Brevi News

Un libro ed un convegno di TREELLE

di

Un libro ed un convegno di TREELLE sulla Istruzione Tecnica

A che punto è la Istruzione Tecnica?

Se lo è domandato un Convegno di TREELLE – Fondazione  Rocca tenutosi a Milano il 18 novembre 2015, in occasione della presentazione della ricerca “Innovare l’Istruzione Tecnica Secondaria e Terziaria”. Tiziana Pedrizzi e Francesco Stucchi hanno partecipato a nome dell’ADI e ne hanno fatto un resoconto commentato, che è pubblicato all’interno.

per fare il punto sulla Istruzione Tecnica

A cura di Tiziana Pedrizzi e Francesco Stucchi


A che punto è la Istruzione Tecnica?

Se lo è domandato un Convegno di TREELLE – Fondazione  Rocca tenutosi a Milano, con il patrocinio dell’Assessorato all’Istruzione di Regione Lombardia, il 18 novembre 2015, in occasione della presentazione della ricerca “Innovare l’Istruzione Tecnica Secondaria e Terziaria”.

La domanda si giustifica, se si ripensa a ciò che è avvenuto nel decennio precedente.

 

Il travagliato percorso dell’istruzione tecnica e professionale

La prima ipotesi della Commissione Bertagna insediata dal ministro Moratti aveva cercato di riunire tutta la formazione per il lavoro in una unica “filiera”, mettendo insieme Istruzione Tecnica, Istruzione Professionale e la neonata Istruzione e Formazione Professionale ed affidandola alle Regioni. Questo il disegno.

La prima che si sfilò fu l’Istruzione Tecnica con il decisivo appoggio di Confindustria che vedeva il pericolo di un degrado dovuto all’abbraccio  mortale delle Regioni.

Dopo lunga battaglia, riapprodarono “in più spirabil aure” (l’istruzione statale) anche gli Istituti Professionali che il Ministro Fioroni ricollocò nel settore dell’istruzione, staccandoli dalla Formazione Professionale regionale,  pur non potendo riconsegnare loro anche il titolo di studio triennale professionalizzante di qualifica. Ne uscì un mostro quinquennale, una copia degli Istituti Tecnici per alunni meno dotati e con solo poche qualifiche vacillanti, ad eccezione di quella alberghiera, l’unica ancora in vita perché senza concorrenza nella Istruzione Tecnica e grazie al boom dei Master Chef.

La soluzione poi scelta da molte Regioni, in tutt’altre faccende affaccendate, di affidare agli stessi Istituti Professionali anche il compito di sfornare qualificati triennali aggiungendo (fintamente) al curriculo quinquennale simil-tecnico ANCHE quello professionalizzante, si è rivelata disastrosa per i poveri allievi che fuggono a gambe levate da aule divenute strumenti di contenzione o di mera perdita di tempo.

In questo contesto confuso la Istruzione e Formazione Professionale  sopravvive malamente: presente come percorso autonomo solo in alcune regioni, con regole e standard nazionali frutto di compromessi al ribasso, condizionata da finanziamenti regionali molto variabili ed in diminuzione, anche dove la domanda ci sarebbe.

Ma la Istruzione Tecnica è riuscita a fermare la discesa di iscrizioni che la aveva portata dal 45,5 dell’AS 1990-91 al 31,9% dell’AS 2011-12? I dati dicono di no perché oscilla sempre intorno alle stesse grandezze ed al 2014-15 siamo al 31,7%.

Questo mentre la Istruzione Liceale, grazie al Liceo Scientifico ma soprattutto ai Licei “nuovi”, è passata negli stessi anni dal 35,6% al 47,9%.

Gli ITS: un’esperienza di nicchia

image002Legate alle vicende della Istruzione Tecnica secondaria  sono quelle della istruzione terziaria che è rappresentata dagli Istituti Tecnici Superiori (ITS), su cui si è appuntata l’attenzione del Convegno. Si è detto infatti a ragione che un filone credibile ed appetibile di istruzione per il lavoro non si dà senza un completamento a livello del postdiploma.

Ma sono quasi 20 anni che, sotto la spinta del modello europeo che vede mediamente un 10% di titoli di livello terziario uscire dalle formazioni per il lavoro, si è aperta questa strada in Italia.

Ma siamo sempre lì: una esperienza di nicchia, alti investimenti procapite ma bassi in assoluto, collocazione assolutamente squilibrata fra Nord Centro e Sud nonostante che le opportunità siano per tutti uguali, coinvolgimento limitatissimo delle aziende. Che per lo più neanche conoscono questo tipo di formazione e la possibilità di attingervi i propri quadri. Eppure la percentuale di formati ITS collocati al lavoro è altissima ed è anche in buona situazione il riconoscimento della loro certificazione di competenze da parte dei corpi professionali corrispondenti.

Il mismatch tra formazione e mercato del lavoro

image003Una analisi del potenziale mercato del lavoro per tutti e due i livelli di formazione (IT ed ITS) metterebbe peraltro in luce, secondo i dati di Excelsior presentati, una situazione positiva. Le difficoltà di reperimento per le assunzioni sarebbero infatti legate per i datori di lavoro per il 17% al gap di offerta: troppi liceali e troppo pochi periti e la ripresa rischia di peggiorare la situazione. Gli altri elementi critici, sempre secondo la stessa fonte, sarebbero per il 49% il gap di competenze dovuto ad una formazione inadeguata (anche se la situazione starebbe migliorando) e per il 29% il gap di aspettative a causa della mancanza di riconoscimento sociale, e conseguentemente di appeal, dei lavori “manuali”.Ma, per quanto le assunzioni di diplomati siano diminuite nel periodo della crisi di circa un terzo, sempre secondo Excelsior , i diplomi hanno tenuto, con circa il 40% di assunzioni.

I relatori del Convegno hanno enumerato una lunga serie di cause di questo stallo, con le conseguenti proposte: maggiore libertà nella gestione delle scuole e nella definizione del piano di studio ed una accentuazione dell’aspetto operativo- laboratoriale per il livello secondario. Ed una istituzionalizzazione e generalizzazione del livello terziario degli ITS, uscendo anche dai faticosi viluppi delle Fondazioni e dalla loro aleatorietà.

L’intervento del Sottosegretario Faraone

image004Nelle sue conclusioni il Sottosegretario Faraone ha voluto rilevare che in realtà il  principale ostacolo  ad un decollo positivo della formazione per il lavoro nel nostro paese non sono  le carenze normative o organizzative o didattiche, quanto la ideologia diffusa che ne è la causa. Sospetto o rigetto del rapporto fra la scuola ed azienda e più in generale fra scuola e lavoro sono risuonate a lungo nelle manifestazioni contro la Buona Scuola, echi, si potrebbe aggiungere, di un passato che non passa.

Del pari ha rivendicato il fatto che, pur nei suoi limiti, la legge ha posto due punti fermi per cercare di porre i presupposti di un cambiamento o meglio per consolidare e dare forza alle realtà ed i modi di pensare diversi che esistono, ma che si danno meno visibilità degli altri. Il primo è l’obbligo per tutti nella Buona scuola della alternanza, con 400 ore per gli Istituti Tecnici  e con 200 anche per i Licei. Il secondo la rivitalizzazione del contratto di apprendistato nel Jobs Act. Si potrebbe anche aggiungere un particolare apparentemente solo tecnico: la possibilità di accesso diretto agli ITS anche per gli allievi diplomati (4° anno) della IeFP.

All’establishment  presente che nei decenni precedenti (è intervenuto anche Romano Prodi) si era impegnato sul tema ha sostanzialmente detto: voi avete tracciato la strada, noi cerchiamo sia pure gradualmente di realizzarla. Cercate di riconoscerlo.

Alcune riflessioni finali

image005La formazione tecnico scientifica e la formazione per il lavoro sono in crisi in tutto l’Occidente. Tanto è vero che OCSE continua in PISA a rilevare gli apprendimenti in Scienze, anche se le analisi dicono che non si tratta di un campo di competenza autonomo perché di sovrappone a quello di comprensione del testo (Lettura) o di capacità logiche (Matematica).Lo scopo è quello di incrementare le formazioni in questo campo, dappertutto nel ricco Occidente in pesante crisi di popolarità. Mentre nell’EastAsia le classifiche stesse di PISA dimostrano che gli sforzi dei giovani non mancano.

Una larga massa di giovani pensa da noi di non doversi sottoporre a grossi sforzi di apprendimento, per mantenere uno stile ed un livello di vita appetibile. Qualche sociologo ha parlato di stile di vita da rentier : a livello basso si capisce, anche perché la rendita a volte sono le pensioni dei genitori e dei nonni. Ma l’abbassamento dei costi di consumi una volta considerati di lusso provvede.

Si spiega anche così l’abbassamento dell’investimento sugli studi e/o il puntare su studi considerati più leggeri, gradevoli, umani: gli studi umanistici “leggeri” che spesso si risolvono in un blabla benpensantista.

Il nostro Paese non fa eccezione e la tradizionale propensione dei Paesi latino-mediterranei alla astrazione (non vien qui detto in termini positivi) e la diffidenza o il disprezzo per la scienza empirica e la operatività peggiorano la situazione.

Dunque la battaglia italiana per rivitalizzare la formazione per il lavoro e la nostra Istruzione Tecnica si colloca in un contesto impegnativo ed interessante.