INTRODUZIONE
Vi racconterò l’esperienza fatta insieme a Stefano De Marchi, un preside che insegna a Treviso: una ricerca sul tema dell’auto-organizzazione e sugli ambienti di apprendimento, che è sfociata alla fine nella pubblicazione del libro “SCUOLE AUTO – ORGANIZZATE. Verso Ambienti di apprendimento innovativi”. Un libro dedicato agli eroi della scuola che hanno il coraggio di creare dal basso nuovi ambienti di apprendimento.
Non tutti sono fortunati come voi in Emilia ad avere un bravo direttore USR, come Stefano Versari, e non tutti hanno dirigenti scolastici geniali come Jeff Holte della Liger Leadership Academy in Cambogia, che abbiamo appena ascoltato, quindi quello che noi sosteniamo nel libro è che alla fine sono i docenti innanzitutto a doversi far carico degli studenti.
GLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
Ken Robinson sostiene che l’istruzione non ha bisogno di essere riformata, ha bisogno di essere trasformata.
La chiave di questa trasformazione non è la standardizzazione dell’istruzione, ma la personalizzazione; costruire il successo scoprendo i talenti di ogni bambino, mettere gli studenti in un ambiente dove vogliono imparare e dove possono, in modo naturale, scoprire le loro più vere passioni.
Robinson lancia dunque una sfida enorme quella di passare da una scuola standardizzata a una scuola personalizzata, è come passare dalla Ford T 101 di qualsiasi colore purché nera, ad una di produzione customizzata. Una sfida enorme che spetta sostanzialmente alle scuole raccogliere e cercare di affrontare.
I fattori di successo
Secondo l’OECD-CERI, oggi gli studenti imparano in maniera diversa, il ruolo della scuola è marginale. L a classe non è così centrale, è uno dei vari ambienti di apprendimento, quindi va ripensata (OECD-CERI, Dumont et al. 2010)
Gli Ambienti di Apprendimento Innovativi sono considerati i fattori di successo della scuola del XXI° secolo. Lo abbiamo visto appena ora, con la descrizione della scuola cambogiana:: uno ambiente di apprendimento estremamente affascinante.
APPROCCI TOP DOWN E BOTTOM UP
Questi ambienti come possono essere creati? Dall’alto o dal basso?
Il teorico organizzativo americano Karl Edward Weick (1936) sostiene che nel sistema scolastico gli approcci top-down hanno difficilmente successo (1976) e che sostanzialmente sono le organizzazioni scolastiche la chiave del successo. Vale a dire che sono le scuole che fanno la differenza ed è la loro organizzazione la principale risorsa.
Io sono un ingegnere industriale e la mia specializzazione ha riguardato sostanzialmente lo studio delle organizzazioni economiche. Ora lavorando in università, so che nelle università e nelle scuole si considera l’organizzazione come variabile di secondo livello. Sono la pedagogia e i curricula considerati di classe A, mentre l’organizzazione di classe B o C.
Ci troviamo allora di fronte a due punti di vista profondamente diversi sull’innovazione scolastica:
- Top-down (per esempio governo, politiche educative, modelli governativi, modelli di leadership, reclutamento, ecc).
- Bottom-up (per esempio singola classe e/o scuola e/o reti).
Sostiene David Istance dell’OECD CERI (2011) che la chiave, il motore per l’implementazione di questi ambienti sono le organizzazioni scolastiche: ciò che unisce studenti, conoscenza, insegnanti e risorse. E potrei citare ancora Brookover, le scuole possono fare la differenza (Brookover et al., 1979) o Butera l’organizzazione scolastica è una risorsa (Butera, 2002)
Quello che voglio dirvi è che non tanto l’organizzazione ma quanto l’auto-organizzazione è l’ elemento chiave, dove gli studenti sono centrali. Non so se lo sappiate, ma il motivo per cui all’Università la ricerca procapite nel mondo è più alta rispetto ai CNR nazionali è perché in realtà i professori fanno ricerca con gli studenti, con i laureandi, con i dottorandi e quindi sono gli studenti la risorsa enorme, nelle università come nella scuola.
IL PRINCIPIO DELL’EMERGENZA
L’auto-organizzazione non è una boutade, in realtà nasce dal principio di Philip Anderson, premio Nobel per la fisica, sull’emergenza dal basso. Il suo articolo “More is different” del 1972 è considerato un po’ il manifesto delle scienze della complessità.
Anderson arriva a dire che l’emergenza in tutta la sua infinita varietà è il mistero più affascinante della scienza.
Il principio dell’emergenza nel mondo fisico
L’emergenza esiste nel mondo fisico. Pensate all’acqua a temperatura ambiente, idrogeno e ossigeno sono liquidi, ma a temperatura ambiente i singoli elementi idrogeno e ossigeno sono gassosi. Cosa vuol dire? Vuol dire che lo stato liquido dell’acqua non è una proprietà dei singoli elementi che la compongono, idrogeno e ossigeno, ma nasce dall’interazione tra i due. Cioè la proprietà liquida emerge da un processo di interazione. Qui sta il nocciolo delle scienze della complessità. E cioè capire che se si dipana un problema di natura complessa nei singoli elementi che lo compongono, si perde, come nel caso dell’acqua, addirittura il fenomeno stesso, che è la liquidità.
Quindi la tesi è: quando il problema è complicato si può applicare l’approccio analitico, si può smontare e andare ai singoli elementi, ma quando il problema è complesso e si cerca di smontarlo con approccio analitico ci si ritrova con i singoli elementi ma si è perso il fenomeno. In conclusione quando il problema è di natura complessa l’approccio non può essere quello analitico ma quello sistemico.
Con l’approccio sistemico non solo si considerano le singole variabili x y z ma anche le relazioni, che non sono altro che le equazioni del sistema.
Guardate questo video:
In questo video si vede un esperimento semplicissimo: ci sono cinque metronomi su una tavoletta che partono asincroni. Poi vengono messi sopra due lattine e improvvisamente cominciano a muoversi tutti perfettamente sincronizzati. Potete provare lo stesso esperimento con due vecchi orologi cucù: li fate partire, tornate dopo tre giorni e li troverete perfettamente sincronizzati. E’ come se i cucù si parlassero lungo il muro per sincronizzarsi. Perché i sistemi fisici si portano tutti sul punto di minimo energetico, come se la spending review fosse passata per il cosmo.
Il principio dell’emergenza nel mondo biologico
L’emergenza non esiste solo nel mondo fisico, ma anche in quello biologico.
Un neurone non pensa, ma molti neuroni pensano. Quindi il pensiero non è una proprietà dei neuroni, ma delle loro interazioni, della sinapsi.
Quindi la nostra autocoscienza non appartiene alle nostre cellule viventi ma appartiene alla loro interazione.
Alberto Gandolfi, autore di Formicai, imperi, cervelli. Introduzione alla scienza della complessità (1999) scrive: “Possiamo studiare per anni e anni ogni dettaglio dei neuroni, ma non arriveremo in questo modo a capire perché adoriamo la musica di Mozart, perché siamo scarsi in matematica o perché ci stiamo innamorando.”
Il chimico russo Dmitrij Mendeleev pubblicò nel 1869 la sua prima tavola periodica. Nel 1871 ne pubblicò una forma aggiornata, dando anche accurate predizioni sugli elementi che aveva notato che mancavano, ma che sarebbero dovuti esistere.
Quando Mendeleev completò la tabella dei 118 elementi, lui e gli altri chimici ebbero per così dire un infarto. Erano infatti convinti che ci fosse qualche elemento che generasse la vita, e invece dovettero constatare che la vita era fondata sugli stessi elementi che componevano la materia inanimata. Quindi da dove nasceva la vita rimase un mistero.
Quindi voi avete due grandi emergenze: la prima dal passaggio dalla materia inanimata alla materia animata e poi dalla materia animata alla materia cosciente. Quindi l’emergenza è uno dei fenomeni più misteriosi con cui ci confrontiamo.
Questo è un bellissimo video, dal sito ted.com, del matematico Steven Strogatz, professore di matematica applicata alla Cornell University, che ha studiato la sincronizzazione dei movimenti dei pesci, degli uccelli e anche delle lucciole.
Gli stormi che si muovono perfettamente sincronizzati, si basano quattro regole:
- I regola: i singoli sono consapevoli solo di chi gli sta più vicino,
- II regola: ogni individuo tende ad allinearsi nella direzione media,
- III regola: gli individui mantengono una distanza pari alla lunghezza del proprio corpo (i pesci), tre o quattro volte il loro corpo (gli uccelli),
- IV regola: quando un predatore arriva togliersi di mezzo.
Quindi queste quattro micro regole spiegano che gli stormi emergono dal basso, non c’è un capobranco. Ci sono quattro micro regole applicate da ciascun singolo individuo.
Voglio arrivare a dire che le regole semplici danno vita a comportamenti complessi, che danno vita alla sopravvivenza. La complessità in cui noi siamo immersi, non è arrivata per caso, ma perché aumenta le probabilità di sopravvivenza.
Pensate che se non ci fosse la complessità dei mercati, i prodotti cinesi standard ci avrebbero massacrato, invece la complessità dei mercati è una fortuna per gli italiani, come la complessità del volo per gli uccelli.
Non so se avete mai visto i moscerini lungo un fiume al tramonto che volano impazziti. Come mai non volano lineari e tranquilli?
Perché la rana conosce la trigonometria! Se li mangerebbe tutti.
Il principio dell’emergenza nel mondo sociale
L’emergenza esiste anche nel mondo sociale: i distretti non li ha mai pianificati nessun assessore regionale, sono frutto di un’emergenza dal basso prima di tipo culturale poi professionale, sociale, industriale eccetera. Il distretto è un sistema auto-organizzato, ossia un sistema privo di un soggetto, di un disegno prestabilito, di un’impostazione top-down, di un potere che assuma il ruolo di organizzatore. Nonostante l’assenza di un disegno precostituito e di un regolatore attivo che indirizzi gli eventi verso lo sbocco voluto, la somma delle molte interazioni non dà luogo ad un processo caotico e incontrollabile. Anzi, emerge un ordine spontaneo, un coordinamento di fatto, la cui trama sotterranea resta invisibile ad una osservazione superficiale. Le decisioni prese da ciascuno degli operatori sembrano svolgersi in modo indipendente l’una dall’altra, a volte sembrano casuali, ma non è così. Una rete di interconnessioni le collega, le disciplina, le indirizza verso un ordine che è fonte di elevata competitività del sistema a livello non solo locale, ma anche globale.
Normann (2002) considera il distretto industriale come un sistema complesso adattativo aperto. Al suo interno si verificano i fenomeni tipici dei sistemi complessi. Le connessioni sono numerose e potenti, tanto che il distretto diventa il «luogo di incontro», regna il disordine creativo tipico dell’orlo del caos, circolano grandi volumi di «unità di baratto» e i processi sono tipicamente orizzontali per favorire l’auto-organizzazione.
Normann pone però l’accento sul fatto che il distretto è un sistema aperto. Si sa che un sistema, per auto-organizzarsi, deve ricevere energia dall’esterno. Il distretto è aperto e riceve energia dalle relazioni che stabilisce con diversi soggetti territoriali: la famiglia, i sindacati, la Chiesa, le associazioni, le Camere di Commercio, i partiti politici, le altre istituzioni sociali, il bar, le fiere specializzate, le organizzazioni imprenditoriali locali.
Quindi l’auto-organizzazione è il risultato di processi di emergenza dal basso che ha due grandi regole:
- competizione e cooperazione
- retroazione positiva
In ogni organizzazione ci sono persone che cooperano e competono e che si autosostengono; questi pallini nella figura a fianco possono essere atomi, molecole, scuole, stati, eccetera.
Il concetto di competizione e cooperazione è spiegato magnificamente nella scena di un bellissimo film “A beautiful mind”, dedicato alla vita del matematico e premio Nobel John Nash. E’ la scena dei ragazzi al bar all’arrivo di un gran bionda. Alla vista di questa bellissima ragazza i ragazzi sono scossi da una tormenta ormonale e vogliono tutti buttarsi a corteggiarla, ma Nash li calma e spiega che se tutti vanno a corteggiare la bionda non se la fa nessuno, se corteggiano le amiche more dopo aver tentato con la bionda, queste si offendono, tanto vale corteggiare subito le amiche more. Così fanno e alla fine la bionda rimane l’unica a bocca asciutta. Ma in realtà è il genere umano che vince con l’approccio di tipo cooperativo e quindi la cooperazione è importante come la competizione.
La seconda caratteristica positiva, la retroazione positiva, la presenza della circolarità in ogni organizzazione.
Un esempio: la tastiera QWERTY, chiamata così perché in alto a sinistra ci sono quei caratteri. Se chiediamo a 100 persone come mai è fatta così, 99 rispondono perché è stata studiata per migliorare l’ergonomia. La risposta giusta è quella opposta: è stata studiata per andare il più piano possibile perché se il dattilografo batteva troppo in fretta, i martelletti dei singoli tasti tendevano a incastrarsi nella piastrina guidacaratteri.
E’ allora importante notare che ci sono tecnologie che non si sono evolute perché migliori delle altre (anzi in alcuni casi erano peggiori), ma perché sono insorti dei circoli virtuosi (per queste tecnologie) e viziosi (per le tecnologie perdenti).
LE RELAZIONI TRA DISCIPLINE
Visto che qui siamo tra professori, volevo fare una brevissima riflessione sulle discipline, perché anche le discipline sono spiegate in questa logica di emergenza dal basso.
Discipline come comprensione ai diversi livelli
Per studiare le particelle elementari – protoni, elettroni – serve la fisica.
Per studiare ciò che emerge dalle molecole – le biomolecole – serve la biologia.
Per studiare ciò che emerge dalle biomolecole – tessuti e organi – serve la medicina.
Per studiare ciò che emerge dai tessuti cerebrali – la coscienza individuale – serve la psicologia, la pedagogia, l’antropologia.
Per studiare ciò che emerge dalla coscienza individuale – la coscienza collettiva sociale – serve la sociologia, la filosofia, l’economia, ecc.
Le scienze sono interconnesse in una logica di emergenza dal basso, per cui dove termina la comprensione di una disciplina inizia la comprensione di un’altra. Sono nodi di una rete con relazioni multiple, come un sistema multipiano dove le discipline si auto- sostengono nella comprensione del reale. Al piano zero studiamo la dinamica, al piano meno uno studiamo in maniera analitica cosa c’è sotto e se invece andiamo verso l’alto andiamo, in sintesi, a studiare il funzionamento del sistema.
Quindi quando noi parliamo di approcci multidisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari, in realtà ci diamo prospettive nelle discipline, tra le discipline o oltre le discipline, con principi rispettivamente additivi, sinergici o emergenti, con dei processi di somma, integrazione o di sintesi costruttiva.
La metafora grafica che vedete nella figura seguente spiega l’approccio multidisciplinare, interdisciplinare e transdisciplinare.
Vedete due cerchi separati, due cerchi che si intersecano e infine la sfera come terza dimensione. Di qui nasce la metafora matematica 2 + 2 = 4, 2 + 2 = 5 e 2 + 2 = giallo. Sotto la metafora alimentare: un’insalata dove pomodori e lattuga sono ben separati; poi la fonduta dove ormai il formaggio si sta fondendo con la polenta, infine la torta dove invece non è più possibile tornare agli ingredienti iniziali.
LA COSTRUZIONE DELLA CONOSCENZA
Secondo il prof Nonaka, della Berkeley University, e professore emerito di International Business Strategy alla Hitotsubashi (Graduate school of International Corporate Strategy), la creazione di conoscenza è da intendere come un processo di diffusione nel quale il sapere creato dagli individui viene sistematizzato all’interno della rete di conoscenze dell’organizzazione. A partire da questi concetti propone il modello denominato “Organizational Knowledge Conversion” che presenta il processo di generazione della conoscenza come spirale nella quale viene creata sempre nuova conoscenza. Come esemplificato nella figura sopra, la spirale riguarda le dinamiche di creazione della conoscenza basata sulle conversioni tacita/ esplicita attraverso i processi di socializzazione, esteriorizzazione, combinazione ed interiorizzazione (modello SECI, acronimo di Socialization, Externalization, Combination, Internalization).
Nel modello, integrato dallo stesso Nonaka nel 2001, il processo a “spirale” si sviluppa lungo 2 dimensioni: la prima detta “epistemologica”, riguarda le interazioni esistenti tra la conoscenza tacita e quella esplicita; la seconda dimensione, detta “ontologica”, concerne gli individui e l’organizzazione. Secondo questo modello un’organizzazione è in grado di creare conoscenza solo attraverso gli individui in essa operanti.
Il modello SECI di Nonaka risulta molto chiaro anche in questa famosissima matrice: un processo sociale di conversione della conoscenza, di natura interattiva e con sviluppo a spirale, che avviene tra individui ed esula dai confini interni della singola persona., composto da quattro fasi: 1) Socializzazione, 2) Esteriorizzazione, 3) Combinazione 4) Interiorizzazione.
Il modello SECI mostra come il processo di creazione della conoscenza sia senza fine. Esso nasce a livello individuale e si sviluppa a livello di gruppo concludendosi a livello organizzativo. Affinché questo processo possa avere luogo è necessario creare le condizioni al contorno che lo rendano possibile.
Questi fenomeni avvengono anche dentro una classe o dentro una scuola e sono estremamente complessi, intricati e articolati. L’apprendimento è un fenomeno emergente.
L’emergenza nell’apprendimento
Vi invito a guardare questo video dell’indiano Sugatra Mitra, professore di Educational Technology a Newcaste, vincitore del Premio Ted nel 2013. E’ molto utile per capire cosa si intende per “apprendimento come fenomeno emergente”.
Famosissimo il suo esperimento, avviato in alcune zone povere dell’India, noto come “The hole in the wall”, Il buco nel muro”. Nel 1999 Sugata Mitra e i suoi colleghi fecero “un buco nel muro” in uno slum urbano a New Delhi, e vi installarono un PC connesso ad internet e lo lasciarono li, posizionando una telecamera nascosta. Ciò che videro fu sorprendente. I bambini si avvicinavano e giocavano con il computer e mentre giocavano imparavano ad usarlo e a navigare in internet da soli, e videro anche che chi aveva imparato insegnava ai compagni. I bambini imparavano a usare il computer e a navigare in internet in pochissimo tempo. Sugata Mitra ha rifatto molte volte lo stesso esperimento, variando le condizioni, e ha sempre verificato lo stesso fenomeno.
Sugata Mitra afferma che Il vero cambiamento di paradigma in educazione sarà la conversione del processo educativo in sistemi auto-organizzati, dove l’apprendimento è un fenomeno emergente”. Ha proposto un ambiente di apprendimento che si chiama SOLE, Self Organising Learning Environments. Poi si è addirittura inventato “le nonne nel cloud”, risorse fondamentali nei paesi in via di sviluppo.
Modelli di apprendimento
Vediamo ora alcuni modelli di apprendimento.
Nelle figure sotto vediamo:
- Deriva dall’azione (Piaget).
- Procede per tentativi, (Bateson): esplorare è la parola giusta, ma forse è meglio dire procedere per “prove ed errori”, potrebbe essere anche per “errori e successi”, all’interno dei quali si trova una soluzione.
- Non predicare fatti ma stimolare atti (Halmos).
- L’insegnamento e l’apprendimento sono in interazione circolare (De Toni, Marchi).
- Passaggi da apprendimento standardizzato a individualizzato a personalizzato.
- L’interazione fra apprendimento formale, non formale e informale.
- Legame tra insegnamento e apprendimento: l’apprendimento significa costruire conoscenza, mentre l’insegnamento condividerla; l’apprendimento vuol dire capacità di combinazione della conoscenza, l’ insegnamento capacità relazionali di condivisione della conoscenza; l’apprendimento è internalizzazione della conoscenza (da esplicita a tacita), l‘insegnamento è esternalizzazione della conoscenza (da tacita a esplicita);l’apprendimento è un approccio bottom-up, l’insegnamento top-down (De Toni, Marchi).
FRAMEWORK PER LA MISURAZIONE
DELLA INNOVATIVITÀ DEGLI AMBIENTI DI APPRENDIMENTO
Per misurare se era vero che una scuola auto-organizzata ha davvero un ambiente di apprendimento innovativo abbiamo dovuto inserire delle metriche, ma se è facile misurare una prestazione quantitativa è facile , è invece molto difficile misurare la conoscenza,o l’apprendimento o l’amore. Noi ci siamo basati su delle scale di misurazione fatte dai sociologi, abbiamo individuato 22 variabili che definiscono quanto un ambiente di apprendimento sia innovativo. Certo qualcun potrà dire che non sono 22, ma sono 25 o 15, comunque alla fine siamo arrivati a fare la rappresentazione che vedete, che è una sintesi costruttiva senza inventarci niente.
Andando nel dettaglio vediamo come l’apprendimento è suddiviso in altre 6 variabili e abbiamo dato un valore da 1 a 5.
Queste misurazioni le hanno date i docenti delle scuole, attraverso un questionario di 51 domande.
Poi abbiamo cominciato a fare dei profili, misurando quanto fosse innovativo l’apprendimento.
FRAMEWORK PER LA MISURAZIONE
DELLE CAPABILITY DELL’ AUTO-ORGANIZZAZIONE
Abbiamo anche misurato le capabilities dell’ auto – organizzazione, ovvero le capacità sociali di un’organizzazione.
Abbiamo ricostruito quelle che a nostro avviso sono più importanti:
- riconfigurazione,
- ridondanza,
- interconnessione
- condivisione
Per questi parametri abbiamo proposto un questionario di 40 domande, attraverso il quale abbiamo tracciato i profili delle capabilities della scuola.
Qui i risultati dell’indagine sullo studio di 14 scuole di ogni ordine e grado.
Dove c’è più innovatività dell’ambiente di apprendimento è perché ci sono capabilties organizzative più spinte.
AUTO-ORGANIZZAZIONE:
IL FUTURO PIÙ AFFASCINANTE DELLE ORGANIZZAZIONI
L’auto-organizzazione è una macchina non banale
Secondo Foerster una macchina banale è caratterizzata da una relazione lineare tra il suo input e il suo output; è determinabile analiticamente ed è prevedibile.
Una macchina non banale, ossia una macchina complessa, è dotata di uno stato interno. Questo comporta che le relazioni di input/output non sono invarianti ma sono determinate dal precedente output. Una macchina non banale costruita su 2 input (A e B), 2 output e 2 stati interni determina 65536 combinazioni possibili. Portando a 4 le componenti si ottengono 10 elevato alla 2466 macchine ABCD possibili.
La scuola, come ogni organizzazione, è una macchina non banale.
Le stesse cose fatte in una scuola e in un’altra hanno risposte diverse, non vale il principio causa effetto, perché il sistema è complesso.
Questo che vedete nella figura sotto è lo schema dell’auto-organizzazione.
L’auto-organizzazione richiede energia
Philip Warren Anderson, premio Nobel per la fisica nel 1977, sostiene che il management deve fornire l’energia esterna necessaria affinché i sistemi complessi – come le scuole e le classi- si auto-organizzino.
In sintesi l’auto organizzazione non ha luogo se non vi è un flusso di energia continuo all’interno del sistema, nel mondo fisico questo flusso è il sole, nella scuola è rappresentato da dirigenti e docenti.
L’auto-organizzazione non implica perdita di potere
La concettualizzazione del potere come entità a somma non-zero è il passo critico per giungere a capire l’essenza dell’empowerment e la gestione dei sistemi a molte menti.
La cosa interessante è questa: Il potere è come la conoscenza, può essere duplicato. L’empowerment non è abdicazione di potere, né condivisione di potere. È duplicazione di potere.
L’essenza dell’empowerment è il management dei sistemi “a molte menti”.
Quindi i docenti devono avere potere, potere decisionale, perché è l’unica condizione per passare da un sistema “a una mente” (quello del dirigente scolastico) a un sistema a “molte menti” (con docenti e allievi).
Che cosa non è l’auto-organizzazione
Auto-organizzazione non è anarchia, lasciar fare, perdita di controllo e neanche semplice autogestione.
La leadership non è una nomination, ma è un’ election.
Nel libro trovate diverse matrici per quanto riguarda le caratteristiche dell’ambito, dell’oggetto e degli attori dell’auto-organizzazione.
All’interno della scuola gli attori dell’auto-organizzazione sono potenzialmente quattro: dirigenti scolastici, docenti e tecnici, studenti e genitori.
Gli ambiti dell’auto-organizzazione sono due, intra-scolastico ed extra-scolastico.
Gli oggetti dell’auto-organizzazione sono molti: orientamento in ingresso e uscita, apprendimento, insegnamento, organizzazione, attività curriculari (assemblee, progetti, giornate, didattica peer teaching), attività extracurriculari (annuario,feste, gestione spazi), relazioni esterne, ricerca di finanziamenti ecc.
L’auto-organizzazione dà vita a gruppi di studenti, associazioni di genitori, gruppi di docenti e tecnici impegnati in progetti o afferenti a dipartimenti, reti di docenti e tecnici, reti di dirigenti scolastici, reti di scuole ecc.
Nell figura sotto sono indicate le relazioni tra attori, ambito, oggetto dell’auto-organizzazione e gruppi auto-organizzati.
Ci sono quattro classi di stili di leadership: laissez-faire, comando, conduzione, costruzione. Applicando queste quattro classi alle scuole, è possibile individuare quattro categorie di scuole:
- scuole laissez-faire,
- scuole gerarchiche autoritarie,
- scuole gerarchiche illuminate
- scuole auto-organizzate.
Le quattro categorie sono ottenute incrociando quattro variabili:
- ruolo del dirigente scolastico (passivo, attivo in negativo, attivo in positivo);
- preparazione e auto-motivazione dei docenti (fai-da-te, preparati e non auto-motivati, preparati e auto-motivati);
- stile di governance (assenza di controllo, controllo, presidio);
- organizzazione della scuola (a una mente, a molte menti).
Vediamo più in dettaglio.
Scuole laissez-faire.
Il dirigente scolastico ha vinto il concorso “per caso”. Non ha carisma, non gli viene riconosciuta alcuna leadership. Non è propositivo, si limita ad applicare regolamenti e norme ministeriali. Dilaziona fin che può le decisioni, scarica le responsabilità su altri, non è in grado di valutare seriamente le attività di docenti e collaboratori e di dare suggerimenti.
I docenti devono arrangiarsi, diventando autentici docenti “fai-da-te”. Nel tempo si crea una selezione avversa: i docenti migliori cercano di trasferirsi, rimangono in maggioranza docenti non preparati e/o non auto-motivati. In queste condizioni non esiste la possibilità che si creino gruppi qualificati e coesi di docenti e quando capita è solo per opporsi al dirigente. Si apre una stagione di conflitti interni, con danni anche per gli studenti. L’organizzazione è riconducibile a una sola mente: quella del dirigente “laissez-faire”. Il controllo è assente e la leadership è disastrosa.
Scuole gerarchiche autoritarie.
Il dirigente scolastico ha vinto con merito il concorso perché era preparato. Ma ha un problema: è caratteriale. In altri termini: è un tipico caso di “infanzia non risolta”. Ha la propensione a comandare, non sa ascoltare, semplifica situazioni complesse perché una mente, da sola, anche se eccelsa, non può bastare a gestire un’organizzazione ampia e articolata come una scuola. I rapporti con i docenti sono difficili. I migliori docenti sono esperti, ma nel tempo perdono ogni auto-motivazione. Il controllo in ultima analisi è parziale, perché non si avvale dell’intelligenza distribuita di tutti i docenti. La scuola è gerarchica autoritaria, nel senso che il dirigente scolastico vuole comandare, rinunciando al contributo prezioso dei suoi docenti e collaboratori.
Scuole gerarchiche illuminate.
Questa volta il dirigente scolastico non solo è competente, ma è anche equilibrato e illuminato. È attivo in positivo, e non in negativo come il precedente. Propone, suggerisce, stimola, cerca la collaborazione di docenti e studenti. La risposta dei docenti è parziale: alcuni si auto-attivano e sposano la visione e le azioni del dirigente, altri non se la sentono di impegnarsi così a fondo come il dirigente vorrebbe. Il risultato è che la direzione della scuola non è a molte menti: quelle di tutti i docenti e di altri attori ancora. La leadership è riconosciuta ed esercitata con efficacia, ma l’auto-motivazione di tutti i docenti non è ancora una realtà.
Scuole auto-organizzate.
In questo caso la situazione è ideale: il dirigente è competente, relazionale e visionario e i docenti non sono solo preparati, ma anche auto-motivati. In una parola, i docenti sono self-leader. Si trovano nelle condizioni di lavorare in autonomia e i risultati non si fanno attendere: gli studenti apprendono con efficacia. Sulla base di un insieme di valori condiviso, dirigente, docenti e tecnici, studenti e genitori si mobilitano attorno a una visione di una comunità che apprende. Il dirigente assume il ruolo non più di conduttore (alla meta), bensì quello di costruttore di un contesto dove a regime tutti i docenti (e gli studenti) diventano self-leader e trovano la loro strada di auto-realizzazione. L’organizzazione diventa a molte menti e il sistema di governance passa da quello di controllo a quello di presidio. Al centro il dirigente dà l’esempio, fornisce l’energia del cambiamento, si preoccupa di presidiare il contesto e delinea nuovi percorsi, mentre il controllo è esercitato da docenti e studenti in periferia.
Queste quattro categorie – scuole laissez-faire, scuole gerarchiche autoritarie, scuole gerarchiche illuminate e scuole auto-organizzate – sono idealtipi. Ogni scuola si trova in situazioni intermedie e contingenti. Ma le categorie sono utili per individuare una direzione evolutiva, attorno a cui invitare tutti gli attori della scuola a riflettere e a indirizzarsi.
LE RESISTENZE ALL’AUTO-ORGANIZZAZIONE
L’autonomia scolastica è condizione necessaria ma non sufficiente per garantire un apprendimento efficace.
Bisogna puntare sull’auto-organizzazione come evoluzione dell’autonomia scolastica.
Le resistenze vengono dall’alto e dal basso.
Dall’alto perché siamo abituati ad una leadership che controlla
Il pilota di Formula 1 Mario Andretti diceva, “Se tutto è sotto controllo stiamo andando troppo piano”. Le resistenze dal basso arrivano perché molti hanno paura della responsabilità”.
Ma le resistenze provengono anche da chi sta in basso. È molto più sicura e tranquillizzante la gerarchia, illusione di ordine, controllo e prevedibilità. Molte persone anche all’interno della scuola si aspettano stabilità, si aspettano che i timonieri – in primis il Ministero, gli uffici scolastici e i dirigenti – sappiano perfettamente dove andare. Si aspettano che chi sta in alto ne sappia sempre di più di chi sta in basso.
I MOTORI DEL CAMBIAMENTO
Quali sono in generale i motori del cambiamento?.
Guardate cosa dice Carl Sandburg: “Non succede niente se prima non avete un sogno”.
E guardate cosa diceva J. F. Kennedy: “Abbiamo bisogno di uomini che possano sognare cose che non sono mai esistite”.
E infine Martin Luther King disse “I have a dream…”
Allora i motori del cambiamento sono la visione, serve un’anima, un’ispirazione; e un sogno, un “ dream”.
I “have a dream “è diventato uno slogan simbolo della possibilità di raggiungere mete apparentemente impossibili. Se Martin Luther King decise di gridare ai suoi seguaci “I have a dream” e non, invece, “Ho un piano quinquennale”, evidentemente un motivo c’era: è che gli uomini hanno bisogno di inseguire un sogno per dare il meglio di se stessi.
I MOTORI DEL CAMBIAMENTO NELLA SCUOLA
Come tutte le organizzazioni, anche la scuola ha bisogno di forti mortori di cambiamento, che non sono diversi da quelli prima esposti: una visione, un sogno. Senza questi sentimenti non ci sarà cambiamento nella scuola.
Le resistenze dall’alto e dal basso all’auto-organizzazione non saranno mai superate se alla scuola mancherà un’anima, una comune ispirazione, un dream, una visione, una passione che coinvolga tutti i collaboratori nel gusto della scoperta, della ricerca, nella costruzione del nuovo, nella soddisfazione di creare qualcosa di proprio, di distintivo, nel dare significato alla propria storia, al proprio progetto di vita, a un progetto di società più giusta e solidale.
L’energia esterna è necessaria affinché i sistemi complessi adattativi – come le scuole e le classi – si auto-organizzino. Questo flusso è garantito dall’intra-imprenditorialità dei docenti (nella classe) e dei dirigenti scolastici (nella scuola). La scuola muta se i suoi attori la spingono dal basso verso nuove attività, portano nuove sfide e obiettivi all’attenzione di tutti, formano e rompono connessioni all’interno e all’esterno.
In una scuola che promuove l’auto-organizzazione, dirigenti e docenti passano da un ruolo classico di “pianificazione e controllo” (rispettivamente della scuola e dell’apprendimento) a uno nuovo di “creazione e presidio” del contesto (rispettivamente scolastico e di apprendimento). Un contesto dove la vera motivazione è l’auto-motivazione, frutto di una visione condivisa, ottenuta con l’esempio del leader che fornisce l’energia del cambiamento. Il futuro è in scuole auto- organizzate capaci di promuovere feconde reti interconnesse.
Per aumentare la qualità dei processi di apprendimento e delle scuole è necessario puntare sulle capability dell’auto-organiz-zazione, ovvero sulla partecipazione e sull’assunzione di responsabilità da parte di tutti in una logica di intra-imprenditorialità.
Serve intelligenza distribuita, inter-connessa, auto-motivata e auto-attivata.
Al centro non si risolve. Il Ministero è necessario, ma non sufficiente.
Il futuro è nella periferia, dentro le scuole auto-organizzate, capaci di promuovere feconde reti interconnesse di studenti, tecnici, docenti, dirigenti e scuole.
L’auto organizzazione è il futuro più affascinante, per ogni scuola, per ogni dirigente, per ogni docente, per ogni studente.
CONCLUSIONI
LA ZATTERA DELLA MEDUSA
Mi piace concludere con questo quadro, La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse), un dipinto di Théodore Géricault, realizzato nel 1818-19 e conservato nel Museo del Louvre a Parigi.
Il dipinto rappresenta un momento degli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 5 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania.
Questo quadro rappresenta un po’ la scuola: c’è qualcuno che ci crede nel salvataggio e sta aspettando; qualcuno è già morto, infine c’è un puntino laggiù, è la nave che sta arrivando. Quella è Alessandra Cenerini che ci crede.
Grazie a tutti!