6) UNA DECISA RIDEFINIZIONE DELL’ISTRUZIONE PROFESSIONALE

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Tutta la filiera dell’istruzione tecnica e professionale è giustamente indicata dal PNRR come una delle leve per un rinnovato sistema di istruzione.

Peccato che le proposte di riforma siano general generiche,  e nulla di più venga detto nelle Linee Programmatiche. Il testo del PNRR afferma che si “mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese. In particolar modo, si orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta dall’Industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale”.

Al di là di questa affermazione  sono indicati  solo gli aspetti quantitativi:   saranno coinvolti  4.324 Istituti Tecnici e professionali e il sistema di istruzione e formazione professionale.

Nulla si dice  sulla crescente crisi degli Istituti Professionali, nonostante sia noto da tempo il loro declino: all’inizio del secolo, a.s. 2000-2001,  gli iscritti al 1° anno degli Istituti Professionali erano  il 25% degli iscritti al 1° anno della scuola secondaria di 2° grado, nell’a.s. 2021-22 sono l’11,9%.

La scelta è fra lasciarli morire o intervenire drasticamente senza più cullarsi in miniriforme, dopo il loro snaturamento  operato da quel famoso articolo 13 della L.40/07, voluto dal ministro Fioroni (governo di centrosinistra), che stabilì che gli Istituti professionali, per rimanere statali, non potevano più impartire qualifiche e assumevano la struttura degli istituti tecnici, un quinquennio costituito da un biennio e un triennio. Era chiaro che gli Istituti professionali in quanto tali scomparivano, tanto che in una prima bozza della legge 40 si parlava di istituti tecnico-professionali, di cui poi  nell’art. 13 rimasero solo i “poli tecnico-professionali “.

Commissione Europea: importanza dell’Istruzione e Formazione Professionale  e  dell’Apprendistato

La situazione italiana è in assoluta controtendenza rispetto a quanto avviene nell’Unione Europea.

Nell’Unione Europea l’IFP rappresenta circa la metà dei diplomati dell’istruzione secondaria superiore, ed è considerata un settore strategico per l’occupazione giovanile. E proprio nell’ambito  del sostegno all’occupazione giovanile nel luglio 2020 è stata emanata una Raccomandazione del Consiglio relativa all’istruzione e formazione professionale (IFP) per la competitività sostenibile, l’equità sociale e la resilienzadi cui è importante tenere conto.

La proposta  mira a rendere i sistemi  di formazione professionale più moderni, attraenti, flessibili e adatti all’economia digitale e verde.  E c’è  un impegno dell’UE ad aiutare i centri di  istruzione e formazione professionale a diventare  luoghi di eccellenza professionale, sostenendo nel contempo la diversità e l’inclusività.

Si sostiene in particolare un rinnovato impulso per gli apprendistati, che andranno, si dice,  a vantaggio sia dei datori di lavoro sia dei giovani, preparando una forza lavoro qualificata in un’ampia gamma di settori.

In un apposito opuscolo, A future-proof approach, la Commissione Europea  pone l’obiettivo che nei prossimi 5 anni almeno 3 studenti su 5 in Istruzione e Formazione Professionale beneficino di apprendimento sul lavoro, in particolare dell’apprendistato.

Unificare  Istruzione Professionale statale con Istruzione e Formazione Professionale regionale

In Italia, dopo la messa in atto della legge 40, l’unica decisione saggia  fu presa, non senza contrasti,  dalla Provincia di Trento.  Trento prese atto che l’istruzione professionale era stata di fatto cancellata per 3 motivi: 1) la sua trasformazione in un percorso quinquennale, al pari dei licei e degli istituti tecnici con conseguente soppressione della qualifica intermedia; 2) la riduzione dell’orario settimanale da 36 a 32 ore, 3) il ridimensionamento dell’area professionalizzante che ne garantiva il collegamento con il mondo del lavoro.

La conseguente decisione fu la confluenza degli Istituti Professionali trentini o negli Istituti Tecnici o nell’Istruzione e Formazione Professionale, razionalizzando in questo modo l’istruzione secondaria di 2° grado strutturandola solo su 3 “gambe” (licei, istituti tecnici, istruzione e formazione professionale).
Da allora ADi propone questa soluzione a livello nazionale, consapevole che l’operazione è più complessa, ma non impossibile.
Si abbia il coraggio fra le varie riforme in cantiere collegate al PNRR di operare queste scelte.

Una  filiera continua  tecnica e professionale  comprensiva di istruzione secondaria  e  terziaria.

Quanto proposto non è ancora sufficiente per interrompere in Italia il perdurante trend negativo  che vive l’istruzione professionale,  ma anche l’istruzione tecnica.
Alcuni dati ci aiutano  a inquadrare meglio il problema.
Il rapporto di AlmaLaurea 2020 indica che solo il 2,1% dei laureati proviene dall’istruzione professionale, il 18,9% dall’istruzione tecnica  e il 76,5%  dai licei.
Questi dati  confermano  la tendenza degli studenti  degli Istituti Professionali, ma anche degli Istituti Tecnici, a non proseguire nel percorso universitario, oppure ad abbandonarlo poco dopo l’iscrizione.
Per questo è bene  disporre di un percorso terziario professionale di pari dignità delle lauree triennali, che privilegi i diplomati degli istituti tecnici e professionali, in un processo di continuità. Questo porta a riconsiderare gli ITS, Istituti Tecnici Superiori.