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Scuole e prove INVALSI – ll vizietto di buttar via il bambino con l’acqua sporca

di

Giampaolo Sbarra, Vicepresidente ADi, fa una lucida analisi della diffusa opposizione alle prove INVALSI nella scuola secondaria di 2° grado e spiega perché l’ADi le sostenga.

di Giampaolo Sbarra, Vicepresidente ADi

[stextbox id=”grey” image=”null”]Buttare il bambino con l'acqua sporca[/stextbox]

Le prove Invalsi, che quest’anno verranno introdotte in tutte le seconde classi delle scuole secondarie di 2° grado, stanno suscitando un’opposizione pregiudiziale da parte di alcune sigle sindacali e di diversi collegi docenti.

Certamente il MIUR non ha agevolato dirigenti scolastici e Collegi nella predisposizione di una buona organizzazione di questo evento; soprattutto non ha destinato risorse aggiuntive al Fondo di istituto e alla formazione. Questo avrebbe quantomeno evitato  contestazioni sulla mancata retribuzione  del lavoro aggiuntivo e avrebbe contribuito a trasformare queste valutazioni in un’occasione di crescita professionale e di miglioramento degli apprendimenti attraverso una formazione mirata e un’adeguata attività collegiale di analisi e rielaborazione dei dati.

Ma l’opposizione che si va sviluppando in alcune scuole, ha un carattere soprattutto pregiudiziale, e spesso si basa su un’informazione parziale, deformata e poco aggiornata, fornita ad una platea di docenti che poco sa delle caratteristiche del progetto del Servizio Nazionale di Valutazione dell’Invalsi.

Pollice versoDemagogia e scarsa informazione favoriscono la diffusione di alcuni luoghi comuni (frutto di pregiudizio o disinformazione), che bisogna sfatare, tra i quali:

1. le prove Invalsi servono per la valutazione dei professori;

2. servono per dividere le scuole in istituti di serie A e istituti di serie B;

3. servono per togliere finanziamenti alle scuole pubbliche e dirottarli sulle private;

4. sono come i test per la patente;

5. chi ha fatto i test non conosce la scuola e gli studenti;

6. sono difficili, e servono a dimostrare che la scuola pubblica non funziona;

7. servono per modificare e indirizzare la didattica e renderla poco critica;

8. la valutazione Invalsi sostituisce la valutazione dei docenti;

9. i professori fanno già le loro corrette valutazioni, conoscendo la situazione degli studenti;

10. la prove Invalsi violano la privacy degli studenti e delle famiglie.

Al contrario, non si mette in evidenza uno degli elementi fondamentali delle prove e dell’analisi dei risultati, vale a dire la determinazione del cosiddetto “valore aggiunto” delle scuole, cioè la valutazione della capacità o meno delle singole scuole di incidere sulle condizioni di partenza, consentendo agli studenti di mitigare le eventuali condizioni sfavorevoli dovute al contesto sociale, economico, famigliare ecc..

L’ADi ritiene:

Pollice Ok1. che l’avvio di un sistema di valutazione degli apprendimenti sia una necessità per progettare e realizzare le iniziative di miglioramento;

2. che un sistema di valutazione degli apprendimenti non è valido “per sempre”, ma deve essere adeguato progressivamente, e ciò può essere fatto solo sperimentandolo;

3. che un sistema standardizzato di valutazione degli apprendimenti rientra anche nel dettato costituzionale, che vuole garantire a tutto il territorio nazionale i “livelli essenziali delle prestazioni”;

4. che i risultati dei test somministrati a tutti gli studenti, rielaborati dall’Invalsi (con la garanzia dell’anonimato) e riconsegnati ad ogni scuola, insieme ai risultati delle “classi campione”, permetteranno ad ogni collegio dei docenti un esame approfondito (anche a livello comparativo) della situazione delle singole classi, almeno in alcune delle competenze base (per quest’anno la lettura e la matematica).

La prove Invalsi quindi non vanno né mitizzate né demonizzate, ma utilizzate come strumenti di miglioramento dell’attività dei docenti e della loro professionalità, passando da un insegnamento  basato su un’interpretazione soggettiva dei risultati a una “conoscenza informata” basata su dati  trasparenti e comparabili.

Mi piace concludere con le parole del grande sociologo francese François Dubet:

Nei docenti si è prodotta una terribile alleanza fra radicalismo politico e conservatorismo pedagogico: più sono trotskisti più sono conservatori. Così, anche se non lo dichiarano, rifiutano di fatto l’avvento della scuola di massa e di quasi tutte le riforme.”

Una volta tanto, cerchiamo di non buttare via il bambino con l’acqua sporca!