COME SOPRAVVIVERE NEL XXI SECOLO
L’appassionata relazione di Yuval Harari al Forum mondiale di Davos 2020

image012Al Forum Economico Mondiale di Davos (21-24 gennaio 2020), Yuval Harari ha tenuto un’appassionata relazione sulle sfide esistenziali che l’umanità si trova ad affrontare nel XXI secolo.

Ne ha delineate tre: 1) guerra nucleare, 2) collasso ecologico, 3) sconvolgimento tecnologico.

Di queste ha affrontato la terza, sostenendo che la tecnologia potrebbe sconvolgere la società e il significato stesso di vita umana in molti modi, che vanno dalla creazione di una classe globale di lavoratori divenuta inutile all’ascesa del colonialismo dei dati e delle dittature digitali.

La rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale potrebbe creare disuguaglianze senza precedenti non solo tra classi ma anche tra Paesi.

Cina e Stati Uniti sono già al comando di questa rivoluzione mentre la maggior parte degli altri Paesi è rimasta molto indietro. L’IA creerà probabilmente un’immensa ricchezza in alcuni hub ad alta tecnologia, mentre altri Paesi falliranno o diventeranno colonie sfruttate di dati.

Oltre alla disuguaglianza, l’altro grande pericolo è l’ascesa delle dittature digitali, che monitoreranno tutti continuamente.
Questo pericolo può essere espresso sotto forma di una semplice equazione, che definisce la vita nel XXI secolo:

B x C x D = AHH!

Che significa: la conoscenza Biologica moltiplicata per la potenza di Calcolo moltiplicata per i Dati equivale alla capacità di hackerare l’uomo (AHH =Ability to Hack Humans).

Se conoscete abbastanza biologia e avete abbastanza potenza di calcolo e dati, potete sapere tutto delle persone più di quanto loro sappiano di loro stesse. Un sistema che può prevedere e manipolare i nostri sentimenti e le nostre decisioni e alla fine può decidere per noi.
Il potere di hackerare gli esseri umani può essere utilizzato per scopi buoni, come fornire assistenza sanitaria molto migliore, ma se questo potere cadrà nelle mani di uno Stalin del XXI secolo, afferma Harari, il risultato sarà il peggior regime totalitario della storia umana. E abbiamo già un certo numero di candidati a svolgere il lavoro di Stalin nel XXI secolo.

E se permetteremo l’emergere di tali regimi di sorveglianza totale, non si pensi che i ricchi e i potenti che si trovano in luoghi come Davos saranno al sicuro. Nell’URSS di Stalin, lo stato monitorava i membri dell’élite comunista più di chiunque altro. Lo stesso vale per i futuri regimi di sorveglianza totale. Più in alto si è nella gerarchia, più si sarà sorvegliati a vista. Quindi è nell’interesse di tutti gli umani, comprese le élite, impedire l’ascesa di tali dittature digitali.

Ora, anche se impedissimo l’istituzione di dittature digitali, la capacità di hackerare gli esseri umani potrebbe comunque minare il significato stesso della libertà umana. Infatti, dal momento che gli umani si affideranno sempre più all’I.A. per prendere decisioni, l’autorità si sposterà dagli umani agli algoritmi, e questo sta già accadendo.

Già oggi miliardi di persone si affidano all’algoritmo di Facebook che ci dice le novità, all’algoritmo di Google che ci dice ciò che è vero, a Netflix che ci dice cosa guardare e agli algoritmi di Amazon e Alibaba che ci dicono cosa comprare.

In un futuro non così lontano, algoritmi simili potrebbero dirci dove lavorare e chi sposare, e anche decidere se possiamo essere assunti o avere un prestito e se la banca centrale aumenterà il tasso di interesse.
Quindi, anche in Paesi presumibilmente liberi, è probabile che gli umani perdano il controllo della propria vita e perdano anche la capacità di comprendere le politiche pubbliche.

Che vita sarà quando le decisioni saranno prese dagli algoritmi?

Quale sarà il significato della vita umana, quando la maggior parte delle decisioni saranno prese da algoritmi? Non abbiamo modelli filosofici per comprendere una tale esistenza.

La doppia rivoluzione di infotech e biotech sta dando ai politici i mezzi per creare il paradiso o l’inferno, ma i filosofi hanno difficoltà a concettualizzare come appariranno il nuovo paradiso e il nuovo inferno. E questa è una situazione molto pericolosa.

Infine, la tecnologia potrebbe sconvolgere non solo la nostra economia, la nostra politica e la nostra filosofia – ma anche la nostra biologia.

Nei prossimi decenni, l’IA e la biotecnologia ci daranno capacità divine per riprogrammare la vita e persino per creare forme di vita completamente nuove. Dopo quattro miliardi di anni di vita organica plasmati dalla selezione naturale, stiamo per entrare in una nuova era di vita inorganica plasmata dal design intelligente.

I governi, le corporazioni e gli eserciti probabilmente useranno la tecnologia per migliorare le capacità umane di cui hanno bisogno – come l’intelligenza e la disciplina – trascurando altre capacità umane – come la compassione, la sensibilità artistica e la spiritualità.

Il risultato potrebbe essere una razza di esseri umani che sono molto intelligenti e molto disciplinati ma privi di compassione, carenti di sensibilità artistiche e senza profondità spirituale. Non è una profezia, ma una sconvolgente possibilità.

La tecnologia non è deterministica

Nel XX secolo, la stessa tecnologia industriale è stata usata per costruire tipi di società molto diversi: dittature fasciste, regimi comunisti, democrazie liberali. La stessa cosa accadrà nel XXI secolo.

L’intelligenza artificiale e la biotecnologia trasformeranno sicuramente il mondo, ma potremo usarle per creare tipi molto diversi di società. E se si ha paura di alcune delle possibilità citate, si può ancora fare qualcosa, ma c’é bisogno di cooperazione globale.

Le tre sfide esistenziali, citate da Harari, sono problemi globali che richiedono soluzioni globali.

Ogni volta che un leader dice qualcosa come “My Country First!” (“ Prima il mio Paese”) dovremmo ricordare a quel leader che nessuna nazione può impedire la guerra nucleare o fermare il collasso ecologico da sola, e nessuna nazione può regolare da sola l’Intelligenza Artificiale e la bioingegneria.

Sfortunatamente, proprio quando la cooperazione globale è più necessaria che mai, alcuni dei leader e dei Paesi più potenti del mondo stanno minando deliberatamente la cooperazione globale. Leader come il presidente degli Stati Uniti ci dicono che esiste una contraddizione intrinseca tra nazionalismo e globalismo e che dovremmo scegliere il nazionalismo e rifiutare il globalismo. Ma questo è un errore pericoloso.

Non c’è contraddizione tra nazionalismo e globalismo

Nazionalismo non vuol dire odiare gli stranieri. Il nazionalismo consiste nell’amare i propri compatrioti. E nel XXI secolo, per proteggere la sicurezza e il futuro dei propri connazionali, bisogna cooperare con gli stranieri.

Quindi nel XXI secolo, i buoni nazionalisti devono essere anche globalisti. Ora il globalismo non significa istituire un governo globale, abbandonare tutte le tradizioni nazionali o aprire il confine all’immigrazione illimitata. Piuttosto, il globalismo significa un impegno per alcune regole globali.

Regole che non negano l’unicità di ogni nazione, ma regolano solo i rapporti tra le nazioni.

E un buon modello è la Coppa del mondo di calcio.

La Coppa del Mondo è una competizione tra nazioni e le persone spesso fanno un gran tifo per la propria squadra nazionale. Ma allo stesso tempo la Coppa del Mondo è anche una straordinaria dimostrazione di armonia globale. La Francia non può giocare a calcio contro la Croazia se i francesi e i croati non concordano le stesse regole per la partita.

E questo è il globalismo in azione.

Ora, ci si augura che le nazioni possano mettersi d’accordo su regole globali non solo per il calcio, ma anche per prevenire il collasso ecologico, regolare le tecnologie pericolose e ridurre la disuguaglianza globale.

Abbiamo rotto la legge della giungla

Siamo già fuggiti dalla giungla violenta in cui noi umani abbiamo vissuto nel corso della storia. Per migliaia di anni, gli umani hanno vissuto sotto la legge della giungla in una condizione di guerra onnipresente. La legge della giungla diceva che per ogni due Paesi vicini c’era uno scenario plausibile che si sarebbero scontrati nel giro di un anno. Secondo questa legge, la pace significava solo “l’assenza temporanea di guerra”.

Ma negli ultimi decenni, l’umanità è riuscita a fare l’impossibile, a costruire l’ordine globale liberale basato sulle regole, che nonostante molte imperfezioni, ha tuttavia creato l’era più prospera e più pacifica della storia umana.

Ci sono ancora guerre in alcune parti del mondo. Harari viene dal Medio Oriente, quindi lo sa perfettamente. Ma questo non dovrebbe renderci ciechi di fronte al quadro globale generale.

Ora viviamo in un mondo in cui la guerra uccide meno persone del suicidio e la polvere da sparo è molto meno pericolosa per la nostra vita dello zucchero. La maggior parte dei Paesi – con alcune notevoli eccezioni come la Russia – non immagina nemmeno di poter conquistare e annettere i propri vicini. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei Paesi può permettersi di spendere forse solo circa il due percento del proprio PIL per la difesa.

….ma potremo ritrovarci nella giungla della guerra permanente

Sfortunatamente, ci siamo abituati talmente tanto a questa situazione, che la diamo per scontata, e invece di fare tutto il possibile per rafforzare il fragile ordine globale, i Paesi lo trascurano e addirittura lo minano deliberatamente.

L’ordine globale è ora come una casa in cui tutti abitano e nessuno ripara. Può resistere ancora per qualche anno, ma se continuiamo così, crollerà – e ci ritroveremo nella giungla della guerra onnipresente.

La nostra specie si è evoluta in quella giungla e vi è vissuta e ha persino prosperato per migliaia di anni, ma se ora torneremo a quella situazione, con le potenti nuove tecnologie del XXI secolo, la nostra specie probabilmente ne sarà annichilita.

Certo, anche se scompariremo, non sarà la fine del mondo. Qualcosa ci sopravviverà. Forse i topi finiranno per prendere il controllo e ricostruire la civiltà. Forse, quindi, i topi impareranno dai nostri errori.

Ma, conclude Harari, rivolto ai potenti del mondo : “ spero vivamente che possiamo contare sui leader qui riuniti e non sui ratti”.

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