ADi Presentazione Video
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Dirigente Scolastico……..chi era costui?? | |
Forse bisogna risalire alla storia di questa figura per coglierne l’identità. | ||
La storia….già , ma non è facile ricomporla, forse possono aiutarci le varie rappresentazioni narrative |
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Esatto, Rosario Drago ne ha fatto una bellissima raccolta… . Le stagioni dei presidi | ||
…e con un confronto inedito fra i ritratti dei presidi nostrani e di quelli stranieri. Fortissimi gli stranieri ….. un mito quelli inglesi, su di loro esiste una vera e propria leggenda nera | ||
Vero! Chi mai tra i nostri potrebbe emulare l’antico Preside di Repton, futuro vescovo di Canterbury, inimitabile nell’uso della verga. | ||
Troppo bella la sua descrizione senti qua : |
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Un monumento di malvagia grandezza! Nessun preside italiano potrà mai competere! | ||
Forse è per questo che non hanno ancora avuto la dirigenza unica… | ||
Non toccare questo tasto meglio che torniamo alla storia | ||
Nel nostro Paese il dibattito sui capi di istituto è stato vivace fin dai primi anni dell’Unità d’Italia. Francesco De Sanctis, come ministro dell’istruzione, si rese subito conto dell’importanza di questo ruolo e fece un accorato appello al Parlamento che suonava così : “Io non so concepire una scuola senza una mente unica che coordini i maestri e li faccia tutti camminare verso uno scopo unico; altrimenti avrete l’anarchia. Per me la garanzia di una buona scuola è un buon direttore... |
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Quell’appello fu in parte raccolto, poi ..arrivò il fascismo…. | ||
e la retorica fascista più che esaltare il ruolo dei presidi, lo ridicolizzò. . Divennero le «vigili scolte che rispettano, come cosa sacra, con militare devozione, assoluta e incondizionata, la consegna dovuta». | ||
Dici che sono gli antenati del preside sceriffo? | ||
Dai, torniamo seri. Poi venne la “prima Repubblica“, e la classe politica si lasciò andare a una deriva demagogica «antiautoritaria» che ha fatto molti danni | ||
Il preside, escluso dalla dirigenza pubblica nel 1972, ebbe il ruolo di semplice coordinatore senza autonomia né responsabilità educative in ordine ai risultati. | ||
Occorre arrivare al 1997, all’autonomia scolastica di Berlinguer per cominciare a ricostruire la funzione dirigenziale. | ||
In verità anche per gli insegnanti Berlinguer ipotizzò una carriera in concomitanza con la dirigenza scolastica, ma sappiamo bene come è andata a finire. | ||
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La mancata differenziazione della carriera dei docenti è una delle cose più gravi nell’organizzazione scolastica italiana, rimasta fondata sul piatto, indifferenziato triangolo capo d’istituto- docenti – bidelli | |
Ed è in questo appiattimento che trova risposta una domanda rimasta finora sospesa… | ||
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Certo e la domanda è: “Perché a livello mondiale i Paesi più evoluti spendono di più per l’istruzione rispetto all’Italia, MA allo stesso tempo hanno un maggior numero di allievi per classe e un rapporto alunni/docente più alto?” Insomma spendono di più, ma proporzionalmente hanno meno insegnanti rispetto a noi. |
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La risposta, che non si dà mai, sta proprio nella diversa organizzazione del lavoro | ||
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Proprio così. Si chiama divisione del lavoro. Altrove non si pretende che l’insegnante faccia da psicologo, infermiere, consulente per l’orientamento, bibliotecario, allenatore della squadra di calcio, direttore del coro della scuola, animatore digitale, e, si badi, tutto a livello di volontariato. | |
Nelle scuole degli altri Paesi, si assumono professionisti specializzati: consiglieri di orientamento, psicologi, bibliotecari, documentalisti, medici ed infermieri…. | ||
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…e animatori del tempo libero, visto che altrove la scuola sta davvero aperta anche al pomeriggio. Contemporaneamente c’è la differenziazione della carriera docente: la carriera del vicario, dei responsabili di dipartimento, dei tutor formatori degli insegnanti, e altro ancora | |
E non esiste nemmeno quel pezzo di archeologia scolastica rappresentato dal bidello. | ||
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Esatto. Al posto della nostra pletora di indistinti bidelli, si trova la figura del custode della scuola….. | |
Sbagliatissimo averlo eliminato! | ||
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E poi si trovano i giardinieri, gli elettricisti, e i tecnici informatici in tutte le scuole! | |
E già da noi differenziare pare una bestemmia. e se ci pensi bene il ruolo unico indistinto non colpisce solo docenti e bidelli, ma anche i dirigenti scolastici! | ||
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Non c’è dubbio. Pare a voi, autorevole pubblico, che la scuola abbia tratto giovamento da questo ruolo indistinto dei dirigenti? Oggi chi proviene dalla scuola dell’infanzia può andare a dirigere un istituto tecnico…. | |
Oppure un ingegnere di un istituto tecnico può andare a dirigere un istituto comprensivo, cioè scuola dell’infanzia, scuola primaria e secondaria di 1° grado. | ||
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Tutto questo sarebbe forse tollerabile, se in Italia ci fossero specifici Istituti di formazione dei dirigenti scolastici, dove acquisire una specifica abilitazione prima di accedere al concorso. | |
Ma per carità non toccare il tasto della formazione e valutazione dei dirigenti scolastici! | ||
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OK, ma diciamo almeno che mentre in tutto il mondo si accentua la loro funzione di “leadership educativa“, in Italia si approfondisce il modello amministrativo-burocratico. | |
Questo ha accentuato il distacco fra insegnanti e dirigenti, oberati da compiti gestionali e contabili. | ||
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E la legge 107, la così detta Buona scuola, non ha risolto questo problema, ha piuttosto acuito la frattura. | |
E non ce ne era certo bisogno! | ||
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Ma la cosa più paradossale è che il rifiuto della dirigenza unica, non avviene in nome della valorizzazione del ruolo di leadership educativa . | |
Tutt’altro, la si nega, ma nello stesso tempo si accentua il modello amministrativo-burocratico! | ||
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Di questo passo la dirigenza scolastica, rischia di diventare una funzione esterna all’educazione. | |
Forse bisogna risalire alla storia di questa figura per coglierne l’identità. | ||
Prego Professor Schratz | ||
INTRODUZIONE
Grazie a Mario Dutto per la presentazione, grazie all’ADi per l’invito a Bologna, e grazie a tutti voi per la vostra attenzione.
Purtroppo non parlo bene l’italiano, così la mia presentazione sarà in inglese.
Oggi vi parlerò di leadership, questione molto importante per gli insegnanti, per gli studenti e naturalmente per i dirigenti scolastici.
La leadership ha a che fare con l’organizzazione e con i cambiamenti organizzativi, che sono tutt’altro che semplici ed evidenti.
Diceva Niklas Luhmann, un sociologo tedesco morto nel 1998: “Un sistema vede solo ciò che è in grado di vedere. Non riesce a vedere ciò che non può vedere. Nè vede ciò che non è in grado di vedere.”
Il mio compito sarà allora quello di farvi riflettere su quegli aspetti dell’organizzazione che non sono così evidenti, che sono per così dire sott’acqua. Io vengo da un Paese, l’Austria, dove l’inconscio, con Freud, la fa da padrone, quindi non mi è difficile sostenere che quello che vediamo è solo la punta dell’iceberg, e che l’iceberg si estende, nella sua vastità, soprattutto sott’acqua.
Andare oltre la punta dell’iceberg significa innanzitutto fare i conti con il passato e con la sua fortissima influenza. Il passato è ciò che determina i processi riproduttivi, ma noi sappiamo che per progredire occorre andare oltre la riproduzione e dare vita a processi trasformativi.
La scuola ha sempre avuto questo duplice ruolo: è luogo di riproduzione, ma al tempo stesso è luogo di trasformazione. E’ pertanto collocata entro un campo di tensioni, in cui si confrontano e fronteggiano ieri, oggi e domani.
In questo campo di tensioni, si sviluppano sempre tre diversi livelli o dimensioni dell’istruzione, fra loro interconnessi, che sono:
- la qualificazione,
- la socializzazione,
- la soggettivizzazione dei giovani e dei singoli;
come indicato nella figura sotto.
Andremo ora ad esaminare queste tre dimensioni, per vedere come sono collegate e come si determina il progresso e l’innovazione.
La COMPLESSA VIA DEL CAMBIAMENTO
Le tre dimensioni dell’istruzione
Nella figura sotto le tre dimensioni dell’istruzione prima accennate.
Tutti sappiamo che cos’è la qualificazione– le conoscenze, le competenze, ecc..- e come dovremmo intervenire nei suoi confronti.
E’ molto più difficile influire sulla socializzazione, cioè su come si includono i giovani nella società, su come si sviluppano i valori democratici e la convivenza civile, perchè questo avviene soprattutto a livello inconscio. Sì, la socializzazione ha a che fare con l’inconscio, perché ha a che fare con la parte nascosta del curricolo.
Questo ci porta a parlare della terza dimensione, la soggettivazione, costituita dall’agency, che in sociologia significa la capacità degli individui, gli agenti, di agire autonomamente e di fare le proprie scelte. Nella scuola rappresenta l’empowerment, la capacità di sviluppare il proprio modo per eccellere ed emergere nella vita, diventando soggetti migliori, il che avviene soprattutto attraverso la stima di sè.
Fondamentale nell’istruzione è l’equilibrio fra questi tre aspetti, qualificazione, socializzazione, soggettivazione, perché solo dal loro bilanciamento potrà emergere il nuovo. I dirigenti scolastici e gli insegnanti devono allora essere in grado di definire cosa serva in una determinata situazione per trovare un punto di equilibrio fra le varie dimensioni, così da favorire e sostenere innovazione e miglioramento.
La traiettoria verso il futuro
Ma come avviarci verso il futuro, come tracciare una traiettoria che porti al miglioramento e all’innovazione? Guardate la vignetta a fianco, dice: “Se non raggiungiamo in fretta un punto di scambio siamo persi”. Gli esseri umani tendono a seguire i binari, a proseguire con le esperienze che sono state insegnate loro, a rifare quello che hanno imparato. Nel frattempo c’è però una locomotiva che corre sempre più veloce, sta alle calcagna e potrebbe travolgerli. Per salvarsi occorre lasciare quei binari. Questo è un aspetto psicologico che riguarda ogni singolo individuo. Veniamo da un determinato contesto e quindi diventa difficile per tutti uscire dagli schemi noti, dai binari che abbiamo sempre percorso, è complicato avviarci su terreni ancora inesplorati.
La metafora delle 4 stanze
Il ricercatore svedese Claes Janssen ha individuato varie sequenze nel processo di cambiamento, e per indicarle ha utilizzato la metafora delle quattro stanze.
In tutti i cambiamenti ci spostiamo dalla prima stanza alle successive
– prima stanza, quella in cui ci si trova a proprio agio, in una situazione di soddisfazione,
– seconda stanza, é quella che rappresenta il periodo della negazione del nuovo e la difesa del vecchio. E’ la reticenza a lasciare la comfort zone, ad abbandonare il proprio rifugio, perchè non sappiamo disfarci del retaggio del passato.. Si passa allora alla terza stanza
– terza stanza, é quella dove ci si trova in uno stato di grande confusione. La confusione termina quando passiamo alla..
– quarta stanza, é quella che rappresenta il punto di svolta, si abbandona il vecchio e ci si apre alla possibilità del nuovo. E’ la via del rinnovamento.
Se pensiamo ad un esempio collegato alla scuola, possiamo ricordare quello che succede agli studenti stranieri quando entrano nelle nostre classi. Si dice che devono imparare la nuova lingua per integrarsi, ma loro conoscono solo la loro lingua. Intanto gli studenti stranieri che arrivano e che non conoscono la lingua sono sempre più numerosi. Non si può più negarli e far finta che non ci siano, perchè ci sono e sono tanti. Si genera una grande confusione, da cui si esce solo se si abbandona il vecchio e si rinnovano metodi e accoglienza.
Succede la stessa cosa anche nella vita economica. Pensiamo alle grosse aziende come Nokia. Prima erano loro i campioni mondiali della comunicazione, poi, quando sono apparsi i primi smartphone sono stati messi da parte ed alcune aziende sono andate quasi in bancarotta. Ecco perchè è importante essere abbastanza tempestivi nel passare dalla stanza della confusione alla stanza del rinnovamento.
Questa è una sfida davvero importante per i leader, per i dirigenti scolastici e per gli insegnanti che sono anch’essi leader educativi. Siamo tutti noi gli artefici, gli architetti del futuro. Se non lo saremo noi, qualcun’altro lo sarà. Sarà il Ministero o l’Unione Europea o l’OCSE attraverso Pisa. Ma in tal caso ci troveremo spinti da quella locomotiva che ci sta sempre alle calcagna lungo lo stesso binario. Non è così che si cambia. Siamo noi che dobbiamo cambiare e spingere in avanti il sistema.
I diversi atteggiamenti nei confronti del cambiamento
Sotto vedete un curva nella quale sono ben indicati gli atteggiamenti dei vari soggetti nei confronti del cambiamento.
Ad un estremo della curva stanno i missionari,quelli che sentono l’ardore di cambiare e di poterlo fare. Sono una minoranza.
All’estremo opposto della curva si collocano gli emigranti, quelli che si oppongono, che resistono al cambiamento.
Fra i due estremi c’è una grande varietà di soggetti. Dal lato dei missionari troviamo i credenti, meno convinti dei missionari, ma consapevoli che qualcosa deve cambiare se non si vuole andare alla deriva, si impegnano e si rimboccano le maniche. Ma devono fare i conti con i diretti oppositori, che stanno all’altro lato della curva, i quali si oppongono al cambiamento, convinti di essere nel giusto .
Sul lato sinistro c’è poi un grosso gruppo: i sostenitori a parole, soggetti che si allineano alla politica dominante senza opporsi. Ma sul lato destro, dall’altra parte della curva, ci sono i guerriglieri, soggetti molto battaglieri e molto pericolosi, perchè lavorano sott’acqua.
Al centro infine troviamo gli attendisti e gli indifferenti, che sono la massa più grande in assoluto.
In tutte le organizzazioni, non solo nella scuola, ogniqualvolta che ci si trova a gestire il cambiamento, si ha sempre a che fare con tutta questa serie di personaggi. Per cui nel passaggio dal passato al futuro bisogna fare i conti con tutte queste tipologie di persone e bisogna saperle affrontare.
Cambiamento personale e strutturale
Sta a noi cambiare, ma non basta il cambiamento personale, occorre anche il cambiamento strutturale.
Guardate l’immagine a sinistra, è estremamente eloquente! I binari non corrispondono più e quindi bisogna ripensare il sistema. Per risanare un sistema che non ha più coesione, bisogna rifarlo!
Se poi andiamo ad analizzare il processo del cambiamento, troviamo un mix interessante di attori coinvolti, che esprimono atteggiamenti molto diversi.
I due fattori del cambiamento: agenzia e struttura
Sotto vedete un curva nella quale sono ben indicati gli atteggiamenti dei vari soggetti nei confronti del cambiamento.
Secondo il sociologo inglese, Anthony Giddens, il processo di cambiamento, che la leadership deve guidare, coinvolge sempre contestualmente l’agenzia, agency, in sociologia gli “agenti” ossia i soggetti che agiscono, e la struttura. Non basta cambiare la struttura, sperando che poi si comporti in maniera diversa, occorre intervenire contemporaneamente sull’agenzia, intesa, come si è detto, quali soggetti agenti. E c’è bisogno di equilibrio fra i due componenti per fare avanzare il sistema. Per esempio, non basta diminuire il numero di alunni per classe, occorre che gli insegnanti cambino il modo di fare scuola.
Insiste in particolare sull’agency, ossia sul “personale”, l’americano Peter Senge, che parla delle organizzazioni come di comunità di apprendimento. Secondo la definizione visionaria di Senge:“(una comunità d’apprendimento) è un’organizzazione in cui le persone ampliano costantemente le proprie capacità per conseguire i risultati che davvero desiderano, in cui si alimentano modalità di pensiero nuove e di ampio respiro, in cui si lascia spazio alle aspirazioni collettive e in cui le persone apprendono continuamente come apprendere insieme.”
LA LEADERSHIP
Perché abbiamo bisogno di leadership? Che cosè la leadership? Proviamo ad esaminare questo concetto
Definizioni di leadership educativa
Warren Bennis ( 1925-2014), uno dei maggiori esperti degli Stati Uniti nel campo della leadership, afferma: “la leadership è come la bellezza, che è difficile da definire, ma che si riconosce quando la si vede”. Quindi la difficoltà sta nel coglierla.
E ancora Lewis MacKenzie (un generale, canadese in pensione, nella guerra della ex Jugoslavia) diceva: “la leadership consiste nell’arte di far sì che le persone facciano ciò che non vogliono fare e che, alla fine, siano anche soddisfatte di questa esperienza”.
Se facciamo riferimento alla scuola come comunità di apprendimento, ci riferiamo di nuovo a Peter Senge che afferma: “la leadership è la capacità di una comunità umana di plasmare il futuro e nello specifico di sostenere i processi significativi di cambiamento necessari a raggiungere questo scopo”.
Leadership educativa e management
Che cosa distingue la leadership dal management?
Non c’è una netta di divisione fra leadership e management, ci si muove piuttosto in maniera sinuosa tra leadership e management.
Il managment è un problem solving creativo, quando si pone un problema bisogna risolverlo in maniera creativa. La leadership consiste nello scoprire nuove possibilità con la capacità di realizzarle o farle realizzare; questo ha a che fare con la forza inventiva. Bisogna inventare delle cose nuove e non soltanto basarsi ed affidarsi alle esperienze consolidate e conosciute.
Nel managment si tratta di lavorare in un paradigma. La leadership invece consiste nel creare un nuovo paradigma.
Il managment lavora nell’ambito del sistema, la leadership lavora sul sistema, cercando di espanderne la struttura ed i confini senza accontentarsi di quanto esiste.
Il managment consiste nel mettere in moto le cose, le persone, i metodi, le tecniche, il controllo. La leadership non si ferma lì, consiste nel dare empowerment, agency, stimolare le persone coinvolte, per avere un rendimento eccellente.
Secondo il managment l’essere umano dev’essere un sostegno, nella leadership bisogna anche realizzare la dignità dell’essere umano e dargli fiducia.
Il management ha l’atteggiamento del fare la leadership ha l’atteggiamento del mettersi al servizio di.
Leadership educativa in classe, a scuola, nel sistema
Nella leadership educativa ci dev’essere un allineamento tra quello che accade in classe, quello che accade a scuola e quello che accade a livello del sistema. Solo così è efficace. Quando in Finlandia dicono che non possono permettersi di perdere neanche uno studente, vuol dire che a ciascun livello del sistema, ognuno deve dare il proprio contributo, affinchè questo obiettivo sia raggiunto.
John Hattie, autore molto discusso nei Paesi di lingua tedesca, si pone la domanda: Perchè insegnanti, decisori politici, educatori e spesso genitori non riescono a cambiare? E afferma: Ciò richiede apertura … e la volontà di ricercare un’alternativa migliore a ciò che il docente sta facendo in quel momento…
Adottare qualsiasi innovazione significa interrompere l’uso dell’apprendimento che ci è familiare.”
Come possiamo quindi trovare il modo per superare questa cesura, per fare il salto in avanti e pensare in maniera innovativa verso il futuro?
Hattie continua: “Sarebbe un ottimo inizio se le lenti del docente potessero essere cambiate, per vedere l’apprendimento con gli occhi degli studenti ..“.
Ma il punto è:” Come facciamo? Come apprendono gli studenti?”
Questo è ancora un mistero. Nonostante ci siano tanti psicologi e neurologi che lavorano sul cervello, questa domanda rimane ancora un mistero. Non sappiamo come tutto ciò accade. Certo, sappiamo come si apprende: c’è un’azione ed una reazione, ma non sappiamo come ogni singolo ragazzo impara. Ognuno impara alla propria maniera.
Heinz von Försterha affermato: “L’apprendimento è la cosa più personale del mondo, unica come un volto o un’impronta digitale.
Ancora più personale della propria vita amorosa.”
MODELLI DI CAMBIAMENTO
Il cambiamento
Se l’apprendimento è così fragile, così intimo, così delicato, dobbiamo pensare ad un altro elemento teorico: Come avviene il cambiamento? Qual è il modello del cambiamento? Qual è la direzione che vogliamo perseguire?
Sopra vedete la curva del processo di rinnovamento, e vedete che dopo una fase di sviluppo si appiattisce. Arrivati a un certo punto non riusciamo a fare innalzare la curva ulteriormente. Ci ritroviamo nella parte piatta, così detta della buona prassi, della stabilità ed è difficile passare oltre, è difficile far sì che la curva prosegua il suo cammino verso l’alto per arrivare a delle best practices ossia a delle pratiche migliori. E’ un po’ come nello sport. All’inizio bisogna investire tantissimo per essere performanti, per andare più veloce, eccetera ma ad un certo punto, una volta raggiunto quel risultato, è difficile muoversi oltre, raggiungere dei risultati migliori. Come si fa a passare dalle buone pratiche alle pratiche migliori?
La teoria ad U
La Teoria U di Otto Scharmer, detta anche Teoria del punto cieco della leadership, è un utile punto di partenza per riflettere sulle modalità grazie alle quali ci si può avviare al rinnovamento, superando i punti di stallo.
Otto Scharmer, professore al MIT di Boston e fondatore del Presencing Institute, dice che, finora, leadership e management sono stati ampiamente studiati a livello di prodotto e di processo, ma molto meno a livello di motivazione profonda. La Teoria U di Scharmer analizza la realtà in modo approfondito, cercando di raggiungere un punto cieco rovesciando il processo usuale con cui si parte dal passato per realizzare un futuro che assomiglia al passato stesso. Il processo di analisi e ricerca scende nel profondo sbarazzandosi delle incrostazioni del passato e delle abitudini, delle idee consolidate e dei pregiudizi, e nel punto cieco trova la vera coscienza di sé, da cui trae la forza per risalire, attratto da un futuro diverso da tutto ciò che si è lasciato nel passato.
Il grafico sopra che sintetizza la teoria mostra come la freccia rossa, che dal passato va verso il futuro, raggiunge un futuro che assomiglia al passato, e così facendo impedisce di arrivare ad un futuro nuovo e diverso, raggiungibile solo liberandosi dalle abitudini consolidate, scendendo nel profondo verso il punto cieco per ripartire verso il futuro di vero rinnovamento, che lo chiama e lo attira a sé. L’atteggiamento di routine è chiamato da Scharmer downloading, a significare che si scaricano nozioni acquisite, esperienze pregresse, idee preconcette, perfino luoghi comuni, e si ascolta solo chi la pensa come noi, senza fare nessuna elaborazione critica originale. È il passato che pretende di proiettarsi in un domani in cui si presume che tutto continui ad andare come prima.
Per raggiungere un vero futuro di cambiamento, in cui problemi attuali e problemi nuovi richiedano soluzioni nuove, bisogna lasciare la comoda strada di superficie, e scendere nel profondo, con un processo di immersione e riemersione dalla tipica forma di U.
Il viaggio attraverso la U si compie con lo sviluppo di sette capacità essenziali di leadership.
- Ascoltare (listening). La capacità fondamentale della U è l’ascolto: ascoltare gli altri, se stessi, ciò che emerge dal collettivo. L’ascolto efficace richiede la creazione di uno spazio aperto in cui gli altri possano contribuire al tutto.
- Osservare (observing). La capacità di sospendere la “voce del giudizio” è la chiave per muoversi da una propria proiezione ad una vera osservazione. Non si vede solo ciò che si sapeva già, ma si scopre ciò che non si sapeva o che non sembrava pertinente.
- Sentire (sensing). Per raggiungere l’esperienza di presencing che si trova nella parte inferiore della U servono tre strumenti: la mente aperta (open mind), il cuore aperto (open heart), e la volontà aperta (open will). Questo processo di apertura non è passivo, è un attivo sentirsi insieme come gruppo. Una mente aperta va oltre il downloading e percepisce la realtà con occhi nuovi e spregiudicati, un cuore aperto ci permette di vedere una situazione nel suo insieme, una volontà aperta ci spinge ad agire per far emergere un nuovo insieme.
- Presenziare (presencing). La capacità di collegarsi alla sorgente più profonda di sé e alla propria volontà ci aiuta a lasciar andare (letting go) tutto il risaputo e lo scontato, e permette di lasciar uscire (letting come) il futuro facendolo emergere dall’insieme del sistema piuttosto che da un elemento parziale o da un gruppo di interesse particolare. È come se il futuro tirasse fuori se stesso dal profondo dell’esperienza e attirasse verso di sé come una calamita.
- Cristallizzare (crystalizing). Quando un piccolo gruppo di persone chiave per l’organizzazione si impegna allo scopo e ai risultati di un progetto, la potenza della loro intenzione crea un campo di energia che attrae le persone, le opportunità e le risorse che fanno accadere le cose, come nel processo minerale di cristallizzazione. Questo gruppo centrale diventa per tutti gli altri gruppi un veicolo verso il futuro.
- Prototipare (prototyping). Scendere lungo il lato sinistro della U richiede al gruppo di aprirsi e affrontare resistenze di pensiero, emozione e volontà, risalire il lato destro richiede l’integrazione di pensiero, sentimento e volontà nel contesto di applicazioni pratiche e di apprendere facendo (learning by doing).
- Eseguire (performing). Un eccellente violinista disse una volta che nella cattedrale di Chartres non poteva suonare solo il suo violino, doveva “suonare” l’intero spazio, quello che lui chiamava il “macroviolino”, al fine di rendere giustizia sia allo spazio sia alla musica. Allo stesso modo, le organizzazioni devono operare a questo livello macro: hanno bisogno di convocare i giusti set di giocatori (persone in prima linea collegate nella stessa catena del valore) e di avviare una tecnologia sociale che realizzi una unione multi-stakeholder per passare dal discutere al creare insieme il nuovo.
La Teoria U spinge le persone e le organizzazioni ad avviarsi verso un futuro emergente.
CONCLUSIONE
L’importanza dell’energia
Voglio concludere parlando dell’importanza dell’energia nelle organizzazioni, di quell’energia che in questo seminario circola feconda.
Come si manifesta l’energia nelle organizzazioni? L’energia può manifestarsi in modo diverso in riferimento a due dimensioni: 1) intensità, 2) qualità
L’intensità dell’energia organizzativa riflette il grado in cui un’organizzazione ha attivato il suo potenziale emozionale, cognitivo e comportamentale ( alto o basso).
La qualità dell’energia organizzativa descrive come un’organizzazione usa la propria energia, in modo positivo o negativo.
Combinando le due dimensioni ( intensità, qualità) si danno quattro diversi stati di energia: 1) energia produttiva, 2) stato anergico confortevole, 3) rassegnazione stato anergico, 4) energia corrosiva. (v. figura sotto)
Energia produttiva (alta intensità, alta qualità): si ha quando si mobilizzano e si incanalano emozioni, attenzione e sforzo verso il raggiungimento di una meta comune. Le persone insieme mostrano entusiasmo, condivisione dell’impegno e si applicano intensamente sul lavoro.
Stato anergico confortevole ( bassa intensità, alta qualità) : è uno stato caratterizzato da soddisfazione, comfort, con un forte senso di identificazione con lo status quo. Può essere nocivo perché ci si compiace dei risultati e si perde stimolo a migliorare ed innovare.
Rassegnazione, stato anergico ( bassa intensità, bassa qualità). Stato caratterizzato dall’indifferenza verso gli obiettivi. Il personale prova frustrazione e delusione.Si procede con rassegnata inerzia.
Energia corrosiva (alta intensità, bassa qualità). Un’energia che genera polemiche a non finire, lamentele (il Ministero non fa le cose giuste, gli studenti non sono bravi ecc.), conflitti distruttivi.
La sfida della leadership
Capire i quattro diversi stati dell’energia organizzativa è molto importante, perché solo questa conoscenza permette di intervenire in modo appropriato su tre degli stati descritti per condurli verso lo stato di energia produttiva.
Si tratta di individuare i problemi, parlare con il personale trovare una comune energia che spinga verso il rinnovamento e il miglioramento.
Ed è questo l’augurio che faccio a tutti voi, la speranza che l’energia positiva che circola potente in questo seminario vi accompagni anche quando tornerete nelle vostre scuole
Grazie