7) DAGLI ISTITUTI TECNICI SUPERIORI ALLE SCUOLE SUPERIORI POLITECNICHE

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Di tutta la filiera tecnico professionale , gli Istituti Tecnici Superiori, ITS, sono quelli a cui viene prestata in assoluto più attenzione, sia nel PNRR, in cui sono stanziati 1,5 miliardi di euro, sia  nelle Linee Programmatiche. E ce ne è motivo. Recitano le Linee Programmatiche:“ Oggi gli ITS garantiscono all’83% dei propri diplomati un lavoro a un anno dal diploma (….) Tuttavia non riescono ancora ad attrarre un numero di studenti significativo e a soddisfare la domanda espressa dal mercato.”

Gli investimenti  hanno pertanto  l’obiettivo  dell’aumento  degli attuali iscritti,  ipotizzato in almeno il 100%  (18.750 frequentanti e 5.250 diplomati nel 2030).

Questo risultato dovrebbe essere raggiunto, secondo il PNRR, attraverso:

  1. il potenziamento del modello organizzativo e didattico;
  2. l’ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0;
  3. il consolidamento degli ITS nel sistema ordinamentale dell’Istruzione terziaria professionalizzante con un’integrazione dei percorsi ITS con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti.

Non pare che questi elementi siano sufficienti  per un forte rilancio degli ITS. Non sarà certo la possibilità del passaggio alle lauree triennali professionalizzanti che ne accrescerà l’attrattività, anzi potrebbe essere un elemento in più per fare apparire gli ITS percorsi di serie B,  non così importanti e prestigiosi come una laurea e l’acquisizione del relativo titolo di “Dottore”  .

Ragioni plurime per valorizzare l’istruzione terziaria professionalizzante

E’ importante  innanzitutto  proporre in modo più articolato le molteplici ragioni che sostengono la pari dignità di un canale di formazione terziaria professionalizzante con i paralleli canali universitari.

  Federico Butera, in una relazione tenuta sugli ITS nel 2019 a Didacta, ne indicava quattro:

  1. ragioni occupazionali: gli ITS assicurano il pieno impiego
  2. ragioni economiche: accrescono la cultura tecnico-scientifica del capitale umano
  3. ragioni politiche: superano la contrapposizione tra cultura generale e formazione tecnico-professionale e stabiliscono nuovi ponti tra scuola e impresa
  4. ragioni educative e sociali: rispondono a punti di partenza e bisogni differenziati, alla diversità di talenti e aspirazioni

Finalmente in questi motivi, che vanno oltre il solo dato occupazionale, si mette bene in rilievo l’importanza strategica di riconoscere pari dignità alla cultura tecnico professionale e all’apprendimento esperienziale, rispetto alla cultura   accademica  e all’apprendimento  simbolico-ricostruttivo.  E’ un approccio laico alle tematiche dell’educazione, la volontà di porre fine al caso italiano secondo cui l’ambito dell’istruzione e formazione professionale  è visto in modo pregiudiziale come un fattore di segregazione e di esclusione, come se tramite esso si sviluppasse un processo di sub-cittadinanza, assolutamente non di pari dignità rispetto ai percorsi generalisti e accademici.

Non è così in altri Paesi, nella vicina Svizzera, tra cui il Canton Ticino di lingua italiana,  il 60% di una coorte d’età segue  l’apprendistato, per poi proseguire nel terziario non accademico, che è una tradizione di prestigio, selettiva, attraverso la quale è possibile assurgere a funzioni top dell’economia e della politica.

Bisogna pertanto far crescere la consapevolezza che oggi più che mai gli orizzonti che si aprono alla cultura tecnico professionale appaiono più ambiziosi e perciò da considerare più ambiti di tanti percorsi accademici per esempio di tipo “umanistico.

Da questo approccio culturale occorre partire per costruire nei fatti la pari dignità.

Come costruire un sistema terziario professionalizzante di pari dignità di quello universitario

Che fare allora per dare vita a un sistema terziario professionalizzante di pari dignità di quello universitario, capace di  portare gli iscritti da 10.000 a 100.000, come indica il PNRR?

Di seguito alcune proposte:

  • Dare agli ITS la stessa dignità delle lauree triennali. A questo fine vanno trasformati da biennali in triennali, con caratteristiche distinte dalle lauree triennali professionalizzanti.
  • Potenziare la governance,  con massima assunzione di responsabilità e  collaborazione  fra Ministeri,  Regioni  e sistema delle imprese.
  • Agganciare lo sviluppo degli ITS alla 4^ rivoluzione industriale.
  • Potenziare la presenza di laboratori di ricerca applicata, che svolgano progetti innovativi per conto terzi.
  • Potenziare la partecipazione delle aziende.
  • Creare un sistema di “passarelle” con l’università, da un lato per il passaggio dal percorso triennale ITS alla laurea magistrale e dall’altro  per l’assorbimento negli ITS di parte degli studenti che abbandonano l’Università (il 20% dopo un anno, il 39% dopo due anni, il 45,2% dopo tre anni), e che  hanno predisposizione per un diverso tipo di apprendimento e formazione non accademica.
  • Cambiare il nome. Il Prof. Butera nella relazione citata del 2019 proponeva Scuole Superiori Politecniche , che a noi pare molto appropriato. A questo punto, se si trasformano questi percorsi terziari da biennali in triennali, si può  anche pensare di modificare il  DM. 270/2004 che ha stabilito le diverse specificità della qualifica di dottore corrispondenti attualmente  ai relativi livelli di studio universitari  (Dottore dopo la laurea triennale, Dottore magistrale, dopo la laurea magistrale, Dottore di ricerca ai titolari di un dottorato di ricerca) e assegnare il titolo di dottore anche a chi conclude il percorso triennale di una Scuola Superiore Politecnica.