenza e incapacità ad usare i dati per il miglioramento.

Sul rinvio dell’obbligatorietà di alternanza scuola lavoro (un termine sicuramente improprio applicato a tutta l’istruzione secondaria di 2° grado, in quanto specifico del solo apprendistato), si dovrà valutare come evolve la nuova impostazione di questo ministero, rispetto alla quale preoccupa però, fin da ora, la grave diminuzione dei fondi, considerato che il rapporto con il mondo del lavoro è una delle questioni dirimenti dell’istruzione in Italia.

Il gioco del lego della maturità. Che giudizio sulla nuova costruzione?

matur5La riforma dell’esame di maturità è come il gioco del lego, da anni assistiamo al continuo lavoro di demolizione, sostituzione e ricomposizione dei suoi elementi.
Non riforme, ma spostamenti de vari “mattoni” dell’esame che cambiano di volta in volta posto e colore.

Valutiamo allora questa nuova ricomposizione.

  • Nessun rimpianto per l’eliminazione della terza prova multidisciplinare, una semplificazione attesa e auspicata, nè per la soppressione della tesina.
  • L’introduzione nelle seconda prova scritta di coppie di materie caratterizzanti il corso di studi (latino & greco, matematica & fisica, ecc.) potrebbe essere letto come un omaggio all’integrazione in “aree” delle discipline. Ma è davvero così? Fin dagli anni ’70 si parla nella scuola di “interdisciplinarità”, ma finora, tranne la pratica in alcune scuole innovative del Project Based Learning, Apprendimento Basato sui Progetti, non solo non si pratica l’interdisciplinarità, ma nemmeno la multidisciplinarità. Basti ricordare le reazioni al tentativo, nelle “Linee guida “ per gli istituti tecnici e professionali, di raggruppare nel biennio l’area scientifica in “scienze integrate”. Si dovette prontamente fare marcia indietro ridividendola nelle singole distinte discipline e cattedre (biologia, chimica e fisica). Il tema della “riorganizzazione del sapere scolastico”, alla luce di quanto avviene nel mondo della ricerca, dove si parla di “transdisciplinarità” e “sistemi complessi”, è lungi dallo sfiorare la scuola italiana, per cui questi accostamenti appaiono come foglie di fico su un’organizzazione disciplinaristica immutata.
  • Infine l’aumento dei crediti scolastici accumulati nel triennio (40%), per cui l’esame conterà solo per il 60% nel voto finale (finora valeva il 75%), rappresenta una significativa riduzione dei rischi delle novità di questa maturità 2019: è sicuro che non ci saranno sorprese. Il dato vero è che l’esame di stato, con il 99,5% dei promossi, ha perso valore e l’ingresso all’Università è ormai quasi ovunque garantito solo dalle prove preselettive di ingresso fatte direttamente dalle università. Per tutto questo i test INVALSI potevano forse restituire un po’ più di obiettività e comparabilità dei risultati.

Manca una domanda fondamentale: la finalità della riforma

matur6I mattoncini del nuovo Lego che figura andranno a formare?

In altre parole qual è la finalità di questi cambiamenti:

  • introdurre elementi di maggior rigore nell’accertamento delle conoscenze (o competenze?) acquisite, o addirittura incentivare una selezione meritocratica?
  • Modificare le pratiche didattiche degli insegnanti di tutte le discipline interessate alla prova finale?
  • Favorire il lavoro di gruppo tra gli insegnanti dei dipartimenti finalizzati all’efficacia dei risultati cognitivi e delle performance professionali?
  • Sviluppare tra gli insegnanti e tra gli studenti una maggiore competenza e una cultura della valutazione più obiettiva e affidabile ?

Oppure, più semplicemente

  • Correggere il malfunzionamento dell’esame in questo o quell’aspetto che si è dimostrato negativo?

Nessuna di queste domanda ha una risposta chiara e univoca.

Tutto resta nel vago, tutto avviene senza alcun esame serio e approfondito dei risultati dei provvedimenti sulla “maturità” dei governi precedenti: i pro e i contro, gli ostacoli, ed anche i “costi e benefici”.

Ora, poiché l’esame finale di un percorso di apprendimento non può modificare istantaneamente e necessariamente tutto ciò che lo precede (le pratiche didattiche, le abitudini e gli stili di insegnamento, le tecniche di valutazione, le procedure formali e informali di accertamento delle competenze, e tantomeno l’organizzazione del curricolo), questi cambiamenti di cui non si coglie la vera finalità, lasciano il tempo che trovano.

Le trasformazioni vere hanno bisogno di un respiro lungo, di una strategia politica condivisa e perseguita con metodo, continuità, tenacia e sorretta da una pluralità di strumenti di valutazione interni ed esterni che possano suggerire aggiustamenti e correzioni.

Tutto il resto appare “cambiamento”… tanto per cambiare.